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3 ago 2020

"Il sole tra le mani" di Roberto Ritondale




All’alba di ciascuna solitudine c’è sempre un vuoto che non si è più colmato



Aldo Montesi è il protagonista del romanzo “Il sole tra le mani” di Roberto Ritondale (Leone Editore- 2017). Chi è Aldo: un uomo indifferente, cinico, insensibile, che si nutre delle lacrime e delle emozioni altrui o, in realtà, è semplicemente un uomo che ripercorre a ritroso la storia della sua famiglia per riscoprire un’identità in parte smarrita, in parte volutamente rimossa? Aldo ha bisogno di tempo per ritrovare se stesso, per riconoscersi e finalmente fare pace con quegli angoli nascosti del suo cuore, della sua emotività, chiusi negli anfratti della sua stessa memoria. Essenzialmente la narrazione ci mostra un personaggio a tutto-tondo, un “malincomico” che si affaccia sulla natura umana, intrappolato nel costante processo tra oscurità e luminosità, in un viaggio di coscienza attraverso i dolorosi capitoli di un'infanzia interrotta da un tragico evento quale l’improvvisa morte della madre “È da quel giorno che rubo lacrime straniere”. In età adulta, affetti familiari, amori e amicizie si confondono con segreti, silenzi e amare scoperte, sorretti da moventi di amore/odio. Aldo non trova più l’unità del suo essere, è consapevole della propria disgregazione interiore, fin troppo evidente per quel senso di triste, melanconica ironia della sua vita che accentua il carattere cosciente-incosciente di ogni suo comportamento.
Personalità sdoppiata in multiformi aspetti dei quali l’uno non si ritrova nell’altro; un insieme di personalità incompiute di povera vitalità, apparsa nelle varie fasi di vita e subito cancellata, scacciata dalla successiva. Memoria, perdita, ritrovamento si inseguono continuamente e, solo quando si incontrano, riescono a identificarsi e darsi un senso, in una sorta di memoria involontaria proustiana. Il ricongiungimento con se stesso e la disillusione imperante di losche questioni a lui sconosciute, spingono Aldo ad una svolta cruciale che lo porta in India dove vive in prima persona il terremoto- maremoto del 26 dicembre 2004. L’evento drammatico lo segna profondamente ma allo stesso tempo pone rimedio alla sua condizione psicologica, apre un nuovo cammino da seguire per annientare quel dolore che lo attanaglia da sempre. Egli scopre un particolare dono e come questo può essere utilizzato al meglio per aiutare gli altri e valorizzare la propria autostima.
Un innovativo e peculiare rapporto tra contenuto e forma di una parola viva e concreta di un’opera strutturata in sequenze narrative dialogiche e omodiegetiche nonché una precisa filosofia di vita e profonda riflessione caratterizzano il linguaggio e lo stile sempre molto profetico, allusivo e aforistico, rendendo il nostro Ritondale un abile scrittore in ogni sua esperienza letteraria. Una trama che affascina per i tanti simboli ed enigmi di un vissuto che possono ampiamente riferirsi a chiunque ove la parola affidata al protagonista è bivoca, in quanto riflette l’ideologia dell’autore nonché altri aspetti della sua personalità.
Lo scrittore trova così una nuova opportunità per indagare l’animo umano e cogliere quelle capacità, non sempre visibili allo sguardo altrui, di stare a contatto con le proprie emozioni per poterle gestire al meglio. Il romanzo è una storia che parla di amore inteso quale amore universale; dolore e amore si congiungono e infine si completano dando vita a un nuovo inizio, l’avvio verso una nuova fonte di energia “Il segreto, mi dico, sta tutto nell’aprirsi, donarsi agli altri. Nel farsi tempio riciclando il dolore.”
Ritengo che l’opera sia un atto di lealtà che sgombra il campo letterario e quello etico di alcuni pregiudizi convenzionali, ridimensionando per così dire, anche il dramma della morte e della solitudine, nell’attimo stesso in cui si ha “la forza per uscire dall’isolamento […]  per dare un calcio al vuoto, diradare la nebbia, scacciare la solitudine.” Alla base, la prospettiva della ricerca di uno scopo superiore che è soprattutto crescita spirituale. Allineandoci ad aiutare e non solo a livello fisico, possiamo stemperare le paure e smettere di soffrire per ciò che non siamo più e mai più saremo, sviluppando una piena guarigione spirituale. 

    

14 lug 2020

Nanda Anibaldi: " La parola e la sua valenza generativa"




ma c’è un intermezzo una pagina bianca una frazione di
                                                                     secondo in cui anche il cuore si prende una pausa; c’è
                                                                      il momento della stupefazione – magia dentro le cose
                                                                                                                      


Di nuovo attratta e affascinata dalle liriche di Nanda Anibaldi, mi ritrovo a scrivere di una poetica che non si può piegare a interpretazioni semplicistiche bensì va contemplata e goduta nella totalità di una cifra stilistica identificativa. Eleganza e distinzione oltre che tante implicazioni culturali e biografiche, trasmutano nella raffinata elegia di una poetessa abilissima a coniare parole mentre si confronta con una memoria ecoica ed iconica; l’asperità e la rugosità della vita diventano veri e propri solchi nell’anima (De rugis- Il Lavoro Editoriale, 2012), operano estreme e sottili epifanie di un umanesimo di voluta impronta.
Costante interlocutore è l’autentico legame con i luoghi e ogni loro silenziosa energia, fusione letteraria ed esistenziale di quell’intimo paesaggio avvolto nel mistero, quasi uno stato di veglia di una sovramemoria o iperemnesia poetica che dà origine a momenti salienti di un io lirico dalle scoscese altezze, tra intimità sentimentali e un gran bisogno di togliersi da un mondo rumoroso e meschino “come se dovessi riprendere i giochi interrotti/i progetti irrisolti/la spensieratezza attaccata alle siepi/affilate da forbici pietose”.
Rapita dalla memoria trasvola sopra terreni noti e ignoti, con prodigiosa cronologica concentrazione, la poetessa acuisce e amplia quel dono della visività in lei costituito e preminente, mescola immagini poetiche evocative a espressioni più concrete e quotidiane.
La dorata tenerezza del ricordo avvolge e unifica quel mondo che è ingresso nel sentimento di un sublime ove si delinea la bellezza infinita di un’eredità tradizionale di cui la Anibaldi è pregevole custode. Esistono dolori che non passano mai e ingenerano conclusioni di un universo interiore di legami unici e irripetibili “Più nessuna cosa è al suo posto/tanto da far meraviglia questo inverno di luglio”. In particolare, la silloge “Fammi sapere” (AndreaLivi Editore- ottobre 2016) ripercorre la sofferenza per la perdita del fratello Arnoldo, poliedrico artista; il dolore travolge il verso in una serie di schizzi, ritratti e scene di genere “la tua assenza è presente/quando vorrei interrogarti/e avere risposte” rendendo emblematico quel senso di esclusione e di sradicamento che l’assenza genera ma che, allo stesso tempo, non smette mai di congiungere per vocazione figurativa “[…] libero da ogni laccio/per cercare le forme e levigare la materia/dentro quell’amore senza il quale/non saresti nato”.
Un incedere brillante e originale orienta il verso in un viaggio attraverso l’anima per ricercare la verità e i perché di un distacco mai superato ed esagitato tanto da traboccare continuamente in pathos quanto più autentico e profondo di un rapporto che va oltre il legame di sangue, perché appartiene a un vissuto condiviso in ogni sua forma e sfumatura “Oggi avremmo potuto parlare d’arte/la pioggia e quest’autunno di luglio/ci avrebbero indicato che e come”. Il lessico riflette la nobiltà degli affetti, anch’essi simboli della vanità e caducità della vita “ti vedrò di nuovo camminare e venirmi incontro/per dirmi del tuo viaggio”, proposizioni interrogative che sono ancora aperte ma non esigono risposta, a esprimere il dubbio, la sospensione del pensiero. Nelle sue opere si mescolano e si alternano i due motivi essenziali della labilità e della permanenza, della vita apparente e della vita vera. Dalla stessa identità di parola e spirito la Anibaldi deduce la possibilità di una redenzione del mondo attraverso la parola; le sue liriche, ricche d’intensità emotiva e commozione estetica, accentuano la maieutica personale dell’autrice che ritroviamo in tutta la sua produzione letteraria, così come nell’opera dedicata al Natale (“Scrivere il Natale” - AndreaLivi Editore febbraio 2019) ove si conferma che il linguaggio poetico non nasce dal nulla ma si può acquisire solo dopo una ricerca costante e accurata. Tra atmosfere magiche, nostalgia e assenze, la festività del Natale è pur sempre “brivido dell’emozione”, ritorna ogni volta ad ancorare tradizioni, tracce e testimonianze di un passato riflesso nel presente seppur fugace “Non rubatemi il mio natale/pieno di assenze/sui cieli decembrini/ dove si specchia la fatica/di procedere”. Inevitabilmente il peso degli anni e le ferite dell’anima modificano la sensazione del tempo sebbene la poetessa riesca perfettamente a gestirla grazie alla caratteristica distintiva dell’ironia. Le sue fughe liriche interrogano l’immagine mentre la parola sonda l’indicibile in una versificazione che ripensa e riscrive la modernità al di là di ogni convenzione letteraria e la rappresenta nel cuore della stessa senza alcuna “ovvietà”, quale innovativo salto semantico a garanzia di autenticità e versatilità.





22 giu 2020

La filosofia del sole di Michela Zanarella: poesia e inabitazione





La filosofia del sole” (Edizioni Ensemble srls) è la nuova pubblicazione di Michela Zanarella, poetessa ormai veterana del verso poetico che, da sempre, equivale a una sua seconda pelle. Questa volta, tuttavia, la silloge è un nuovo incedere, ci troviamo di fronte a una differente Zanarella, un io poetico che trasmuta in un altro sé.
Il sole è la sorgente della luce, del calore e della vita. I suoi raggi raffigurano le influenze celesti o spirituali ricevute dalla terra “Sistemarsi l’anima/con un segno di luce”, oltre a vivificare, esso rende tutto visibile e accentua l’estensione di un punto di origine mentre misura lo spazio “oltre le spalle del tempo”. La luce è conoscenza intuitiva e immediata mentre la luna è conoscenza di riflesso, razionale e speculativa “silenzio che smuove parole d’amore/come passaggi d’anima/intorno a una luna irrisolta”. Sole e Luna corrispondono rispettivamente allo spirito, all’anima e alle loro sedi: il cuore e il cervello. Essi sono l’essenza e la sostanza, la forma e la materia, una sorta di inabitazione che ora è centro pulsante dell’interiorità della poetessa.
Dalle liriche si evince una decisa evoluzione verso un andamento costante dell’esistenza, una visione maggiormente distaccata e serena della realtà che trova le virtù di sopportare con animo tranquillo ogni avversa fortuna e ogni emozione, nel totale affidamento ad una luce che è metafora di illuminazione, di profonda crescita interiore. La razionalità e la concretezza si affievoliscono e lasciano intravedere altre luci che il tempo ha velato; si dissipano dubbi e paure, tutto diventa più comprensibile e pieno ascolto “Se l’amore è comunione di cielo e terra/e anime giuste/allora è fuori dal sudario della carne/la genesi azzurra/reminiscenza di chiarore”.
Incisiva e profonda la certezza di una sopravvivenza dell’anima al corpo e di un riproporsi dell’amore che si mostra nel punto più altoIl sole è l’amore fatto raggio/che accorcia le distanze/e illumina le cose[.]/Innamorarsi significa/radunare l’alba negli occhi”, nell’incontro dell’anima con se stessa ove la poesia è vicinanza al principio, a quel profilarsi del tempo che è eterno istante.
Una poetica ascetica e saggia ove la specificità della parola si pone in relazione col divino e col sacro, risplende di luce propria seppur ispirata, fluida e inarrestabile nel suono e nelle immagini. Un nuovo stile che riscopre quel legame originario e antico della poesia con la musica e risponde a un’esigenza di verità nonché a un progetto comunicativo. La visione di sé e del mondo si trasforma in esperienza di credente e in ogni lirica si delinea una presa di coscienza di quanto poco possa essere l’uomo senza la presenza di Dio, il quale non nasconde l’essere bensì lo custodisce. “[…]si farà amore un bambino nella culla dei secoli/e il cielo ci ricorderà che siamo figli/di un mondo imperfetto/nella vita che inciampa per le strade e ritorna vento”.
L’intensa vitalità della produzione poetica della Zanarella raggiunge qui un livello di forza formativa, si apre all’originalità e si discosta dal modello stilistico delle precedenti raccolte, generando una variante nella testura poetica. Sono più che certa, “La filosofia del sole” susciterà notevole interesse e profonda attenzione da parte della critica.



17 giu 2020

La città senza rughe di Roberto Ritondale: romanzo premonitorio e ammonitorio





La città senza rughe” (BookRoad- maggio 2020) è il nuovo romanzo di Roberto Ritondale, redattore Ansa e scrittore talentuoso. Mi permetto di definirlo così, con cognizione di causa, poiché ho già avuto modo di valutare e motivare le sue innate doti di abilità e originalità in occasione di un concorso letterario nel lontano 2016.
Esordio della narrazione è l’anno 2030, in un contesto socio-politico proiettato nel futuro, il percorso impresso all’opera nasce dall’intelligenza emotiva e percettiva dell’autore, un ipotetico scenario ma sottolineo…  non del tutto assurdo, di una Como città-stato: una Novum Comum governata dal regime autoritario del colonnello Ebe, basato su una iuventucrazia che ha per scopo quello di metter in atto una vera e propria mutazione antropologica, un modello sociale dove dominano “smartphone e eyePhone, computer, tablet, droni e dispositivi di controllo individuale”. Trattasi di un romanzo sociologico che empaticamente riflette e racchiude in sé dubbi, ansie e paure comuni profondamente attuali quale ritratto di un universo chiuso e allucinante, una metafora perfetta di un processo tecnologico e una disuguaglianza che impoverisce le menti e le anime tutte. Tra i personaggi troviamo il colonnello Ebe, visto da tutti come dotato di grande abilità e lungimiranza ma che in realtà dimostra la pochezza di chi si affida solo al desiderio di potere, preso dalla folle convinzione di allontanare gli anziani che, a suo parere, sono ostacolo alla sopravvivenza e alla crescita dell’intera comunità, dimenticando che senza passato non esiste futuro e che quella fase avanzata di vita s’identificherà infine nella sua stessa paura del proprio divenire; la coraggiosa settantacinquenne Etilla, madre di Memo e nonna amorevole di Ezio, adolescente aspirante scienziato, Ippolita, Tespi, Ocno, Lisa, Marco Catone, Melampo, Pitteo e tanti altri, ognuno descritto da Ritondale quale protagonista di vicende avvincenti, nel susseguirsi di peripezie che accomunano in diversi stati d’animo ma con un’unica tensione narrativa, il climax finale, epifania di una sensibilità e una coscienza risvegliate che si palesa il 15 agosto 2040. Varie le tematiche toccate dall’autore: digitalizzazione, senilicidio, bullismo, immigrazione, anaffettività, solitudine, irresponsabilità e irrispettosità rendono questo testo letterario strumento di denuncia verso una società che premia le apparenze e riduce gli esseri ad automi senza una volontà propria, poiché facilmente condizionabili ai fini di interessi economici e di assoluto potere “Tutto è pronto per celebrare il valore della bellezza, la forza della disciplina, la propulsione dell’operosità produttiva, la potenza della giovinezza”.
Dal punto di vista stilistico, abbiamo a che fare con accuratezza di forma e struttura, che si sviluppa in perfetto ordine e si uniforma al migliore modello di narratologia. Nota essenziale è la perspicuità del narrare a delineare i contorni di una parola viva e spontanea, un linguaggio figurato che giova alla chiarezza e alla brevità, attraverso dialoghi spontanei, pensieri, ricordi, tra neologismi “buoni” di etimologia latina, madre della nostra stessa lingua e, a tratti opportunatamente utilizzata nella stesura; così come la non casuale scelta di nomi storici e mitologici nonché di citazioni in esergo, sono frutto di un’ispirazione ben centrata. Più che il successo di un futuristico processo evolutivo, l’autore mostra e dimostra che i nostri valori più preziosi risiedono in noi da sempre e che nessun regime può cancellare la nostra natura e la nostra etica. “La città senza rughe” sottolinea quell’impronta sensibilmente rispettosa che è amalgama ricco di esiti e suggestioni che commuovono e, allo stesso tempo, suscitano nel lettore empatia e condivisione d’intenti e di sentimenti. Tenace e costante la volontà, volta a confermare che occorre imparare dal passato progettando il futuro non distruggendo e alienando il nostro patrimonio culturale bensì conservando i più alti valori delle nostre origini, quali la poesia, la musica, gli antichi monumenti; tutto ciò che è memoria è prezioso.
Ogni regime totalitario è caratterizzato soprattutto dal tentativo di controllare capillarmente la società in tutti gli ambiti di vita “Lui promuove il nozionismo, non la cultura, come tutti gli uomini superficiali. I poeti gli fanno paura perché scavano nella mente e nell’anima, guardano oltre l’orizzonte… E con le parole i poeti costruiscono ponti”.
Il mio personale elogio verso un’opera, a mio avviso, decisamente metapsichica, soprattutto laddove esiste un chiaro messaggio premonitorio e ammonitorio riguardo il tema della vecchiaia, invitando e contribuendo ad acquisire consapevolezza che le “anime deboli che non sono utili alla nostra comunità” in realtà suggellano le virtù dell’esperienza, del buonsenso e della purezza d’animo.






28 lug 2019

La maschera di Euridice- Silvia Elena Di Donato

Silvia Elena Di Donato ha già ottenuto notevoli consensi di pubblico e di critica con la sua opera prima per la poesia “La maschera di Euridice” (Masciulli Edizioni – 2018). L’influsso culturale di una formazione umanistica nonché la sua esperienza di docente hanno sicuramente contribuito alla maturazione del linguaggio poetico e degli stilemi, inducendola a esprimere il lessema nella sua essenzialità senza però scarnificarlo. La ricezione del patrimonio della letteratura classica così come gli echi della mitologia greca delineano un paesaggio poetico molto diversificato, frammenti di esistenze di grande intensità e impatto emotivo.
Nei secoli, tanti sono i poeti e gli scrittori che hanno cantato il mito di Orfeo ed Euridice, ognuno con la sua personale interpretazione, la Di Donato ne coglie l’esperienza d’incanto e sgomento, con umiltà e sensibilità; le sue liriche sono una sorta di preparazione, un metodo di accesso alla vita mistica e a una maggiore diffusione di valori universali. La maschera come simbolo di identificazione, regola le energie spirituali sparse nel mondo e le intrappola per impedire il loro vagare, dominando e controllando il mondo invisibile: “Sola/trasfigurata in canto/penetra/la fenditura corrusca del mistero/madida del suo ultimo passo/sul crinale del grande fiume”.
Il verso è breve ma intenso, frutto di immagini folgoranti e trasparenze metaforiche, evocazioni che illuminano la comunicazione di una morale e di un insegnamento che restituisce un po’del tempo latore di bellezza. Silvia Elena Di Donato crede nella poesia e nella sua origine divina, ne difende l’incontaminatezza, riscopre quel senso della vita che colma l’abisso tra il sopra e il sotto dello spirito, fra Dio e gli uomini “Parole fresche/di albe e tormenti/sempre le stesse/sempre diverse/mistiche eterne occasioni di mondo […]”. Il suo canto è un cammino di ascesi, permeato dalla bellezza e dalla ricchezza di un’ispirazione che lei trae dal passato, quale sfondo e spinta per trasportarsi fantasticamente nel tempo evocato. Il mondo stesso, nella sua continua trasformazione, può essere letto tra le righe di detto percorso “[…] filigrane di echi di luce/fendono fasciami di nuvole/ - anfratti della mente infiniti - “e ogni intuizione del trascendente si concretizza nella pregnanza semantica di una parola sostanziale e mai banale, in una continuità di versificazione senza soste di virgole e punti mentre in alcune chiuse si evince un tono quasi epigrammatico. La luce interiore dell’autrice è immersa nella poesia che ammalia e incanta, tocca quella dimensione religiosa che è missione, cura dell’anima verso l’infinito e l’eternità[…] fra i frammenti/del tempo e della durata/parola archetipo/di eternità”. Sincerità e grandezza etica sono il lievito di ogni sua lirica. L’io poetico si abbandona senza allontanarsi dal mondo bensì ne rende tutte le sfumature più fini, i colori più delicati, donando al lettore un’atmosfera onirica “Il sogno/ ha le chiavi/ di ogni possibilità” ove il silenzio è conciliazione e potenziale creativo per una poesia che ha il compito di esplorare il mistero che è in noi, che coincide col senso del divino “E sorge nuova l’alba/ad abitare l’anima/spalancata/di pura luce assoluta/ alla meraviglia inattesa/che ne sorprende la soglia/ con passo divino” e come tale diviene un’inesauribile risorsa di pensieri profondi. “La maschera di Euridice” è una prima esperienza poetica che detta già un buon presupposto per ulteriori successi letterari.






13 lug 2019

Nanda Anibaldi e la sua poetica








Recensire opere composite, multiformi, dall'architettura complessa e articolata quali sono le liriche di Nanda Anibaldi, non è certamente un compito facile. Sin dal primo approccio si evince una poetica particolarmente vissuta, di un’artista ispirata e talentuosa. Il suo verso supera ogni concezione tradizionale, non mente bensì si allena a una verità interiore, non si delinea nell’astratto ma riavvolge e si dispiega lungo il procedere della vita. Lo stile della Nostra non è stereotipato bensì espressivo, personale, con immagini pittoriche che creano un’atmosfera intimistica, come se l’autrice volesse tenere stretto a sé ogni attimo, imprimendo la sua caratterizzante e soggettiva vocazione creativa.
Con estrema destrezza e dimestichezza, intensità e potenza d’emissione, le sue liriche approdano a un’arte di sostanza e non di sola apparenza: una sorta di specchio cognitivo che tende a sviluppare la propria coscienza.
Nella silloge “La tana del nibbio” (Firenze Libri, 1994), l’Io poetico è ispirato da moti interni dell’animo, spesso inspiegabili, legati a una pluralità di sentimenti spinti da una nuova esigenza di far luce e di raccontare le contraddizioni che, come una lama affilata penetrano nell’esistenza con lucidità e intransigenza, senza infingimenti. Significante e strategica la simbologia del rapace nibbio che sfrutta il vento più leggero - in questo caso la poesia - per uscire dalla sua tana ed elevarsi con poche battute di ali; il verso dona la capacità di liberarsi, di estraniarsi dai problemi per analizzarli con occhio critico, si distacca dal coro e si esprime in assoluta libertà: Tracce invisibili di magma/riciclate sul petto della terra/vengono cancellate/ ad ogni batter d’ali”.
La Anibaldi si pone in continua sfida, non solo con se stessa, in particolare con il discorso poetico con cui crea un confronto, giocando e utilizzando la fantasia come vitale interlocutore. Figure e immagini denotano maturità di visione e di espressione nonché una suprema saggezza di folgorazioni e di messaggi. Lei - donna smette di fuggire la sua ombra, dà un senso all’angoscia esistenziale e la domina con fortezza e coraggio: “L’intervallo di tempo/segna sconcerti/tra rivoli di pensiero/ che sciolgono l’ultima neve…Pescare il tuo/ nella tavola dei sogni/non è stato facile […] L’ho disegnato per te ma l’hai collocato nella memoria/labile/non ti servirà a proteggerti dal gioco/ ché i giocatori sono più scaltri [,] né ti aiuterà a bleffare/devi pescarne uno più grande/e metterlo come uno scafandro […]” Una poesia disvelativa che stimola domande e incontra l’alterità, abbraccia la dimensione estetica, lascia da parte il puro narcisismo per attuare il senso reale di quel poiein che è veicolo di trasformazione e cambiamento nell’attimo stesso in cui ci appare un’indomabile donna e una poetessa palazzeschiana di mirabile e ironica libertà.
Il desiderio di uno spirito che interroga il mistero:Parli e racconti/i fatti di sempre/Conosciuti/scontati/ma/li fabuli come tuoi/Il dramma si consuma/nel non avere risposta” che è ‘paradigma’ di una continua ricerca poetica, crea l’attimo per un linguaggio semantico arricchito e integrato da metafore e simbologie di alto spessore, a velare i grandi interrogativi dell’esistenza, al centro di una precisa analisi ontologica.
Sarai spaventato per le cose/che non potevi prevedere/e nel gioco ti sorprenderà/il bluff come regola” (Paradigma- Progetti editoriali srl- il lavoro editoriale, 2006)
Nella silloge “Paradigma”, una genesi biblica traccia l’ispirazione del verso per giungere a un amalgama biblico-pindarico ove notiamo un incredibile idealismo rinnovatore e rivoluzionario, pervaso da ritorni e rimeditazioni filosofiche; un’evocazione di ciò che è presenza felice e, allo stesso tempo, inevitabile consapevolezza del dileguarsi della vita e degli affetti più cari. I ricordi arrivano nei versi come bagliori di luce a sostenere i momenti più difficili, smorzando i toni di una tematica di fondo che è la stessa identità, sia retrospettiva che di continuità futura, ove il dubbio e la certezza, l’oscurità e la visione chiara, lottano a fronte delle esperienze vissute e dei ragionamenti che si evolvono nel pensiero: “Forse ti sentirò nella pioggia/quando l’acqua ha il colore del sonno/e mi scontrerò con te nella nebbia/gelatinosa/per chiederti scusa”. Un genere di poesia esegetica quale anello di collegamento tra studio e tradizioni culturali, sollecita la Anibaldi a indagare i vari contrasti tra razionalità e cuore, con una medesima funzione: trovare una densità di senso fra dimensioni diverse della realtà, tra prove e ostacoli, contrapposti alle tante nostalgie rivolte a tempi maggiormente genuini e spensierati: “Oggi ho rivisto il mare/con i colori del mio tempo/mentre la mia straneità/cammina sulle strade/ che ho già percorso”. La Nostra penetra in profondità, lo fa con critica tagliente, con le armi del paradosso e dell’ironia, trovando una sua modalità per interrogarsi e interrogare nonché per stimolare, tra l’osservazione e i meandri della mente, una logica riflessione anche su quanto rientra in un dogmatismo religioso. Non possiamo cambiare parti di noi cercando di nasconderle, tutto deve venire alla luce ed essere compreso; in altre parole, occorre diventarne amici. La poesia di Nanda Anibaldi è anche arte concettuale e, inevitabilmente, si trasfigura in catarsi di vita.

http://www.nandaanibaldi.it/index.php

26 nov 2018

" Il sogno di Teddy..." La fiaba di Therry Ferrari








Chiunque conosca Therry Ferrari non si stupirà affatto nel trovarla impegnata nella pubblicazione di una fiaba, anzi “fiabina” come lei stessa definisce questa sua piccola opera. Al di là della scelta meditata del richiamo a un genere profondamente educativo, l’autrice, già naturalmente incline al verso poetico per innata disposizione d’animo, sceglie una narrazione di cui il lettore e lei stessa ne subiscono il fascino. “Il sogno di Teddy…” (Editore L’ArgoLibro), da un’idea di Henry P.Bear,  è quel che si dice una “chicca”, raffinata e preziosa. Ogni minimo dettaglio, dal titolo alle illustrazioni così delicatamente disegnate e all’editing particolarmente curato con i suoi colori pastello sfumati, esprime al meglio la sua funzione estetica e non solo. L’orsetto Teddy racconta come, a volte, basta saper aspettare per ottenere quello che più si desidera, oltre che sottolineare come nella vita sia importante aiutarsi l'un l'altro poiché, mai debbono spaventare le difficoltà.
La lettura della fiaba è emozione che si trasforma in bellezza e speranza per il mondo dell’infanzia, stemperando in leggerezza tempi duri e fin troppo inadeguati, che comportano la perdita di valori e riferimenti certi.
Nulla e nessuno debbono mai impedirci di realizzare i nostri sogni, perché il premio ai nostri sforzi, il più delle volte, è molto appagante.
Complimenti vivissimi a Therry Ferrari per questo suo breve ma significativo progetto letterario.












Link per l'acquisto: https://largolibro.blogspot.com/2018/10/therry-ferrari-il-sogno-di-teddy.html



29 mag 2018

"Armonie e dissonanze" di Oscar Sartarelli: la maturata saggezza e la poesia



Canto, che tanto quel di quaggiù avanza/ che, poi che io torna’ al mondo deserto, / ogni dolce     armonia m’è dissonanza.”

(Il Quadriregio di Mons. Federico Frezzi Libro IV 22-120


Armonie e dissonanze” (Le Mezzelane Casa Editrice) è la recente opera poetica del poeta-scrittore Oscar Sartarelli. In questa raccolta l’ispirazione dell’autore appare ricca e varia, raggiunge una più matura essenzialità e nettezza d’espressione, nell’evidente tendenza di dare alla poesia una sensibilità più ampia e attuale, pur rispettando stilisticamente i principi della poesia tradizionale. La vita impegna a una riscoperta di sé e delle diverse fasi legate a quei riti di passaggio che necessitano d’essere affrontati. L’opera si sviluppa ed evolve in un percorso formativo al contrario, dall’ora del disincanto quale effetto discordante e in grado di godere dell’attimo, per via del senso di precarietà di un inevitabile fluire del tempo, al toccare e svelare il suono gradevole che è corrispondenza di voci, proprio della fase adolescenziale e giovanile “Erano belli il sole [,] / il suono delle campane/ che annunciava la festa [,] / la carezza della mamma/ e la speranza nel cuore. “
La modalità semantica che racchiude i toni, le immagini e la molteplicità dei motivi richiama alcune tesi del De brevitate vitae del filosofo Seneca, laddove il poeta insiste sulla fragilità dell’esistenza e  incita a considerare ogni suo secondo “ti sei mai chiesto cosa saresti al mondo[,] / se ti mancasse[, così, uno, un sol secondo?”; addirittura si commuove, nel riconoscere le responsabilità concrete di ognuno di fronte alla qualità della vita, del nostro Essere e della nostra stessa terra “Stalattiti di tempo/ sedimenti di anima/che son appesi al tempio/della vita consunta [,] /e si schiantano a terra […] / quando il cervello scoppia [,] / ed il tutto si spiega”, rappresentandone così ogni intima meditazione in una luce particolarmente adatta a illuminare, non solo l’uomo moderno ma semplicemente, l’uomo. La silloge presenta un accrescersi di suggestioni e un sovrapporsi di significati che, quasi ammonitori, si trasformano in un invito ad andare all'origine delle parole e del loro valore per ricaricarle di senso. Nei versi si sottintende una mancata credibilità del nostro mondo, non solo di valori ma anche e soprattutto di quanti sono chiamati a trasmetterli e da qui ha origine la reale malinconia dell’autore, che si rifugia nella purezza e nella profondità del proprio sentire.
Nella prima lirica della raccolta, l’albeggiare risuona quale arcaico simbolismo della giovinezza perenne che s’innesca nelle varie faglie del tempo e dell’età, non per terminare un ciclo bensì per riscoprirla nel divenire eraclitiano, poiché ogni cosa si muove, muta e si trasforma, lasciando indietro qualunque momento. La vita e il suo dolce sparire, di fronte a cui non esiste ribellione ma solo delicata rimembranza, innervano l’universo poetico del Sartarelli; dai suoi slanci e tormenti interiori si evince una personalità sensibile seppur dotata di notevole plasticità psichica. Una tenerezza composta e misurata fan sì che l’io poetico avverta la solitudine del mondo: “Vuoto è ora il teatro, eppure sento voci [,] / voce del tempo, frammenti di vita […] Chiude il sipario [,] ed anch’io più non sono”; echeggiano voci dissonanti nel momento stesso in cui l’etica si scontra con le tante nostre miserie. Con sottile ironia il poeta delinea un’anatomia del mondo, coinvolgendola nelle sue stesse riflessioni “Nulla [,] sei nulla [,] nessuno si accorge di te [,] / perché tu sei un ammasso di carne/ attaccato alle ossa.” ma se ne distacca, non rinnega la propria anima, ponendosi al riparo da quella maschera che si fa autorevole garante del nostro tempo.  Quel “puer aeternus”, che con coraggio rimane fedele al tempo, si trova in uno spazio intermedio fra lo stato di partenza e di arrivo e “[…] va cercando della vita il suo metro/che più non sia il ruffiano sentimento”.
Una metrica sorgiva, mista di versi endecasillabi e settenari, crea un genere di poesia di facile grazia e ritmo piacevole nonché una sensazione diffusa d’intesa ed essenza. Sottigliezze vocali, passionalità, furore giovanile, tra enfasi e modestia, quintessenze distillate di un’anima pura e onesta, accenti e sillabe dure e vibrate, realizzano infine quel tema di un incontro con la vita che è radice della poesiaSpero serva questa grama poesia [,] / per riacciuffare [,] senza far rumore [,] / il vero senso: d’infanzia l’odore!”. Il tempo è kronos, ma per Oscar Sartarelli è soprattutto kairòs poiché, in realtà, è sempre e solo la qualità della nostra vita a scandirne lo scorrere incessante di minuti e di ore e a palesarne i moti dell’anima “Il ricordo torna ed il cuore arruffa [;] / allora capisci [,] e d’un tratto senti/ che ancora puoi donare sentimenti [,] / e il senso della vita si riacciuffa.” Infine trovo preziosa la lirica dal titolo “Memento”, profusa di quella religiosità che scardina anche la mente più indisciplinata, divenendo il significato più puro dell’affidamento francescano. La poesia è raccoglimento ed equilibrato rapporto con se stessi verso il raggiungimento della saggezza “E la luce alza della nebbia il velo [,] / scoprendo su te l’indaco del cielo”.




10 lug 2017

"I Bucaneve di Ravensbrück" di Anna Laura Cittadino: evoluzione animica dell'amore oltre la vita.




Eppure l’amore non è solo perdita, rifiuto, mancanza; è impulso che smuove l’ordinaria sopravvivenza, è il camminare su una corda in punta di piedi sfidando la vertigine e il vuoto. È quel volo senza ali nel nostro infinito in cui è perfino possibile riconoscere il diafano riapparire delle anime”.

(Dalla Prefazione di Nuccia Martire)




Anna Laura Cittadino con I Bucaneve di Ravensbrück (Casa Editrice Kimerik – 2017) apre la via a un quesito sulla vera essenza dell’Infinito e dell’Eterno, nella veste leggera e gradevole di una relazione magica che nasconde, dietro l’apparenza di un amore improvviso e inspiegabile, la nascita di un legame karmico, un affresco quasi fiabesco di una storia d’amore che, nel tessuto narrativo, rivive il sentimento di un altro percorso molto più drammatico.
L’incontro tra un uomo e una donna, entrambi scrittori i quali, in un primo momento sembrano condividere solo la passione per una stessa arte, consente alla scrittrice di varcare la soglia di una memoria celata nell’anima, al fine di riscuotere un credito dharmico, verso identità entro cui il sentimento agisce e vive ab aeterno, sciogliendo i nodi irrisolti di un vissuto interrotto. Nella penna della Cittadino, il presente dei protagonisti, qui senza alcun nome proprio ma unicamente contraddistinti dalle forme oblique pronominali “Lui” e “Lei”, è tessuto con delicatezza di toni, sullo sfondo romantico ma non mieloso di una rielaborazione del passato; quasi una trasmigrazione di anime affini che continuano a viaggiare insieme cercando la propria metà perduta.“ […] Lui è… lui è… l’altra parte di me, l’altra metà del mio specchio, l’altra metà del mio sentire, è quel sogno che da sempre custodisco dentro e ho paura, so che mi sveglierò e lo vedrò svanire, evaporare, come una macchia d’acqua su un vestito… non può esistere”.
Due anime invisibilmente connesse, oltre le cognizioni spazio-temporali e in un ciclo infinito, si ritrovano in una nuova vita per poter risolvere ciò che era rimasto in sospeso. Chiusi i cancelli sugli orrori raccapriccianti del 1944 nel campo di concentramento femminile B2 di Birkenau, dove medici e ricercatori nazisti usavano le donne Rom-Sinti come cavie umane per esperimenti sulla sterilizzazione e per effettuare altri tipi di ricerche e, grazie soprattutto a una regressione ipnotica, le anime dei protagonisti ricordano e rivivono lo stesso grande amore di Marcin Lodz e Beatrix Cioran. È come se la loro anima, prim’ancora di incarnarsi, abbia scelto di sanare i dolori e il distacco, riscattando il proprio amore conclusosi troppo presto e non vissuto interamente “L’affanno si farà respiro e il respiro sarà il vento che gonfierà le vele del nostro cuore e ci spingerà lontano da quel tempo privo di luce che è stato il nostro passato”.
Quella vena di grazia intimamente poetica, propria di un personale procedimento stilistico e che abbiamo già trovato nei precedenti romanzi della scrittrice, riaffiora nuovamente dando vita a una continua onda lirica che fascia e avvolge il tutto, senza turbare minimamente la rappresentazione dei fatti e la purezza della trama, senza alcun dubbio particolarmente degna di nota; basti pensare  alla scena degli esperimenti e ai dialoghi che tengono avvinti alla lettura e a ciò che si svolge entro la narrazione degli avvenimenti.
La Nostra rinuncia al purismo, accettando parole di qualsiasi idioma, svolge il motivo a lei caro dell’amore primordiale, basato sulla teoria delle anime gemelle.
Gli argomenti trattati, come la regressione ipnotica e la reincarnazione, divengono non solo motivi di una celebrazione dell’amore in tutti i suoi più alti valori e un incitamento a vivere questo sentimento con forza e gioia ma costituiscono anche una retrospezione intenzionata a ripercorrere intrecci, legami, labirinti, luci e ombre di una terribile falcidia di tutte le Zigeunerinnen sopravvissute agli esperimenti nazisti.
Il romanzo “I Bucaneve di Ravensbrück” è bello, commovente e ricco di magnetismo poetico, dalla forma fluida e sintatticamente perfetta, ove ogni frase ha le sembianze di un piccolo capolavoro, per un accostarsi e sovrapporsi di immagini suggestive che lasciano trasparire un’incredibile ricchezza interiore, mediatrice di una missione estetica e spirituale d’artista.
Il Bucaneve, fiore simbolo dell’Eden, sta a dimostrare che solo l’amore, nel grande vuoto e nel gelo dell’esistenza, ha la funzione di far ritornare l’umanità al vero significato della vita, per cui deve essere sempre considerato come un’esperienza positiva “L’amore non può disorientare, se è amore”, laddove anche un percorso incompiuto diviene speranza e consolazione nonché presenza costante di quel soprannaturale che da sempre sconvolge e instilla dubbi in chi ancora non crede che l’amore vero possa avere un’evoluzione animica oltre la vita.







22 giu 2017

" La panchina innamorata" di Maria Giovanna Bonaiuti, una poetessa che intinge la penna nella solitudine e raggiunge l'armonia





La raccolta in versi “La panchina innamorata” (Writerseditor) di Maria Giovanna Bonaiuti, poetessa e scrittrice di origini toscane ma residente nella città marchigiana di Fermo, offre uno spaccato significativo di come la presenza misteriosa e complessa della natura con i suoi tanti abitanti senza voce, possa attivare l’immaginazione e acuire i nostri sensi. La sua figura ondeggia dinanzi alla nostra fantasia, apparendoci ora una donna malinconica e nostalgica, ora una vera e propria “guerriera della luce” coelhiana, per la quale la semplicità e l’ umiltà sono l’espressione di una poetica di grande etica e rispetto verso l’uomo e l’intero universo. Una panchina di pietra è simbolicamente il punto di osservazione o, probabilmente, di attesa di un tempo dedicato all’amore e alla bellezza di quelle piccole cose che divengono grandi e frutto di speranza quando il sentiero della vita vacilla “Sulla panchina[,]logora di infinite storie/narrate da rari passanti sgomenti[,] c’è scritto[:] /”SEI MIA”.
La nota distintiva dei versi è data dalla fusione di motivi intimistici più volte reiterati, quali la solitudine e la fragilità, con l’idea dello spirito di spaziale evasione e insieme di umano approfondimento, suggerita dal leggero respiro paesaggistico e dalla confortante presenza degli animali “ […]L’ho visto[:] / era lì[,] un piccolo pipistrello aggrappato alla tenda del balcone[…] /Stelle vagabonde del cielo lo avevano accompagnato perché/accarezzasse lievemente la mia solitudine”.
Il linguaggio, tra fughe e ritorni, risalta una fitta galleria di alberi, fiori e animali. In ogni poesia trionfa la tendenza pascoliana a sentire gli animali non in quanto simboli o soggetti estetici ma come veri e propri beniamini e confidenti, perfetti mediatori tra la realtà umana e la realtà divina nonché amici con cui condividere un cammino “ Mi attende l’amico gufo[,] / con i suoi grandi occhi sorridenti”.
Uno stile denso e sinuoso, segnato da naturali e musicali cesure ove si concentrano anche esperienze arieggianti i moduli tipici della sofferenza leopardiana, da cui si generano sentimenti di solidarietà e fratellanza verso gli altriVorrei spegnere il sole con un secchio di/acqua zuccherata[,] per vedere gli uomini/che corrono in questa dolce pioggia”.
L’inclinazione della poetessa all’osservazione si esercita a intuire i particolari più minuti, le sensazioni più sottili, le atmosfere più rarefatte,  in un quadro quanto mai poetico, pregio della perspicuità di un sublime raggiunto con la massima tenuità di voce  e suoni “ Sono viandante della mia solitudine[,] /cammino con le mani in tasca/ per contrade lontane dalla mia anima[.] /Mendicante di bellezza[,] / raccolgo lacrime cadute alle stelle[…]
Versi intrisi di struggente malinconia lambiscono i ricordi; come “scritte indelebili” nel vagheggiamento passionale e romantico di una vita intera, mescolano amore e nostalgia, con atteggiamento, in fondo, abbastanza semplice in sé ma preziosamente elaborato con riferimenti metaforici. La Nostra li sviscera e li matura con fiamma sottile che sembra affocare le immagini di quel “balcone dei ricordi” che abita il cuore e la mente. La “terrazza sui tetti” è luogo privilegiato dell’anima, un “ripostiglio segreto”dove trovano riparo sicuro i sogni, “quelli irrefrenabili, inconfessabili, inarrestabili” e che non muoiono mai.
Maria Giovanna Bonaiuti coglie il mistero che si nasconde dietro le apparenze di un passato-presente e attende un “pugno d’azzurro” che stemperi i giorni e le notti più tristi,  intingendo la penna nella solitudine degli avvenimenti, delle passioni, degli affetti che hanno animato la propria vita.
I poeti, in fondo, sono messaggeri di armonie, virtù e speranze vissute in silenzio, quali risposte di una creativa solitudine, come suggeriscono gli stessi versi della grande poetessa americana Emily Dickinson: "Forse sarei più sola/ senza la mia solitudine".



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20 mag 2017

Cerimonia di premiazione 3° Edizione Premio Letterario "Città di Fermo"

Un pomeriggio di piacevole condivisione e incontro con poeti e scrittori provenienti da varie città italiane.
Al termine della cerimonia di premiazione... una piacevole sorpresa!

Libera Associazione Culturale Armonica-Mente con la collaborazione dell'Ufficio Nazionale CEI per la pastorale, il tempo libero, turismo e sport (Direttore Mons. Mario Lusek e dell'Associazione Culturale GueCi di Rende(CS) (Presidente Anna Laura Cittadino)

 

5 mag 2017

"Mare mosso, l'imaginoso" di Maria Luisa Mazzarini- Profondità e mistero dell'animo umano

[…] “su tracce d’inchiostro/di poesie/di foglio bianco aperto all’infinito[.]”


Mare mosso, l’imaginoso” è la recente raccolta poetica di Maria Luisa Mazzarini, edita da  EEE-book Edizioni. Leggendo quest’ultima opera si avverte la sensazione di passeggiare a braccetto con la poetessa tra scenari in piena esaltazione della memoria e dell’immaginazione, con lo sguardo innocente di una bimba, desiderosa di scoprire realtà nuove a ogni passo ”Ci ferma la bonaccia[,]/ asciughiamo le penne sulla ghiaia[.]/E le parole/raccontano di frammenti di luce/da abbracci d’acqua/e infuocata sabbia]…]”
Ritorna il tema dominante del mare e del mormorio delle acque, in singolare affinità coi movimenti elementari della attività della natura, attimi privilegiati di un’inconfondibile voce, di una cultura, di uno stile. Una poetica che si affaccia estasiata ovunque e che si ritrova nel suono di ogni luogo, a contatto con visuali che sono sorgenti di creatività; le parole danzano come note su un pentagramma e come fili di una tela intrecciano immagini che giocano abilmente tra metafore e simbolismi. La poetessa riesce sempre a stupirci con la sua potenza onirica, quasi funambola, di riconciliazione fra l’io e il mondo, fra l’arte e la vita.
Il mare, come ogni elemento fluido, sta a significare la profondità e il mistero dell’animo umano nonché manifestazione del tempo e di quell’intimità strettamente in contatto con emozioni latenti, celate o tenute a freno(Chi siamo?)/ Angoscia, inquietudine, sgomento[. ]”
Le citazioni di poeti e scrittori stranieri, all’inizio di ogni capitolo, lasciano cogliere nuovi spunti per le liriche che seguono, dalla struttura e dal linguaggio vividi e unici. Nel suo ordine fantasioso, il verso breve e sciolto impone più volte una sosta, mentre aggettivi espressivi sollecitano la poetessa a dare libero sfogo all’estro creativo, quale dono speciale e ispirazione dei suoi stessi sogni “in brulichio di stelle/ [-] punti nel buio[-] come i nostri sogni/ di Magia[,]”.
La poesia per Maria Luisa Mazzarini è integrazione completa della sua personalità, tutto ciò che vive in natura è pulsante di vita da ascoltare e rispettare mentre si risveglia e si esprime quel canto nascosto che dorme  nelle cose.  L’anima stessa si abbandona all’oblio e si spinge oltre i propri limiti; essa assorbe energia dal vento, dai fiori, dagli alberi, dagli uccelli, dalla neve, dal sole, dalla luna e dal modulare del mare, per elargirla ai versi. L’io poetico vive all’unisono col mondo circostante, sembra di respirare con il suo ritmo “[…] respiravo l’Incanto/di un mondo sommerso[,]/ ignoto/a uno sguardo distratto[.]”, mentre la struttura strofica irregolare è una tecnica originale che potenzia a dismisura la sostanza di valori umani universali così come gli elenchi d’immagini che sono identificazione, definizione e associazione di legami particolari,  ricordi o sentimenti. Attraverso il variopinto caleidoscopio delle parole, di cui molte con lettera maiuscola, assaporiamo il senso della profonda connessione tra la “Meraviglia”, lo “Spettacolo” e… la “Vita”.
Un’opera di straordinaria pienezza di vita che lascia intendere la soluzione dell’enigma della buona sopportazione di un percorso di ognuno, altrimenti invivibile; gli oscuri presentimenti e l’ineffabilità si raccolgono in un mosaico di sfumature emozionali, originano trasformazione e rigenerazione che man mano offrono allo stile ricchezza di armonie più colorite. Ogni essenza originaria è qui fascino e abbandono a una sorta di seduzione che alleggerisce la mente, esattamente come nel sogno, qui definito “origine e radice di ogni favola e futuro possibile”.
Senza cadere nella trappola dell’estetismo, assistiamo ad atmosfere surreali dannunziane ove la parola è epifania e viaggia senza seguire una logica “[…] il porto- l’orizzonte- il destino-la porta-la via” ma semplicemente suggerisce quel felice smarrimento del “dolce naufragar “che il grande Leopardi cita nei suoi ultimi versi dell’Infinito. 
Non è forse questo il compito del poeta? Ovvero cercare certezze al di là dell’imperfetto che troppo spesso corrisponde a un certo atteggiamento di vita, dove tutto risulta essere inappropriato nei confronti di quanto invece l’uomo sia destinato a raggiungere, secondo un modello divino “[…] il cuore sogna l’imprevedibile gioia[,]/ la nuova speranza[,] /l’attesa[.] … (Rivelazione)/ E incede il Giorno con passi divini”.

23 apr 2017

HaikUimia di Claudio Spinosa e Alessandra Prospero: il verso unisce e completa




HaikUimia è una raccolta di haiku; un nuovo progetto editoriale della Arkhé Edizioni – 2016 che unisce la poetica del sulmonese Claudio Spinosa e dell’aquilana Alessandra Prospero, creando così un connubio di arte e di energia ispiratrice. Le immagini grafiche della copertina ritraggono i simboli del sole e della luna, separati seppur concilianti, quale unione di due opposti a ordinare un nesso armonico tra luce, calore e creazione di passaggi di un rispettivo universo interiore.
In termini di filosofia orientale, è come riferirsi alla dualità maschile e femminile, dello Yin e dello Yang, sebbene qui i colori utilizzati siano il bianco e l’azzurro. La stessa grafica si ripete nelle pagine di ogni singolo haiku: il Sole per Claudio Spinosa e la Luna per Alessandra Prospero.
Nei versi si evince una sincerità d’emozione che si manifesta in quella semplicità, in quella schiettezza e spontaneità d’espressione propria di questa raccolta, ove spiccano tre aspetti rilevanti: razionale, emotivo e volitivo. La brevità del genere haiku riflette il mistero del verso e si arricchisce di capacità riflessive e immaginative persino laddove c’è un velo di melanconia che si traduce in respiro vitale e unanime [Su nero asfalto/ricordi & intuizioni/Attraverso me] (C.S.) - [Crepuscolo blu/Nostalgia feroce/Lande lontane] (A.P.)
Una composta tristezza pervade all’avvicinamento del crepuscolo e le parole non dicono, non descrivono i moti dell’animo ma li suggeriscono indirettamente con la loro forza di simboli evocativi, la cui scelta appartiene all’abilità degli autori, in modo ch’essi non restino isolati ma che, con una dinamica sicura, producano l’effetto desiderato: [Luna distorta/Umano contrattempo/Occlude cieli] (A.P.) - [Umori grigi/Ora tarda di sera/Bisogno di me] (C.S.) Nella gioiosa ammirazione del bello, traspare un’eco quasi temporale, un soffio opprimente della caducità delle cose di questo mondo dove anche il ricordo ci assale, quando i pensieri si fondono con le emozioni suggerite dalla stessa natura. Uno scatto fotografico del trasporto dell’io nelle cose del mondo è qui spontaneo abbandono dello spirito in esse e intensa partecipazione alla loro ansia, alla loro vita, alla loro stessa essenza rendendo suggestività all’espressione [Alba gelida/Costruzioni mentali/Concatenate] (A.P.)
La bellezza della poesia haiku è sempre quella che si annida ovunque, sia nell’osservazione della notte che in quella del giorno, tra i germogli di una primavera e gli inverni dell’anima. La potenza di afflato si fonde con il riposo e la meditazione e le “Parole s’intarsiano” nei versi di “un’alchimia vincente” per una “gioia condivisa” che si trasfigura in passione e in quella spiritualità propria della poesia giapponese. Infatti, tale poetica mette in luce molti concetti tipici della filosofia giapponese che, per tradizione, persegue una sorta di “makoto”, di perfezione e veridicità che è anche profonda consapevolezza, non solo di ciò che siamo ma soprattutto di ciò che potremmo essere, se solo ci fermassimo più a lungo nei luoghi della contemplazione, semplicemente per riscoprire ciò che la frenesia del quotidiano spesso cela al nostro sguardo. HaikUimia: un titolo sicuramente ricercato e ideato con un preciso motivo;  a me non dispiace interpretarlo anche come “haikuemia” o “haikulimia”, considerando la personale attitudine dei Nostri verso tale componimento poetico.
Tra haiku e senryū, la cui grazia deriva dall’imperitura bellezza della semplicità, indubbiamente risaltano la tempra e l’incisività, caratteristiche essenziali dei due autori, quali eredità della loro terra d’Abruzzo.


30 mar 2017

LE PAROLE ACCANTO di Michela Zanarella: il verso incarna una sensibilità intuitiva







La vita la inseguo/come gatta randagia/sui cornicioni/affamata di lune opalescenti/frugando con gli occhi/negli strati del cielo

  



La nuova silloge “LE PAROLE ACCANTO” è un progetto editoriale crowdfunding di Interno Poesia Editore, approdato alla pubblicazione con ampio consenso di pubblico per una poetessa di valore quale è Michela Zanarella.
Il titolo della raccolta, senza alcun dubbio, è il primo elemento di riflessione, prim’ancora di addentrarsi in una corretta interpretazione del testo. Il termine “parola” è già un’evidente articolazione di un'ispirazione poetica, manifestazione più pura dell’essere che si pensa e si esprime nel linguaggio che maggiormente predilige. Nel caso della Zanarella, la voce poetica è la natura stessa del suo essere ove il verso incarnato è essenzialmente presente e “accanto” in ogni trasformazione del suo cammino. “Trascino nel mio inchiostro/il tragitto della luce[,] /il procedere dell’infinito”.
Dai meandri della memoria affiorano le immagini della bambina diventata donna, che non lascia nel vuoto il proprio percorso di vita bensì lo colma di parole, emozioni e affettività. Una poetica della semplicità e, allo stesso tempo, maggiormente matura ed evoluta, in un periodo di transizione in cui la scoperta dell’anima e il suo diventare familiare richiedono molto tempo e ripetuti incontri. I luoghi della memoria sono quegli spazi che acquistano un particolare significato emotivo, possono fare irruzione improvvisa e smuovere impressioni tali da renderli unici, poiché sollecitano inconsuete vibrazioni interne e stimolano a un dialogo interiore. La poesia è compagna di viaggio lungo un’analisi di sensazioni e sentimenti che sono rimasti sempre fedeli alla sua terra di origine […] una terra che mi sfugge solo nella distanza/ ma che è pur sempre/radice che confina col mio sangue”. Autentica virtuosa del verso, la poetessa riscopre un singolare sodalizio con i paesaggi a lei cari; ne trae una magica e rinnovata forza per luminose immagini dal potere evocatore “Non posso dimenticare/ le sere spese ad inseguire lucciole/tra i campi […]”, che restituiscono un senso alle scelte che, nel tempo, hanno assunto una particolare pregnanza esistenziale, marcando un momento di svolta o di rinuncia; le stesse che accentuano il desiderio del ritorno a una spensieratezza propria dell’infanzia.
Una profonda e intuitiva sensibilità pervade lo stile della silloge. La ricchezza di riferimenti costanti tra il cielo, la terra e l’essere ci fa comprendere quanto stretta sia la loro correlazione in ogni ambito della vita. Sulla volta celeste si muovono il sole, il vento, le nuvole, la nebbia, i gabbiani mentre sulla terra ci sono il grano, i fili d’erba, il fiume, la pianura e le strade polverose, tutti segni di un rapporto con la natura espresso da un simbolismo preciso che è rinascita, virtù e forza spirituale. L’atteggiamento rispettoso verso un creato che si congiunge con il cielo, dove anche i silenzi e le distanze generano presenze e non ombre passive nonché il perire e il rinascere, riescono a produrre commozione in chi rivolge loro il proprio sguardo.
In particolar modo colpisce il simbolismo del grano, termine più volte ripetuto nei versi e legato al dono della vita. Non a caso ritroviamo poesie dedicate alla propria madre, ove si evince un seno materno che è possibile paragonare al seno della terra. La perennità delle stagioni e insieme le diverse trasformazioni della vita umana investono il tempo di una funzione metaforica della maturità di ogni espressione, di ogni germe di sentimento e recuperano il contatto tra l’io e quella luce che arriva dal pensiero rivolto all’azzurro del cielo, al divino, in una sorta di totale affidamento.
Allora proviamo ad incontrare l’azzurro/che sia orizzonte o confine/ e lasciamo che sia l’alba a darci risposte/dopo aver sorriso alle stelle”.
Michela Zanarella irrompe nell’anima di ognuno con dignitosa pacatezza. È superfluo aggiungere che la sua poetica è consacrata alle immagini che lei penetra, non lasciando che le scivolino addosso soltanto le sembianze di un qualcosa che è cornice di un percorso.  La sua poesia così come la sua natura, fatta di silenzi, percezioni e riservatezza, ha imparato a “custodire il tempo”, si risveglia e si esprime nel momento in cui la sua anima ha trovato il centro di quelle emozioni, non più enigmatiche bensì suscitate anche da una rielaborazione psicologica “Apro la mia pelle ai giorni […] come se fossi al primo inchino/alla vita”. La vita segue una spinta che spesso non si delinea in modo chiaro ma sembra proprio che la Nostra percepisca già quel “[…] destino/ che mi chiede dove andare/ prima di orientarsi dentro al cuore”.