Le mie recensioni










È appena uscito il nuovo libro dello scrittore jesino Franco Duranti, dal titolo La fermata al Caffè Centrale, edito da affinità elettive di Valentina Conti. Trattasi di una narrativa, dal punto di vista formale e contenutistico, riconducibile a un genere letterario misto tra il Bildungsroman e l’Erziehungsroman (romanzi di formazione ed educazione), con evidenti caratteristiche del romanzo psicologico. La cover del romanzo, raffigurante una corriera stile retrò, da subito lascia intuire l’ambientazione anni sessanta, quasi a conferire maggiore animazione a una precisa retrospettiva culturale nonché ad uno dei tanti scenari pittoreschi del racconto. L’incipit della fermata della corriera, vicino al Caffè Centrale introduce il lettore e lo trasporta all’interno dei ventinove capitoli, divisi tra i mesi di novembre e dicembre. Protagonista è Fausto, un ragazzino di undici anni, giudizioso e bene educato il quale, a causa delle precarie condizioni di salute della mamma, viene affidato dal padre Renzo, alle cure della zia Flora, nubile e ancora una donna di bella presenza nonostante i suoi cinquant’anni. Faustino, così chiamato perché di costituzione esile e mingherlino, ritrovandosi fuori dal suo semenzaio… senza amici, senza mamma, senza certezze e improvvisamente catapultato in un mondo tutto nuovo, si sente abbandonato e trascurato, piomba in una profonda tristezza dove, in un increspato flusso d’identità, affiora un’interiorità pagata a caro prezzo. Sebbene la zia Flora, che vuole comportarsi come una vera mamma, ma non ci riuscirà mai e ogni altro familiare facciano di tutto per farlo sentire a casa, la mancanza della figura guida diviene peso predominante nell’animo di Fausto. La non presenza della mamma accanto a lui, l’allontanamento dalla sua città d’origine e l’affidamento intrafamiliare, destano in lui un improvviso disorientamento nell’affrontare le delicate questioni esistenziali di un’età alle soglie della pubertà.  

Persino la cameretta, da lui stesso definita ‘cella’, è metafora di un percorso che è mare in tempesta, pur restando un punto di osservazione privilegiato e un porto sicuro in cui rifugiarsi e dove Fausto avvia l’esperienza del dialogo interiore con Dio, in attesa di risposte concrete. È lì che ogni notte l’ansia da separazione si fa via via sempre più pungente, aumenta l’angoscia, i brutti pensieri lo assillano, mille interrogativi lo agitano, deve conviverci ma fino a quando? Sta arrivando il Natale, le voci sulla salute della mamma sono sempre più vaghe e Dio è ancora percepito come assente.

Tuttavia, se da una parte si sente solo ed inutile come un oggetto, riluttante e privo di interesse di fronte a qualunque situazione insolita, dall’altra, i nuovi incontri creano in lui una sorta di esercizio di libertà, con relazioni di tipo orizzontale tra coetanei e non, esperienze, sfide e nuove scoperte che lo portano a maturare prima del tempo. In particolare, la vera amicizia instaurata con il suo compagno di scuola Dolce, un ragazzino di campagna di appena un anno più grande di lui, lo aiuterà a comprendere le dinamiche di un diverso ambiente sociale, stimolando il sostegno reciproco e una maggiore attenzione alla virtù della fragilità e della condivisione.

Il tema dell’assenza-presenza genera il conflitto interiore di un disagio, di una soggettività frantumata e diviene centralità del romanzo.

L’arricchimento lessicale, le sequenze descrittive di personaggi, luoghi e ambienti e la competenza narrativa nonché l’abilità propria del Duranti nel raccontare gli eventi, con focalizzazione interna, in maniera chiara e ben strutturata, rendono partecipe il lettore e lo coinvolgono emotivamente.

La forte carica espressiva e l’attenzione ai particolari anche più insignificanti mostrano l’ipersensibilità del piccolo protagonista e i suoi opposti stati d’animo, tra presente e passato, giorno e notte, conforto e angoscia ma forte è anche il desiderio di compiacere soprattutto i nuovi amici.

Il romanzo è una storia toccante, imperniata sulla ricchezza di contenuto che fa riflettere dal punto di vista psicologico: fino a che limite si può sostenere il peso dell’assenza? Ed è proprio il giorno di Natale che Fausto si ritrova di fronte all’immagine di una mamma diversa che non riconosce perché lei stava lì, assente, con lo sguardo fisso rivolto alle lingue di fuoco che guizzavano nel camino…

Il regalo che attende da parte dei suoi genitori, alla fine non ha più senso, perché in realtà preferirebbe avere la mamma di un tempo: una donna di particolare e raffinata bellezza… gli occhi castani, con intarsi di pagliuzze nocciola, ma con lo sguardo offuscato da un velo di tristezza, quello stesso velo di tristezza che aleggia di continuo intorno a lui, imprigionandolo in quel penoso distacco. Nessun bambino dovrebbe vivere una simile esperienza, soprattutto nell’età dello sviluppo, in cui la figura della mamma è essenziale ed imprescindibile.

 

 

 










Fiore nel vento, l’ultima opera letteraria del poeta, scrittore e drammaturgo Oscar Sartarelli (Bertoni Editore- maggio 2022) è una silloge poetica appassionata e pungente, che riprende e amplia temi molto cari all’autore: il senso del vivere e la fugacità del tempo. L’arte poetica cattura scenari vividi ed espressivi sull’incedere degli anni, sulla fuggevolezza delle cose belle, di un momento intenso e di un’emozione positiva. Lo stesso titolo della raccolta conferisce il significato più profondo delle varie fasi dell’esistenza, l’immagine del fiore è metafora della vita, risultato dell’unione dell’essenza e del soffio, di cui il vento è sinonimo e anch’esso fonte di vita: “Sarò fiore nel vento e soffierò […] / per darti i miei occhi che vedono il vero”.

È attraverso il ricordo dell’infanzia che il sapore dolce del passato torna a farsi presente e la nostalgia di affetti vissuti e luoghi percorsi sono un mezzo per eludere le figure temporali del divenire e dell’eternità, rendendo più sopportabile il viaggio terreno. Nell’immenso alfabeto intessuto di ricordi, quale unica certezza poiché già vissuti, l’io lirico si ascolta: “[…] e ricerchi le radici del senso” mentre si fa strada la malinconia che è timore dell’ignoto ma, allo stesso tempo, apre a visioni di fiduciosa attesa di un luogo che è ritorno all’unità e allo stato primordiale: “La terra vivrà un nuovo paradiso [,] / d’incenso sentiremmo buon odore [,] /crollerebbe il muro che c’ha diviso [,] / liberi saranno pensieri e amore.”

Tutto nasce ma tutto è effimero e destinato alla fine; un solo sentimento sopravvive all’ansia dell’assoluto e del futuro incerto ed è l’amore, continuo e permanente, che racchiude una molteplicità di emozioni. In queste liriche, l’autore molto spesso lo rievoca nei confronti dei suoi familiari, degli amici, degli anziani e di chiunque soffra; con intima armonia ne accoglie la completezza con un senso di gratitudine, pur non dimenticando mai cosa sia l’esperienza della commozione che provoca uno stato di vulnerabilità: “Più s’attorciglia e più manca l’aria.”

Bellissimi gli haiku, perfettamente conformi alla percezione legata alla natura, anch’essi simboleggiano la fragilità e la transitorietà delle cose, a sottolineare la bellezza triste che si avverte con il trascorrere degli anni.

Nell’ultima sezione Brandelli di sogno, scopriamo liriche che vivono alla sospensione lirica come qualcosa di magico e illusorio, attraverso immagini evocative e incantate, la sete di eterno è una sorta di preghiera sospirata, l’animo poetico incontra prima l’oscurità poi la luce improvvisa, dove appaiono voci e visi di chi non c’è più: “Il buio s’infrange ed esplode la luce.” […] “Gli occhi sono pieni di luce/ e il fischio lascia il posto ad una soave melodia [:] / un sussurro d’arpa nel silenzio totale.”

L’opera del Sartarelli rivela una maturità poetica, armonizza la profondità del sentire con l’eleganza dello stile, con un recupero delle forme e dei versi della tradizione. Le liriche in prevalenza sono composte da endecasillabi e rime alternate, con un lessico a tratti più prezioso e ricercato, in aderenza perfetta dell’immagine alla parola.

Una poetica che, con compassione e coraggio, accetta il divenire come forma della vita stessa e dove l’amore, così come la luna, cresce, decresce e scompare per apparire di nuovo, in quanto luce universale; la sua morte non è mai definitiva: “[…] non vedrà mai nero chi ha sempre amato.”

 

 

 

 











Dalla parte del figlio è il nuovo libro di Giuseppe Filidoro, edito da Bertoni Editore (febbraio 2023), un romanzo psicologico illuminante e pregevole. La narrazione si fonde con una minuziosa analisi della parte più profonda della psiche umana, con estrema delicatezza oltre che con specifica conoscenza. Dalle sfaccettature comportamentali di ogni protagonista, si evincono tematiche complesse di disagi ‘sommersi’ quali importanti testimonianze di indiscutibile verità. Il romanzo individua con chiarezza e precisione il valore di equilibri familiari che coinvolgono una coppia e il rapporto genitori-figli e di come tali relazioni si ripercuotano su ogni singola esistenza e soprattutto, sull’immagine fornita verso il mondo esterno.

La scena quotidiana e rituale della prima colazione è l’incipit descrittivo della storia, coerente e credibile, di una famiglia tradizionale composta dalla triade padre, madre e figlio, protagonisti e narratori in prima persona. Ludovico è un padre molto preso dal lavoro, la sua attività professionale copre la maggior parte del tempo ed è eccessivamente esigente e meticoloso; Crystal è una bella donna, madre e moglie premurosa e compiacente ma palesemente insicura, nel suo tempo libero si diverte a postare le sue foto in rete; Samuele è il figlio quasi diciannovenne, diligente e coscienzioso che ogni genitore vorrebbe avere, studente brillante ma poco eloquente, sfuggente e abbastanza enigmatico: “Quando  ho voglia di estraniarmi dal mondo intorno a me mi concentro sulle mie mani […]Dall’età di cinque anni ho iniziato a superare i momenti di imbarazzo in questo modo”.

Da subito entriamo in contatto con l’intimità di un contesto familiare riservato, apparentemente normale e ben inserito nel tessuto sociale, come tanti altri. «La perfezione in tutto è l’obiettivo che ognuno dovrebbe avere nel condurre la propria vita» è il motto vigente quale simbolo di una famiglia felice. La loro esistenza scorre pacificamente nella convivenza domestica, nel lavoro, nelle amicizie e nello studio finché non emergono situazioni segrete e non sempre confessabili, che trasformano quella normalità senza macchia a cui i protagonisti ambiscono, in una realtà vulnerabile e ingannevole. In particolare, il bagaglio emotivo e gli strascichi di una mancata affettività nel passato di Ludovico e Crystal, ricordi e reminiscenze di traumi infantili rimossi come fantasmi ma mai risolti, sono costantemente presenti. I pensieri, espressi sempre con monologhi interiori, inconsapevolmente, ingabbiano in meccanismi disfunzionali che non danno pace, condizionano e determinano ogni futura azione e personale visione dei fatti.

Al contrario, la personalità di Samuele, chiamato Sam, poco visibile nella prima parte del romanzo, si concretizza solo dalla descrizione della sua camera, il cui accesso è proibito ma dove Crystal entra comunque e di nascosto: “Mi sento inquieta. In questa camera ci sono un silenzio e un ordine irreale […] Mi chiedo cosa non conosco di mio figlio”. A quanto pare, Sam è un adolescente tranquillo, non ha mai causato alcun problema ai suoi genitori, all’ultimo anno di liceo raggiunge il massimo del profitto tanto da meritare una borsa di studio per l’Università di Harvard. “Samuele è sempre nella sua camera a studiare, concedendosi un’uscita solo al sabato sera con i suoi due amici, Dado e Filippo”, entrambi soggetti strani: Dado ha un carattere un po’ ribelle mentre Filippo è un ragazzo fragile ma Sam si trova bene con loro, li protegge e allo stesso tempo, li domina da vero ‘capobranco’. Vanno spesso a giocare a bowling e si eccitano nel fare strike: un gioco che si dimostra tutt’altro che strumento ludico e di divertimento.

Tutto è ‘razionale’ nella logica delle emozioni ma l’etichetta della perfezione che Ludovico ossessivamente pretende da se stesso, dalla moglie nonché dal figlio, inizia a vacillare. La narrazione suggerisce che l’equilibrio familiare è indubbiamente fittizio, esiste solo in virtù di un’illusione narcisistica della famiglia perfetta pertanto, destinato a rompersi. Inizia tutto quando Crystal scopre l’esistenza di un diario che Sam è solito scrivere quando si chiude in camera: “Tutti i ragazzi hanno un diario […] Le pagine sono scritte con caratteri insoliti[.] Le lettere maiuscole sono finemente disegnate, con orli colorati e volute e le lettere minuscole terminano tutte con una specie di virgola ricurva, un segno che avverto come minaccioso, non so perché”.

Secondo la concezione pirandelliana la «trappola della forma che imprigiona l’uomo è la famiglia» e per Sam, infatti, il suo ambiente familiare è opprimente, pieno di ipocrisie e menzogne; le personalità dei suoi genitori sono delle illusioni: “Mio padre e mia madre sono entrambi piuttosto insignificanti, ma in fondo mi sembra siano buone persone”. Nei suoi scritti Sam si rivela senza inibizioni, non finge di essere qualcosa di diverso, mostra chiaramente il senso apatico, frustrato e cinico della sua esistenza nonché la sua predisposizione aggressiva.  Il mondo bello e pulito gli va stretto, vuole avere più esperienze, manifesta la voglia di riservatezza, vede i genitori sotto un’ottica completamente diversa. Un atteggiamento quale primo segnale di un temuto allarme tuttavia, sottovalutato dai suoi genitori.  Essere genitori è l’esperienza più difficile che ci sia, non esiste un manuale istruzioni e può accadere che figure adulte della famiglia siano esse stesse in difficoltà nell’ affrontare il dolore a livello emotivo o peggio, abbiano per prime la necessità di essere aiutate.

Dal punto vista tecnico e strutturale, nella sequenza dei capitoli, sono presenti sia dialoghi diretti che brevi messaggi di telefonia, a conferma dell’attualità degli argomenti; il procedimento narrativo è ricco di metafore, simbologie e utilizza l’analessi, interrompendo il presente per raccontare eventi passati, quali elementi essenziali per una maggiore comprensione dei fatti. La trama coinvolgente ed emozionante, lo stile e la struttura ineccepibili, rendono il romanzo una valida esperienza di riflessione e consapevolezza, oltre che un’ottima lettura.

Da sottolineare gli aspetti della psicologia delle emozioni e del disturbo psichico, con una naturalezza che determina un passo avanti, al fine di sdoganare dei temi ancora poco diffusi, dissimulati quasi sempre dietro la vergogna.

La penna di Filidoro è un inquieto scatto fotografico che denuda da tutte le angolazioni e offre una nuova e sorprendente comprensione umana di cause e conseguenze, in quel concetto fin troppo stereotipato di disagio giovanile, che diventa esistenziale nel momento in cui manca la realizzazione del Sé futuro e del mondo. Partendo dalle esperienze genitoriali, ci si rende conto degli infiniti lati oscuri ereditati e troppo spesso, dietro la trappola del perfezionismo si celano vere e proprie psicopatologie. Si nasce in famiglia, si deve poter nascere da una famiglia sana e normale ed è compito della famiglia introdurre il figlio alla vita e ai rapporti sociali. Ma, soprattutto, oltre all’amore, è importante l’accettazione dei propri figli, nel rispetto della loro unicità. La famiglia perfetta non è mai esistita, si rivela un fallimento anche nella finzione.

Dalla parte del figlio: un’opera dove le problematiche di ‘ferite’ irrisolte danno origine a qualunque cosa… l’interpretazione dell’epilogo della vicenda familiare, più che attendibile, spetta ai lettori.





















Le dee nude nel Mediterraneo- Storia di Bartolo e di una Madonna velata (Amazon 2022) di Enzo Fabbrucci e Maria Antonietta Pirrigheddu è il primo volume della collana “I libri dell’alba” del marchio editoriale e canale YouTube denominati I 9 Cieli.

Un’arte visionaria e simbolica inaugura il fortunato connubio tra un pittore-scrittore e un'attrice-scrittrice, due lodevoli e promettenti artisti dello scenario culturale contemporaneo.

Un affresco raffigurante la Vergine, conservato nella Cella del Poggio dell’abbazia benedettina del Sasso “a ridosso d’un picco isolato lungo la via Flaminia” e il suo “volto sfigurato”, rappresentano il fulcro della storia. Bartolo, talentuoso pittore incaricato del restauro e donne di straordinaria bellezza “col sembiante di Madonna”, accorse dalla riviera al monte per posare come sue modelle, sono interpreti di affascinanti e suggestive riflessioni. Il linguaggio del corpo femminile trasmette a Bartolo la vera essenza oltre l’apparenza fisica ma, allo stesso tempo, diviene enigma da risolvere per portare a termine il difficile restauro. Una donna, in particolare, sorprende e suscita il vivo interesse di Bartolo, che ne rimane estasiato perché: “il volto e il corpo della sconosciuta combaciavano perfettamente con quelli della Madonna”. Enzo Fabbrucci e Maria Antonietta Pirrigheddu sono narratori onniscienti di un libro culto, in cui intreccio e immagini di muse ispiratrici si amalgamano e si organizzano in archetipi che non smettono mai di pulsare; quasi come vera e propria canalizzazione di un passato tra mito e leggenda, creano affabulazione mentre raccontano visioni intuitive ed oniriche, come si evince dalle stesse didascalie che accompagnano i dipinti. Il tema dà voce a realtà molteplici, diverse e parallele, intercetta scenari possibili quale metafora di ciò che non si conosce ma che può essere scoperto. La Madonna Velata dell’affresco così come ogni donna illustrata rievocano mistero, sfaccettature arcane e segreti nascosti di luoghi “lungo lo stivale dell’Italia” […] “in cui sopravvivenze di un passato arcaico si oppongono alla storia, o alla logica della filosofia aristotelica”.

L’opera, prendendo spunto da un pensiero visivo e immaginativo, offre una maggiore comprensione e nuove prospettive tra passato, presente e futuro. Uno stile condiviso, con esposizione fluida ed equilibrata per un lessico ricco e appropriato, trascende le modalità ordinarie di una semplice narrazione; ne risulta una dualità tra realtà e percezione, un percorso iconografico ricco e trasversale in grado di stimolare e liberare l’immaginazione. Pittura e scrittura si trasfigurano in simbolo di evoluzione e cambiamento, conferiscono originalità e intensità emotiva, rendendo la pubblicazione una valida produzione di un differente codice di comunicazione culturale. Le dee nude nel Mediterraneo… per una lettura interessante e coinvolgente.




















Ogni nuova pubblicazione comporta inevitabilmente un lungo percorso di ricerca, studio e duro lavoro, ne è ben consapevole il Nostro Antonio De Signoribus, da sempre dedito alla stesura delle fiabe il cui genere originale, ironico e appassionato riaffiora ogni volta più incisivo in quel vasto e affascinante universo che è la cultura orale. Il suo Colpa del gatto con sottotitolo Fiabe, Fiabine e Fiabacce (Edizioni Zefiro Srl) è un’ulteriore conferma di un lavoro certosino, frutto di un’instancabile passione per la tradizione popare. La nostra storia è intessuta di narrazioni fantastiche e le fiabe, viaggiando nel tempo e nello spazio, ne rappresentanità e profondità emotiva, capace di modificare, alterare e rimodulare gli schemi, inventandone di nuovi.

Parliamo di fiabe divertenti e tristi, assurde ed edificanti, dall’interpretazione ironica e contemporanea che riflette l'anima e la coscienza delle persone; ci permettono di accomodarci e rilassarci di fronte a suggestive ambientazioni dove lo spazio si dilata, il tempo non è più un ostacolo e l’effettiva ricchezza del retaggio orale acquista nuovo vigore. Caricature comiche e grottesche propongono un messaggio universale di rispetto e di comprensione reciproca, storie all’apparenza piccole, semplici come tutte le fiabe tramandate nei secoli, il cui processo narrativo avvicina sensibilmente il piccolo lettore così come il mondo adulto. Tradizionalmente il racconto fiabesco consegna una metaforica e semplificata spiegazione della vita, ha una valenza pedagogica di rappresentazione e ascolto condiviso. Tra le righe il messaggio funzionale alla crescita del bambino, insegna a essere gentili, umili, obbedienti, rispettosi ma anche coraggiosi ed intraprendenti. Attraverso le difficoltà della vita si riceve un’indicazione di via d’uscita, di conquista e risoluzione dei problemi oltre che il godimento di uno spazio di unione familiare e spirituale. Ogni pagina si carica di una forza speciale, si snoda in trame lineari affrontate con linguaggio semplice e immediato ove il discorso diretto, arricchito da modi di dire, aneddoti e ripetizioni, mantiene viva l’attenzione del lettore-ascoltatore e lo contagia con sana allegria. La presenza dei tre elementi narrativi: protagonista, antagonista e alleato magico, solitamente rappresentato da una figura mediatrice ideale buona o cattiva e la mescolanza della realtà con l’elemento fantastico, trasformano il racconto in strumento di bontà e giustizia, capace di domare i cuori e la furia degli eventi. Generalmente, tra intrecci di esperienze quotidiane, festeggiamenti e rituali, vi operano re e regine, donne e uomini comuni nonché il consueto contadino; in lui in particolare, si riassumono tutte le risorse di furberia abitualmente attribuite e sfruttate con arguta semplicità. Quasi tutte le storie hanno un lieto fine: il bene trionfa sul male, la virtù viene premiata, l'avidità e la stupidità vengono punite senza pietà; soggetti insopportabili e creduloni vengono bonariamente scornati e castigati offrendo così un finale denso di molteplici fattori quali ingredienti di una letteratura popolare.

Infine, le formule rituali di tempi e luoghi indefiniti: “C’era una volta… “tanto tempo fa, nei pressi di una chiesetta di campagna…” “E vissero felici e contenti…” ci lasciano sempre soddisfatti e appagati della nostra scelta.

La letteratura di ogni regione italiana è radicata nell’oralità. Le trasformazioni sociali e il rapido cambiamento delle tendenze nell'arte ci sollecitano sempre più a proteggere e preservare l’inestimabile patrimonio dell’arte popolare affinché anche le successive trascrizioni e riscritture del folklore narrativo non cadano nell’oblio.

Grazie all’opera di De Signoribus improvvisamente saremo tutti catapultati e coinvolti nella rappresentazione di un mondo meraviglioso dove si possono superare i limiti del condizionamento mentale e rompere così gli schemi della propria rigidità.

Attratti e incuriositi dal titolo “Colpa del gatto”?  In fondo siamo nel mondo del tutto è possibile… senza dubbio non mancheranno ottimo intrattenimento e ironia.

 

 

 

 

 




"[…] infanzia significa meraviglia, fantasia, creatività e spontaneità,
mentre la condizione adulta significa la perdita di queste facoltà

(James Hillman)

 

Torna a sorprenderci lo scrittore Antonio De Signoribus con la sua ultima opera “L’uovo di cavalla” (Edizioni Zefiro- Fermo), una miscellanea narrativa suddivisa in sette capitoli, lepidezza di una lettura che vuole essere anche un perfetto augurio per un futuro migliore. Ogni sua opera è un lavoro impegnativo, un percorso scolpito e consolidato nel tempo, una ricerca accorta e accurata di quella narrazione orale che è trasmissione e recupero del multiforme patrimonio culturale di una letteratura popolare. Pacato ma arguto allo stesso tempo, attraverso un linguaggio semplice e metafore facilmente comprensibili, l’autore ancora una volta avvalora una notevole familiarità e una distintiva versatilità nel delineare un universo abitato da quel principio di verità e insegnamento morale rappresentati dalle fiabe, dalle leggende e dalle più disparate forze misteriose, a volta così indecifrabili dai sensi e dalla razionalità umana. Stimolanti e coinvolgenti nonché esilaranti, le trame di leggende, aneddoti e racconti incarnano e profilano le molteplici sfaccettature di peculiarità fisiche e caratteristiche comportamentali sia di gente comune, come contadini e garzoni sia di nobili signori, re, principesse ed ecclesiastici; luoghi stregati da inspiegabili malie dove germogliano e nascono esseri invisibili ma di cui si percepisce l’animata presenza, interrompono certezze e scatenano ansie e timori. Una realtà in continuo movimento tra storie di raggiri, magie, furbizie ma anche racconti di uomini astuti e scaltri donano un sorriso a piene labbra e sono un chiaro invito a celebrare una felicità spontanea fuori della coscienza della ragioneFiducioso nel costante valore anche antropologico dell’oralità tradotta in scrittura, De Signoribus si serve del suo usus scribendi per una continuità di un genere letterario che è apporto educativo verso una crescita più genuina e ci mostra quegli elementi simbolici di un susseguirsi di stati d’animo e passioni sinonimi di un’esplorazione dell’animo umano quale fondamento di storie tradizionali che generano le più svariate emozioni e soluzioni. La narrazione contempla un gusto letterario che trascina e contagia, in un repertorio di personaggi gentili e volgari, patetici o ridicoli, timidi o aggressivi, ogni loro vicenda basta a popolare una sorta di teatro dell’esistenza. Lo scrittore che indubbiamente ha competenze specifiche, non si limita a trarre e riformulare storie da fonti del passato bensì le arricchisce con il suo pensiero creativo e la sua capacità inventiva, dando vita a un progetto umanistico di oralità-scrittura che svolge un importante ruolo sociale, culturale e direi, anche con intento pedagogico, giacché le sue fiabe sono destinate a un pubblico di diverse fasce d’età. Elemento trainante non di poco conto è lo sguardo che fruga nella realtà e ne rivela il sostrato misterioso ove la forza della fantasia smembra e frantuma la pesantezza del reale con la semplicità di una struttura linguistica spiritosa e ironica. Dietro ogni fiaba esiste sempre un significato occulto e un potere suggestivo, per cui anche eventi in apparenza insignificanti creano uno strano gioco di reazioni e sensazioni; anche frasi canoniche come “C’era una volta” - “Larga la foglia, stretta la via, dite la vostra ch’io detto la mia”, infine ci pongono sempre una domanda: “Sarà tutto vero ciò che si vede e si sente?” Sta a noi scoprirlo, semplicemente leggendo e prestando ascolto a storie che riemergono dal passato per liberarci dai nostri dubbi e dalle nostre paure. Accogliamo e raccogliamo nella nostra vita quel tanto che fin da tempi remoti ci hanno tramandato per godere di un’inesauribile fonte di evoluzione e saggia leggerezza.

 















All’alba di ciascuna solitudine c’è sempre un vuoto che non si è più colmato



Aldo Montesi è il protagonista del romanzo “Il sole tra le mani” di Roberto Ritondale (Leone Editore- 2017). Chi è Aldo: un uomo indifferente, cinico, insensibile, che si nutre delle lacrime e delle emozioni altrui o, in realtà, è semplicemente un uomo che ripercorre a ritroso la storia della sua famiglia per riscoprire un’identità in parte smarrita, in parte volutamente rimossa? Aldo ha bisogno di tempo per ritrovare se stesso, per riconoscersi e finalmente fare pace con quegli angoli nascosti del suo cuore, della sua emotività, chiusi negli anfratti della sua stessa memoria. Essenzialmente la narrazione ci mostra un personaggio a tutto-tondo, un “malincomico” che si affaccia sulla natura umana, intrappolato nel costante processo tra oscurità e luminosità, in un viaggio di coscienza attraverso i dolorosi capitoli di un'infanzia interrotta da un tragico evento quale l’improvvisa morte della madre “È da quel giorno che rubo lacrime straniere”. In età adulta, affetti familiari, amori e amicizie si confondono con segreti, silenzi e amare scoperte, sorretti da moventi di amore/odio. Aldo non trova più l’unità del suo essere, è consapevole della propria disgregazione interiore, fin troppo evidente per quel senso di triste, melanconica ironia della sua vita che accentua il carattere cosciente-incosciente di ogni suo comportamento.
Personalità sdoppiata in multiformi aspetti dei quali l’uno non si ritrova nell’altro; un insieme di personalità incompiute di povera vitalità, apparsa nelle varie fasi di vita e subito cancellata, scacciata dalla successiva. Memoria, perdita, ritrovamento si inseguono continuamente e, solo quando si incontrano, riescono a identificarsi e darsi un senso, in una sorta di memoria involontaria proustiana. Il ricongiungimento con se stesso e la disillusione imperante di losche questioni a lui sconosciute, spingono Aldo ad una svolta cruciale che lo porta in India dove vive in prima persona il terremoto- maremoto del 26 dicembre 2004. L’evento drammatico lo segna profondamente ma allo stesso tempo pone rimedio alla sua condizione psicologica, apre un nuovo cammino da seguire per annientare quel dolore che lo attanaglia da sempre. Egli scopre un particolare dono e come questo può essere utilizzato al meglio per aiutare gli altri e valorizzare la propria autostima.
Un innovativo e peculiare rapporto tra contenuto e forma di una parola viva e concreta di un’opera strutturata in sequenze narrative dialogiche e omodiegetiche nonché una precisa filosofia di vita e profonda riflessione caratterizzano il linguaggio e lo stile sempre molto profetico, allusivo e aforistico, rendendo il nostro Ritondale un abile scrittore in ogni sua esperienza letteraria. Una trama che affascina per i tanti simboli ed enigmi di un vissuto che possono ampiamente riferirsi a chiunque ove la parola affidata al protagonista è bivoca, in quanto riflette l’ideologia dell’autore nonché altri aspetti della sua personalità.
Lo scrittore trova così una nuova opportunità per indagare l’animo umano e cogliere quelle capacità, non sempre visibili allo sguardo altrui, di stare a contatto con le proprie emozioni per poterle gestire al meglio. Il romanzo è una storia che parla di amore inteso quale amore universale; dolore e amore si congiungono e infine si completano dando vita a un nuovo inizio, l’avvio verso una nuova fonte di energia “Il segreto, mi dico, sta tutto nell’aprirsi, donarsi agli altri. Nel farsi tempio riciclando il dolore.”
Ritengo che l’opera sia un atto di lealtà che sgombra il campo letterario e quello etico di alcuni pregiudizi convenzionali, ridimensionando per così dire, anche il dramma della morte e della solitudine, nell’attimo stesso in cui si ha “la forza per uscire dall’isolamento […]  per dare un calcio al vuoto, diradare la nebbia, scacciare la solitudine.” Alla base, la prospettiva della ricerca di uno scopo superiore che è soprattutto crescita spirituale. Allineandoci ad aiutare e non solo a livello fisico, possiamo stemperare le paure e smettere di soffrire per ciò che non siamo più e mai più saremo, sviluppando una piena guarigione spirituale. 
    













La poetessa Nanda Anibaldi



ma c’è un intermezzo una pagina bianca una frazione di
                                                                     secondo in cui anche il cuore si prende una pausa; c’è
                                                                      il momento della stupefazione – magia dentro le cose
                                                                                                                      


Di nuovo attratta e affascinata dalle liriche di Nanda Anibaldi, mi ritrovo a scrivere di una poetica che non si può piegare a interpretazioni semplicistiche bensì va contemplata e goduta nella totalità di una cifra stilistica identificativa. Eleganza e distinzione oltre che tante implicazioni culturali e biografiche, trasmutano nella raffinata elegia di una poetessa abilissima a coniare parole mentre si confronta con una memoria ecoica ed iconica; l’asperità e la rugosità della vita diventano veri e propri solchi nell’anima (De rugis- Il Lavoro Editoriale, 2012), operano estreme e sottili epifanie di un umanesimo di voluta impronta.
Costante interlocutore è l’autentico legame con i luoghi e ogni loro silenziosa energia, fusione letteraria ed esistenziale di quell’intimo paesaggio avvolto nel mistero, quasi uno stato di veglia di una sovramemoria o iperemnesia poetica che dà origine a momenti salienti di un io lirico dalle scoscese altezze, tra intimità sentimentali e un gran bisogno di togliersi da un mondo rumoroso e meschino “come se dovessi riprendere i giochi interrotti/i progetti irrisolti/la spensieratezza attaccata alle siepi/affilate da forbici pietose”.
Rapita dalla memoria trasvola sopra terreni noti e ignoti, con prodigiosa cronologica concentrazione, la poetessa acuisce e amplia quel dono della visività in lei costituito e preminente, mescola immagini poetiche evocative a espressioni più concrete e quotidiane.
La dorata tenerezza del ricordo avvolge e unifica quel mondo che è ingresso nel sentimento di un sublime ove si delinea la bellezza infinita di un’eredità tradizionale di cui la Anibaldi è pregevole custode. Esistono dolori che non passano mai e ingenerano conclusioni di un universo interiore di legami unici e irripetibili “Più nessuna cosa è al suo posto/tanto da far meraviglia questo inverno di luglio”. In particolare, la silloge “Fammi sapere” (AndreaLivi Editore- ottobre 2016) ripercorre la sofferenza per la perdita del fratello Arnoldo, poliedrico artista; il dolore travolge il verso in una serie di schizzi, ritratti e scene di genere “la tua assenza è presente/quando vorrei interrogarti/e avere risposte” rendendo emblematico quel senso di esclusione e di sradicamento che l’assenza genera ma che, allo stesso tempo, non smette mai di congiungere per vocazione figurativa “[…] libero da ogni laccio/per cercare le forme e levigare la materia/dentro quell’amore senza il quale/non saresti nato”.
Un incedere brillante e originale orienta il verso in un viaggio attraverso l’anima per ricercare la verità e i perché di un distacco mai superato ed esagitato tanto da traboccare continuamente in pathos quanto più autentico e profondo di un rapporto che va oltre il legame di sangue, perché appartiene a un vissuto condiviso in ogni sua forma e sfumatura “Oggi avremmo potuto parlare d’arte/la pioggia e quest’autunno di luglio/ci avrebbero indicato che e come”. Il lessico riflette la nobiltà degli affetti, anch’essi simboli della vanità e caducità della vita “ti vedrò di nuovo camminare e venirmi incontro/per dirmi del tuo viaggio”, proposizioni interrogative che sono ancora aperte ma non esigono risposta, a esprimere il dubbio, la sospensione del pensiero. Nelle sue opere si mescolano e si alternano i due motivi essenziali della labilità e della permanenza, della vita apparente e della vita vera. Dalla stessa identità di parola e spirito la Anibaldi deduce la possibilità di una redenzione del mondo attraverso la parola; le sue liriche, ricche d’intensità emotiva e commozione estetica, accentuano la maieutica personale dell’autrice che ritroviamo in tutta la sua produzione letteraria, così come nell’opera dedicata al Natale (“Scrivere il Natale” - AndreaLivi Editore febbraio 2019) ove si conferma che il linguaggio poetico non nasce dal nulla ma si può acquisire solo dopo una ricerca costante e accurata. Tra atmosfere magiche, nostalgia e assenze, la festività del Natale è pur sempre “brivido dell’emozione”, ritorna ogni volta ad ancorare tradizioni, tracce e testimonianze di un passato riflesso nel presente seppur fugace “Non rubatemi il mio natale/pieno di assenze/sui cieli decembrini/ dove si specchia la fatica/di procedere”. Inevitabilmente il peso degli anni e le ferite dell’anima modificano la sensazione del tempo sebbene la poetessa riesca perfettamente a gestirla grazie alla caratteristica distintiva dell’ironia. Le sue fughe liriche interrogano l’immagine mentre la parola sonda l’indicibile in una versificazione che ripensa e riscrive la modernità al di là di ogni convenzione letteraria e la rappresenta nel cuore della stessa senza alcuna “ovvietà”, quale innovativo salto semantico a garanzia di autenticità e versatilità.















La filosofia del sole” (Edizioni Ensemble srls) è la nuova pubblicazione di Michela Zanarella, poetessa ormai veterana del verso poetico che, da sempre, equivale a una sua seconda pelle. Questa volta, tuttavia, la silloge è un nuovo incedere, ci troviamo di fronte a una differente Zanarella, un io poetico che trasmuta in un altro sé.
Il sole è la sorgente della luce, del calore e della vita. I suoi raggi raffigurano le influenze celesti o spirituali ricevute dalla terra “Sistemarsi l’anima/con un segno di luce”, oltre a vivificare, esso rende tutto visibile e accentua l’estensione di un punto di origine mentre misura lo spazio “oltre le spalle del tempo”. La luce è conoscenza intuitiva e immediata mentre la luna è conoscenza di riflesso, razionale e speculativa “silenzio che smuove parole d’amore/come passaggi d’anima/intorno a una luna irrisolta”. Sole e Luna corrispondono rispettivamente allo spirito, all’anima e alle loro sedi: il cuore e il cervello. Essi sono l’essenza e la sostanza, la forma e la materia, una sorta di inabitazione che ora è centro pulsante dell’interiorità della poetessa.
Dalle liriche si evince una decisa evoluzione verso un andamento costante dell’esistenza, una visione maggiormente distaccata e serena della realtà che trova le virtù di sopportare con animo tranquillo ogni avversa fortuna e ogni emozione, nel totale affidamento ad una luce che è metafora di illuminazione, di profonda crescita interiore. La razionalità e la concretezza si affievoliscono e lasciano intravedere altre luci che il tempo ha velato; si dissipano dubbi e paure, tutto diventa più comprensibile e pieno ascolto “Se l’amore è comunione di cielo e terra/e anime giuste/allora è fuori dal sudario della carne/la genesi azzurra/reminiscenza di chiarore”.
Incisiva e profonda la certezza di una sopravvivenza dell’anima al corpo e di un riproporsi dell’amore che si mostra nel punto più altoIl sole è l’amore fatto raggio/che accorcia le distanze/e illumina le cose[.]/Innamorarsi significa/radunare l’alba negli occhi”, nell’incontro dell’anima con se stessa ove la poesia è vicinanza al principio, a quel profilarsi del tempo che è eterno istante.
Una poetica ascetica e saggia ove la specificità della parola si pone in relazione col divino e col sacro, risplende di luce propria seppur ispirata, fluida e inarrestabile nel suono e nelle immagini. Un nuovo stile che riscopre quel legame originario e antico della poesia con la musica e risponde a un’esigenza di verità nonché a un progetto comunicativo. La visione di sé e del mondo si trasforma in esperienza di credente e in ogni lirica si delinea una presa di coscienza di quanto poco possa essere l’uomo senza la presenza di Dio, il quale non nasconde l’essere bensì lo custodisce. “[…]si farà amore un bambino nella culla dei secoli/e il cielo ci ricorderà che siamo figli/di un mondo imperfetto/nella vita che inciampa per le strade e ritorna vento”.
L’intensa vitalità della produzione poetica della Zanarella raggiunge qui un livello di forza formativa, si apre all’originalità e si discosta dal modello stilistico delle precedenti raccolte, generando una variante nella testura poetica. Sono più che certa, “La filosofia del sole” susciterà notevole interesse e profonda attenzione da parte della critica.



















La città senza rughe” (BookRoad- maggio 2020) è il nuovo romanzo di Roberto Ritondale, redattore Ansa e scrittore talentuoso. Mi permetto di definirlo così, con cognizione di causa, poiché ho già avuto modo di valutare e motivare le sue innate doti di abilità e originalità in occasione di un concorso letterario nel lontano 2016.
Esordio della narrazione è l’anno 2030, in un contesto socio-politico proiettato nel futuro, il percorso impresso all’opera nasce dall’intelligenza emotiva e percettiva dell’autore, un ipotetico scenario ma sottolineo…  non del tutto assurdo, di una Como città-stato: una Novum Comum governata dal regime autoritario del colonnello Ebe, basato su una iuventucrazia che ha per scopo quello di metter in atto una vera e propria mutazione antropologica, un modello sociale dove dominano “smartphone e eyePhone, computer, tablet, droni e dispositivi di controllo individuale”. Trattasi di un romanzo sociologico che empaticamente riflette e racchiude in sé dubbi, ansie e paure comuni profondamente attuali quale ritratto di un universo chiuso e allucinante, una metafora perfetta di un processo tecnologico e una disuguaglianza che impoverisce le menti e le anime tutte. Tra i personaggi troviamo il colonnello Ebe, visto da tutti come dotato di grande abilità e lungimiranza ma che in realtà dimostra la pochezza di chi si affida solo al desiderio di potere, preso dalla folle convinzione di allontanare gli anziani che, a suo parere, sono ostacolo alla sopravvivenza e alla crescita dell’intera comunità, dimenticando che senza passato non esiste futuro e che quella fase avanzata di vita s’identificherà infine nella sua stessa paura del proprio divenire; la coraggiosa settantacinquenne Etilla, madre di Memo e nonna amorevole di Ezio, adolescente aspirante scienziato, Ippolita, Tespi, Ocno, Lisa, Marco Catone, Melampo, Pitteo e tanti altri, ognuno descritto da Ritondale quale protagonista di vicende avvincenti, nel susseguirsi di peripezie che accomunano in diversi stati d’animo ma con un’unica tensione narrativa, il climax finale, epifania di una sensibilità e una coscienza risvegliate che si palesa il 15 agosto 2040. Varie le tematiche toccate dall’autore: digitalizzazione, senilicidio, bullismo, immigrazione, anaffettività, solitudine, irresponsabilità e irrispettosità rendono questo testo letterario strumento di denuncia verso una società che premia le apparenze e riduce gli esseri ad automi senza una volontà propria, poiché facilmente condizionabili ai fini di interessi economici e di assoluto potere “Tutto è pronto per celebrare il valore della bellezza, la forza della disciplina, la propulsione dell’operosità produttiva, la potenza della giovinezza”.
Dal punto di vista stilistico, abbiamo a che fare con accuratezza di forma e struttura, che si sviluppa in perfetto ordine e si uniforma al migliore modello di narratologia. Nota essenziale è la perspicuità del narrare a delineare i contorni di una parola viva e spontanea, un linguaggio figurato che giova alla chiarezza e alla brevità, attraverso dialoghi spontanei, pensieri, ricordi, tra neologismi “buoni” di etimologia latina, madre della nostra stessa lingua e, a tratti opportunatamente utilizzata nella stesura; così come la non casuale scelta di nomi storici e mitologici nonché di citazioni in esergo, sono frutto di un’ispirazione ben centrata. Più che il successo di un futuristico processo evolutivo, l’autore mostra e dimostra che i nostri valori più preziosi risiedono in noi da sempre e che nessun regime può cancellare la nostra natura e la nostra etica. “La città senza rughe” sottolinea quell’impronta sensibilmente rispettosa che è amalgama ricco di esiti e suggestioni che commuovono e, allo stesso tempo, suscitano nel lettore empatia e condivisione d’intenti e di sentimenti. Tenace e costante la volontà, volta a confermare che occorre imparare dal passato progettando il futuro non distruggendo e alienando il nostro patrimonio culturale bensì conservando i più alti valori delle nostre origini, quali la poesia, la musica, gli antichi monumenti; tutto ciò che è memoria è prezioso.
Ogni regime totalitario è caratterizzato soprattutto dal tentativo di controllare capillarmente la società in tutti gli ambiti di vita “Lui promuove il nozionismo, non la cultura, come tutti gli uomini superficiali. I poeti gli fanno paura perché scavano nella mente e nell’anima, guardano oltre l’orizzonte… E con le parole i poeti costruiscono ponti”.
Il mio personale elogio verso un’opera, a mio avviso, decisamente metapsichica, soprattutto laddove esiste un chiaro messaggio premonitorio e ammonitorio riguardo il tema della vecchiaia, invitando e contribuendo ad acquisire consapevolezza che le “anime deboli che non sono utili alla nostra comunità” in realtà suggellano le virtù dell’esperienza, del buonsenso e della purezza d’animo.












Nel giardino di Hermes” è la recente pubblicazione poetica della scrittrice e giornalista Alessandra Prospero, edita per la collana Criselefantina dalla Daimon Edizioni, casa editrice da lei fondata e diretta. Simbolico ed evocativo il titolo della silloge che coinvolge Hermes, la divinità mitologica messaggera per eccellenza nonché dio dei poeti e, come mediatore fra il cielo e la terra, garanzia di forza elevatrice. Il giardino, specchio di una realtà interiore, è energia e percorso di consapevolezza oltre i cinque sensi ove la poesia, come un mantra, libera l’anima e illumina il significato di ogni percezione e sentimento. È qui che la poetessa si pone in ascolto, si prende cura di se stessa e delle emozioni e il suo canto-visione si trasforma in un luogo di guarigione attraverso la parola poetica “Qui trovo la Poesia della Sera [,] / quegli aromi che solo Tu/ sai ripescare dall’oblio/ […] perché Tu sei strumento umano/trascendente e divino”, in sottile intimità e contemplazione dell’amore in ogni suo risvolto, universale e personale. L’ispirazione si traduce in una creatività permeata dallo spirito e dalla materia, contrapposti in una ricerca di luce e di calore umano, a distinguere un sentimento tortuoso seppure così naturale e spontaneo “Amore risiede/ove umana debolezza/assurge/a divina vicinanza [,] / nell’Empireo delle fragilità [,] / illuminate da un unisono”.
Nel susseguirsi di momenti tra certezze e ambivalenze, ogni sensazione fortemente affrontata e sofferta è finalizzata a raggiungere e mantenere una condizione di equilibrio, tra errori del passato e prospettive future. Uno smaltato incanto dell’amore percorso da un sottile velo di tristezza, ci viene apertamente incontro, ogni verso sottolinea l’attrazione di un sentimento unico che appaga e ferisce a un tempo, è “eraclea ostinazione”, desiderio e coinvolgimento ma anche fragilità nella ricerca di dolcezza e purezza “Ho passi fermi/ sul tuo marciapiede di meringa […]”, rimane sospeso in aria tra passato e presente, tra cielo e terra “[…]sul ponte tibetano/ del tuo avvicinamento” in attesa di una netta conclusione che sia finalmente conquista verso una stabilità quale “amata meta”.
Una poesia polisemica, ricca di allusioni, analogie simboliche e tautogrammi, una misura d’arte fatta di intimo equilibrio e di saggezza in una limpidezza di espressione alternata con forme dubitative che accrescono il senso dell’incerto e dell’irreale. La grazia lieve ed elegante di una raffinata sensualità s’intreccia con un sorridente e garbato scetticismo che tempera il dubbio, la sospensione dell’animo e della menteLasciar andare/ Cospargere l’anima di oli essenziali/ e attendere che ciò che essenziale non è/scivoli via”. Lo stile, caratterizzato da una morfologia flessiva molto aggettivata e un’originale semantica lessicale, denota una profonda conoscenza linguistica nonché una notevole esperienza dei classici. Il verso è plasmato dal suono di una voce intensa e calda e ci arriva sotto forma di dignitosa emozione, tra carne e spirito, eternità e intimità, alleanza tra volontà e armonia.
La lirica “So(u)lstizio” è, a mio avviso, quella che più manifesta un luogo privilegiato, una sorta di tempio baudelairiano, in cui la poesia scopre, raccoglie sinestesie dell’anima “Nell’odoroso gelsomino/raccolgo gli effluvi della tua attenzione [;] / nelle tue braccia/accoglienti di ortensia/ritrovo il suono/ del mio sorriso”, serba segreti e, tra giochi di luce e ombra, affida i suoi sogni, lascia viaggiare il suo messaggio poetico perché ognuno di noi lo colga quale concretizzazione di un’esigenza espressiva.

















 “La moglie di mio padre” edito da Seri Editore (settembre 2019) è decisamente un salto di qualità come realizzazione letteraria dello scrittore Franco Duranti, giunto così alla sua prima esperienza romanzesca. L’opera si caratterizza quale Entwicklungsroman, in sintonia con un’evoluzione di quel processo di formazione, identificazione, introiezione e proiezione nonché di trasformazione di un’età adolescenziale. Lorenzo è la colonna portante del testo mentre sorgente e centro è il fuoco interiore di una passione segreta che irrompe nella sua vita e implica il dover affrontare un cambiamento nella sfera sociale, nell’ambito familiare così come a livello emotivo-relazionale: “Quel pomeriggio lei franò come una valanga sui miei giorni”. Nella diversità di un rapporto e di un amore insolito con una donna adulta, la quarantenne Agnese, prevale lo spirito di sopravvento dell'istintualità; il bagaglio esistenziale ed esperienziale di un ragazzo dona l’avvio a un’indagine di diversa natura, dove la sottigliezza psicologica di una concupiscientia, diventa filtro cui passa un vissuto che si articola su due piani: quello dell’incontro, reso con viva immediatezza: “breve, veloce, come un lampo che con uno squarcio repentino aveva lacerato la mia personalità…” e quello della ricerca di sé, della propria identità, di un’iniziazione a un mondo più adulto attraverso l’autoanalisi e l’analisi dei propri rapporti con gli affetti più cari nonché della maturità della propria sessualità. La seduzione e la fascinazione, in una sorta di ‘follia d’amore junghiana’, improvvisamente mettono in discussione le stesse caratteristiche familiari ma, allo stesso tempo, s’intrecciano con la riscoperta dei legami affettivi nei riguardi di ogni personaggio, con un proprio ruolo e importanza all’interno della narrazione. Primo fra tutti viene sottolineato il rapporto con la madre, nominata quasi sempre come Clara. Ciò merita attenzione, dall’utilizzo del nome di battesimo si evince, infatti, un tipico comportamento di Lorenzo, il quale sembra rifiutare un qualche aspetto genitoriale, ne prende distanza quasi a deprivarlo del ruolo che le compete. Lorenzo si concentra sullo sport, per non pensare ai suoi “vuoti” mentre Agnese, donna profondamente narcisista, ha bisogno di qualcuno che la veneri. Un incontro emotivamente coinvolgente e carico di potenzialità aiuta entrambi a crescere psicologicamente e una condizione inconscia di dipendenza affettiva finisce per sostituire una madre distratta e presa dai suoi interessi. Solo più avanti, il distacco improvviso dalla figura materna diviene possibilità creativa di un ritratto più intimo e sofferto; stessa cosa avviene con il personaggio di Federica, coetanea di Lorenzo ma che, nella storia assume inizialmente una veste tutto sommato marginale e scontata, essendo la sua fidanzatina ufficiale.
Man mano che si procede nella lettura, fuoriescono inesorabilmente i diversi comportamenti, finché iniziano a stabilizzarsi amore, interessi e amicizie ove vince il senso di responsabilità, di maturità, d’indipendenza e di capacità di farsi carico di ogni situazione mettendo il senso del dovere sopra a ogni altra cosa; un’incondizionata consapevolezza mette fine a tutte le illusioni e a tutte le ipocrisie. In un’inesauribile ricchezza di sfumature e raffigurazioni suggestive, ci troviamo di fronte a una narrazione sinuosa che è purezza e precisione di una prosa mai stucchevole o scontata. L’autonomia sintattica e contenutistica della fabula e dell’intreccio sono perfettamente coordinate in sequenze narrative, descrittive, riflessive, espressive e dialogiche dove incuriosiscono il gioco prezioso di nuove scoperte, i rinvii, le allusioni, i mutamenti di prospettiva, gli improvvisi arricchimenti di significato di fatti che scavano entro la psicologia umana, ad avviluppare passioni, errori, proibite delizie e infingimenti.
Il finale aperto, senza l’intento di una rivelazione definitiva, fa di questo romanzo un’opera letteraria di straordinaria vitalità, sorretta com’è da una scrittura penetrante di uno scrittore romantico e poetico, il quale demanda a Lorenzo e ad Agnese il delicato e impegnativo compito attraverso la loro  esperienza passionale, di superare il concetto di un gratuito compiacimento erotico, lasciandoci addentrare nell’universo di un’emotività maschile che si avvia verso un’educazione all’amore e alla maturità affettiva: valori essenziali della persona umana e di ogni autentico rapporto di coppia.





















Silvia Elena Di Donato ha già ottenuto notevoli consensi di pubblico e di critica con la sua opera prima per la poesia “La maschera di Euridice” (Masciulli Edizioni – 2018). L’influsso culturale di una formazione umanistica nonché la sua esperienza di docente hanno sicuramente contribuito alla maturazione del linguaggio poetico e degli stilemi, inducendola a esprimere il lessema nella sua essenzialità senza però scarnificarlo. La ricezione del patrimonio della letteratura classica così come gli echi della mitologia greca delineano un paesaggio poetico molto diversificato, frammenti di esistenze di grande intensità e impatto emotivo.
Nei secoli, tanti sono i poeti e gli scrittori che hanno cantato il mito di Orfeo ed Euridice, ognuno con la sua personale interpretazione, la Di Donato ne coglie l’esperienza d’incanto e sgomento, con umiltà e sensibilità; le sue liriche sono una sorta di preparazione, un metodo di accesso alla vita mistica e a una maggiore diffusione di valori universali. La maschera come simbolo di identificazione, regola le energie spirituali sparse nel mondo e le intrappola per impedire il loro vagare, dominando e controllando il mondo invisibile: “Sola/trasfigurata in canto/penetra/la fenditura corrusca del mistero/madida del suo ultimo passo/sul crinale del grande fiume”.
Il verso è breve ma intenso, frutto di immagini folgoranti e trasparenze metaforiche, evocazioni che illuminano la comunicazione di una morale e di un insegnamento che restituisce un po’del tempo latore di bellezza. Silvia Elena Di Donato crede nella poesia e nella sua origine divina, ne difende l’incontaminatezza, riscopre quel senso della vita che colma l’abisso tra il sopra e il sotto dello spirito, fra Dio e gli uomini “Parole fresche/di albe e tormenti/sempre le stesse/sempre diverse/mistiche eterne occasioni di mondo […]”. Il suo canto è un cammino di ascesi, permeato dalla bellezza e dalla ricchezza di un’ispirazione che lei trae dal passato, quale sfondo e spinta per trasportarsi fantasticamente nel tempo evocato. Il mondo stesso, nella sua continua trasformazione, può essere letto tra le righe di detto percorso “[…] filigrane di echi di luce/fendono fasciami di nuvole/ - anfratti della mente infiniti - “e ogni intuizione del trascendente si concretizza nella pregnanza semantica di una parola sostanziale e mai banale, in una continuità di versificazione senza soste di virgole e punti mentre in alcune chiuse si evince un tono quasi epigrammatico. La luce interiore dell’autrice è immersa nella poesia che ammalia e incanta, tocca quella dimensione religiosa che è missione, cura dell’anima verso l’infinito e l’eternità[…] fra i frammenti/del tempo e della durata/parola archetipo/di eternità”. Sincerità e grandezza etica sono il lievito di ogni sua lirica. L’io poetico si abbandona senza allontanarsi dal mondo bensì ne rende tutte le sfumature più fini, i colori più delicati, donando al lettore un’atmosfera onirica “Il sogno/ ha le chiavi/ di ogni possibilità” ove il silenzio è conciliazione e potenziale creativo per una poesia che ha il compito di esplorare il mistero che è in noi, che coincide col senso del divino “E sorge nuova l’alba/ad abitare l’anima/spalancata/di pura luce assoluta/ alla meraviglia inattesa/che ne sorprende la soglia/ con passo divino” e come tale diviene un’inesauribile risorsa di pensieri profondi. “La maschera di Euridice” è una prima esperienza poetica che detta già un buon presupposto per ulteriori successi letterari.












Nanda Anibaldi e la sua poetica



Recensire opere composite, multiformi, dall'architettura complessa e articolata quali sono le liriche di Nanda Anibaldi, non è certamente un compito facile. Sin dal primo approccio si evince una poetica particolarmente vissuta, di un’artista ispirata e talentuosa. Il suo verso supera ogni concezione tradizionale, non mente bensì si allena a una verità interiore, non si delinea nell’astratto ma riavvolge e si dispiega lungo il procedere della vita. Lo stile della Nostra non è stereotipato bensì espressivo, personale, con immagini pittoriche che creano un’atmosfera intimistica, come se l’autrice volesse tenere stretto a sé ogni attimo, imprimendo la sua caratterizzante e soggettiva vocazione creativa.
Con estrema destrezza e dimestichezza, intensità e potenza d’emissione, le sue liriche approdano a un’arte di sostanza e non di sola apparenza: una sorta di specchio cognitivo che tende a sviluppare la propria coscienza.
Nella silloge “La tana del nibbio” (Firenze Libri, 1994), l’Io poetico è ispirato da moti interni dell’animo, spesso inspiegabili, legati a una pluralità di sentimenti spinti da una nuova esigenza di far luce e di raccontare le contraddizioni che, come una lama affilata penetrano nell’esistenza con lucidità e intransigenza, senza infingimenti. Significante e strategica la simbologia del rapace nibbio che sfrutta il vento più leggero - in questo caso la poesia - per uscire dalla sua tana ed elevarsi con poche battute di ali; il verso dona la capacità di liberarsi, di estraniarsi dai problemi per analizzarli con occhio critico, si distacca dal coro e si esprime in assoluta libertà: Tracce invisibili di magma/riciclate sul petto della terra/vengono cancellate/ ad ogni batter d’ali”.
La Anibaldi si pone in continua sfida, non solo con se stessa, in particolare con il discorso poetico con cui crea un confronto, giocando e utilizzando la fantasia come vitale interlocutore. Figure e immagini denotano maturità di visione e di espressione nonché una suprema saggezza di folgorazioni e di messaggi. Lei - donna smette di fuggire la sua ombra, dà un senso all’angoscia esistenziale e la domina con fortezza e coraggio: “L’intervallo di tempo/segna sconcerti/tra rivoli di pensiero/ che sciolgono l’ultima neve…Pescare il tuo/ nella tavola dei sogni/non è stato facile […] L’ho disegnato per te ma l’hai collocato nella memoria/labile/non ti servirà a proteggerti dal gioco/ ché i giocatori sono più scaltri [,] né ti aiuterà a bleffare/devi pescarne uno più grande/e metterlo come uno scafandro […]” Una poesia disvelativa che stimola domande e incontra l’alterità, abbraccia la dimensione estetica, lascia da parte il puro narcisismo per attuare il senso reale di quel poiein che è veicolo di trasformazione e cambiamento nell’attimo stesso in cui ci appare un’indomabile donna e una poetessa palazzeschiana di mirabile e ironica libertà.
Il desiderio di uno spirito che interroga il mistero:Parli e racconti/i fatti di sempre/Conosciuti/scontati/ma/li fabuli come tuoi/Il dramma si consuma/nel non avere risposta” che è ‘paradigma’ di una continua ricerca poetica, crea l’attimo per un linguaggio semantico arricchito e integrato da metafore e simbologie di alto spessore, a velare i grandi interrogativi dell’esistenza, al centro di una precisa analisi ontologica.
Sarai spaventato per le cose/che non potevi prevedere/e nel gioco ti sorprenderà/il bluff come regola” (Paradigma- Progetti editoriali srl- il lavoro editoriale, 2006)
Nella silloge “Paradigma”, una genesi biblica traccia l’ispirazione del verso per giungere a un amalgama biblico-pindarico ove notiamo un incredibile idealismo rinnovatore e rivoluzionario, pervaso da ritorni e rimeditazioni filosofiche; un’evocazione di ciò che è presenza felice e, allo stesso tempo, inevitabile consapevolezza del dileguarsi della vita e degli affetti più cari. I ricordi arrivano nei versi come bagliori di luce a sostenere i momenti più difficili, smorzando i toni di una tematica di fondo che è la stessa identità, sia retrospettiva che di continuità futura, ove il dubbio e la certezza, l’oscurità e la visione chiara, lottano a fronte delle esperienze vissute e dei ragionamenti che si evolvono nel pensiero: “Forse ti sentirò nella pioggia/quando l’acqua ha il colore del sonno/e mi scontrerò con te nella nebbia/gelatinosa/per chiederti scusa”. Un genere di poesia esegetica quale anello di collegamento tra studio e tradizioni culturali, sollecita la Anibaldi a indagare i vari contrasti tra razionalità e cuore, con una medesima funzione: trovare una densità di senso fra dimensioni diverse della realtà, tra prove e ostacoli, contrapposti alle tante nostalgie rivolte a tempi maggiormente genuini e spensierati: “Oggi ho rivisto il mare/con i colori del mio tempo/mentre la mia straneità/cammina sulle strade/ che ho già percorso”. La Nostra penetra in profondità, lo fa con critica tagliente, con le armi del paradosso e dell’ironia, trovando una sua modalità per interrogarsi e interrogare nonché per stimolare, tra l’osservazione e i meandri della mente, una logica riflessione anche su quanto rientra in un dogmatismo religioso. Non possiamo cambiare parti di noi cercando di nasconderle, tutto deve venire alla luce ed essere compreso; in altre parole, occorre diventarne amici. La poesia di Nanda Anibaldi è anche arte concettuale e, inevitabilmente, si trasfigura in catarsi di vita.



















Cresce l’interesse per l’opera prima “Mangereta” (La nave di Teseo editore- 2018) di Adalberto Maria Merli, uno dei più grandi attori-interpreti nella storia del teatro, del cinema e della televisione, che qui ritroviamo nelle vesti di scrittore. Parliamo di un’autobiografia romanzata, che si configura essenzialmente come Entwicklungsroman e, nella complessa cornice della seconda guerra mondiale, a partire dal 1943 fino alla ricostruzione post-bellica, si focalizza sull’immediatezza e sugli sviluppi delle innumerevoli vicende che vedono coinvolta l’esistenza individuale e familiare dei Merli. Esperienze di un vissuto maturano la consapevolezza di valori quali la tolleranza, l’accettazione, la solidarietà, in un periodo storico scolpito attraverso la forza espressiva delle parole dell’autore, che sono testimonianza viva e vessillo di risvolti psicologici collettivi e di significati condivisi. Una narrazione retrospettiva in graduale trasformazione, in cui i fatti vengono tutti descritti in prima persona: l'Io narrante protagonista è Berto o meglio “Mangereta”, soprannome metaforico attribuitogli dalla nonna friulana, che sta a indicare la caratteristica di chi mangia molto; l’attore entra in scena da scrittore e interpreta il suo nuovo ruolo: se stesso. Sin dall’inizio del romanzo, si evince la dicotomia di due mondi, due opposte visioni della vita: il calore e l’amore di una famiglia unita da una parte e l’oscurità e il male di una guerra che irrompe in una sfera privata e stravolge le priorità quotidiane ma che, tuttavia, il protagonista si sforza di aggirare con la sua fame di vita, di gioco, di sogni e fantasie, alla ricerca di quelle contromosse “proibite” che per un bambino hanno il sapore di un’emozionante e attraente avventura. Per esorcizzare i dolori e le ristrettezze di una guerra, fonte di ansia e sradicamento, Berto riesce a cavarsela anche meglio degli adulti e insieme ai suoi tre fratelli, sempre spinto da un’irrefrenabile curiosità, impara a confrontarsi con ogni nuova conoscenza, affronta ogni volta nuove sfide, s’impegola in diverse monellerie, si difende, soccombe o ne esce vincitore, pur non dimenticando mai il valore positivo del rispetto verso gli altri. Egli esplora un mondo che racchiude in sé incertezze, tensioni e paure che gli temprano il carattere e gli impongono una crescita personale. Seppur educato con estremo rigore, disciplina e forti imposizioni, soprattutto da parte della madre friulana “dai lineamenti morbidi ma volitiva nel carattere”, sceglie personali scorciatoie di sfogo, per evitare ogni sgomento e godersi quella poca serenità che un bambino e un adolescente merita di vivere.
Lo stile di scrittura è disinvolto, spontaneo, senza alcuna retorica e libero da inutili orpelli, suscita ammirazione, empatia e, a tratti, ilarità. Ciò che maggiormente affascina è la capacità di creare immagini vive, con l’aiuto di poetiche descrizioni di luoghi e paesaggi nonché di ritratti individuali fatti di sguardi, mimiche facciali e caratteristiche personali. Il linguaggio cambia forma e densità, lasciandosi travolgere da sfumature e profondità di stati d’animo, a seconda delle situazioni in cui si trova il protagonista, il quale non si vergogna di esercitare un pungente sarcasmo anche contro la tradizione culturale e i vizi del suo tempo. Non fa sconti ad alcuno, non nasconde episodi raccapriccianti di quel periodo storico né si fa scrupolo, nel suo cuore, di simpatizzare con persone “nemiche” ma a lui care; con le sue riflessioni personali ricostruisce ed evidenzia sia gli aspetti migliori che i peggiori del suo passato.
Un romanzo minutamente costruito, stratificato di spunti, di episodi, di tutto ciò che il ricordo ha accumulato in tanti anni; strettamente ancorato a una memoria emotiva che, tessuta con finissime osservazioni psicologiche, è strumento privilegiato per farci comprendere fino in fondo la drammatica realtà sociale di quegli anni oltre che una dimensione relazionale e affettiva che, nonostante tutto, attraverso lo sguardo di un bambino, lotta quotidianamente contro sentimenti di paura, angoscia e vulnerabilità. 













Il ceppo di Natale” (Zefiro Srl-Fermo) è un piacevolissimo percorso attraverso riti e manifestazioni popolari che ci arriva, ancora una volta, dalla meticolosa penna dello scrittore Antonio De Signoribus. In una graziosa veste grafica, frutto di una sensibilità estetica, questo piccolo ma pregevole testo è viva testimonianza di usi e costumi del territorio marchigiano e soddisfa curiosità e interesse verso quella fantasia popolare legata alla solennità del Natale fino alla Festa di S. Antonio. Il “ceppo” ovvero il tronco d’albero che è usanza ardere nel camino, a partire dal giorno della Vigilia, acquista qui un valore altamente simbolico: il tradizionale raccoglimento davanti al fuoco si traduce nell’interpretazione etico-psicologica del riavvicinarsi alle nostre radici. Una serie di consuetudini e credenze, tra il sacro e il profano, ci offre la possibilità di ristabilire un contatto con un mondo che non c’è più e con alcuni aspetti di una quotidianità di vecchio stampo. Spiragli di vita di un tempo colmo di fascino che, toccando confini indefiniti tra leggenda, mito e verità, rischiano oggi di essere percepiti come estranei, sebbene rappresentino unicamente i valori più saldi di un’identità culturale. Il ceppo che brucia crea un’atmosfera magica, genera luce e mentre illumina, abbellisce e riscalda, dona senso poetico e familiare alle celebrazioni natalizie. In un mondo contaminato da “esaltazioni” del male, della violenza e del sopruso, ben venga un testo che abbia la capacità di contagiarci con qualcosa che è bellezza e continuità di bellezza.
Una chiave di interpretazione che ha permesso a De Signoribus di riscoprire e tramandarci storie e prassi dal sapore educativo, per non smarrire il senso di una dimensione della realtà umana e della funzione dell’immaginazione popolare, che non pretende di offrire la verità scientifica ma solo di esprimere la perpetuità di certe percezioni, tramandate nei tempi. Ovviamente… da leggere davanti al camino: cornice e ornamento per ritrovare il dialogo con le nostre tradizioni, auspicando che esista sempre qualcuno che possa ricondurci alle origini della cultura più genuina della nostra regione.




SUSANNA POLIMANTI


Cupra Marittima, 25 gennaio 2019                          



















Chiunque conosca Therry Ferrari non si stupirà affatto nel trovarla impegnata nella pubblicazione di una fiaba, anzi “fiabina” come lei stessa definisce questa sua piccola opera. Al di là della scelta meditata del richiamo a un genere profondamente educativo, l’autrice, già naturalmente incline al verso poetico per innata disposizione d’animo, sceglie una narrazione di cui il lettore e lei stessa ne subiscono il fascino. “Il sogno di Teddy…” (Editore L’ArgoLibro), da un’idea di Henry P.Bear,  è quel che si dice una “chicca”, raffinata e preziosa. Ogni minimo dettaglio, dal titolo alle illustrazioni così delicatamente disegnate e all’editing particolarmente curato con i suoi colori pastello sfumati, esprime al meglio la sua funzione estetica e non solo. L’orsetto Teddy racconta come, a volte, basta saper aspettare per ottenere quello che più si desidera, oltre che sottolineare come nella vita sia importante aiutarsi l'un l'altro poiché, mai debbono spaventare le difficoltà.
La lettura della fiaba è emozione che si trasforma in bellezza e speranza per il mondo dell’infanzia, stemperando in leggerezza tempi duri e fin troppo inadeguati, che comportano la perdita di valori e riferimenti certi.
Nulla e nessuno debbono mai impedirci di realizzare i nostri sogni, perché il premio ai nostri sforzi, il più delle volte, è molto appagante.
Complimenti vivissimi a Therry Ferrari per questo suo breve ma significativo progetto letterario.

















Accade che, in una fredda serata di un sabato novembrino, ci si ritrovi con un gruppo di amici alla presentazione dell’ultimo libro di Adolfo Leoni: “LE GRANDI STORIE D’AMORE DELLA TERRA DI MARCA” (Albero Niro Editore) e si scopra che l’opera stessa è un’occasione di dialogo e confronto, al di là di ogni tempo e spazio.
Adolfo Leoni, giornalista e scrittore, è un uomo carismatico, affabulatore ed eclettico, il quale mai cessa di percorrere le vie della sua terra, traendone ispirazione per testi che, attraverso la sua creatività e perseveranza, ci donano sempre un momento formativo e particolarmente coinvolgente. I suoi racconti ci parlano di protagonisti- entità che pervadono il nostro territorio, si trasfigurano in quel tipico Genius loci alitante in scorci di paesaggi e antiche bellezze architettoniche della Terra di Marca e ne perpetuano la memoria. Ogni piccola o grande esistenza, sia bagliore o penombra, traccia in qualche modo la nostra stessa eredità storico-culturale e ne origina un legame indissolubile spesso sconosciuto, con una terra dove siamo soliti vivere distrattamente. L’autore rielabora sapientemente diverse fonti, in un’alternanza di prosa e pensiero lirico che molto si avvicina al genere letterario del prosimetro. Il  libro è un autentico omaggio alla sua terra, con cui egli si  confida, in intimo ascolto di presenze di una realtà lontana, su sentieri costellati di voci percepite nel cuore, fa rivivere nel suo immaginario figure realmente esistite o semplicemente presenti nel leggendario comune, si lascia trasportare in una ricerca interiore che scruta e si carica di una coscienza problematica, varca la soglia della complessità, si stempera in un interrogarsi sull’esistenza e, infine, raccoglie immagini di una lettura favolosa e d’intrattenimento, dove eterni sono gli interrogativi del chi siamo, dove andiamo, da dove veniamo: “Cammino per ricomporre un io scomposto[.] /Perché a noi è stato donato il giocattolo più bello [,] /che è la vita [,] che è l’intero cosmo [,] …” I dubbi si annodano nei singoli attimi indagati dal pensiero, in un linguaggio chiaro, intellegibile e profondamente comunicativo nella sua innata simbologia, si arricchiscono di etica e intuizione mentre il Nostro cantore di storie manifesta appieno la sua attitudine, si pone nella grandezza sinfonica del paesaggio, ne respira l’atmosfera, riscopre animi e sentimenti, ne impedisce ogni perdita e insignificanza proprie di una modernità controcorrente.
Il suo percorso è un lirico vagabondare, alla scoperta di luoghi e storie che ci appartengono, che sono all’origine della coscienza della nostra anima; con toni sinuosi fa echeggiare corde nascoste nell’animo del lettoreGaloppa la fantasia, si sbizzarrisce la mente, si dischiude il cuore. Non è fuga dal mondo. È dimensione parallela. Come immergersi in una realtà diversa. Pur sempre però realtà. E leggere. E immaginare. E sognare”.
Da ogni pagina si evince anche una velata sacralità per luoghi e tradizioni, che lasciano pensare a una sorta di anamnesi platonica, di quel risveglio della memoria legata al proprio territorio e chissà che non sia davvero questa la fonte da cui nasce la grande passione di Adolfo Leoni che si traduce semplicemente in amore sincero e devoto, rispetto e intimità con la propria terra. “[…] la terra parla […] / e noi invece tiriamo dritti [,] / senza accorgercene[.]… “Vorrei che altro ci parlasse [:] / quello spirito intriso nella terra[.]… Creato [,] Creatura [,] Creatore”.





















“Canto, che tanto quel di quaggiù avanza/ che, poi che io torna’ al mondo deserto, / ogni dolce     armonia m’è dissonanza.”

(Il Quadriregio di Mons. Federico Frezzi Libro IV 22-120


Armonie e dissonanze” (Le Mezzelane Casa Editrice) è la recente opera poetica del poeta-scrittore Oscar Sartarelli. In questa raccolta l’ispirazione dell’autore appare ricca e varia, raggiunge una più matura essenzialità e nettezza d’espressione, nell’evidente tendenza di dare alla poesia una sensibilità più ampia e attuale, pur rispettando stilisticamente i principi della poesia tradizionale. La vita impegna a una riscoperta di sé e delle diverse fasi legate a quei riti di passaggio che necessitano d’essere affrontati. L’opera si sviluppa ed evolve in un percorso formativo al contrario, dall’ora del disincanto quale effetto discordante e in grado di godere dell’attimo, per via del senso di precarietà di un inevitabile fluire del tempo, al toccare e svelare il suono gradevole che è corrispondenza di voci, proprio della fase adolescenziale e giovanile “Erano belli il sole [,] / il suono delle campane/ che annunciava la festa [,] / la carezza della mamma/ e la speranza nel cuore. “
La modalità semantica che racchiude i toni, le immagini e la molteplicità dei motivi richiama alcune tesi del De brevitate vitae del filosofo Seneca, laddove il poeta insiste sulla fragilità dell’esistenza e  incita a considerare ogni suo secondo “ti sei mai chiesto cosa saresti al mondo[,] / se ti mancasse[, così, uno, un sol secondo?”; addirittura si commuove, nel riconoscere le responsabilità concrete di ognuno di fronte alla qualità della vita, del nostro Essere e della nostra stessa terra “Stalattiti di tempo/ sedimenti di anima/che son appesi al tempio/della vita consunta [,] /e si schiantano a terra […] / quando il cervello scoppia [,] / ed il tutto si spiega”, rappresentandone così ogni intima meditazione in una luce particolarmente adatta a illuminare, non solo l’uomo moderno ma semplicemente, l’uomo. La silloge presenta un accrescersi di suggestioni e un sovrapporsi di significati che, quasi ammonitori, si trasformano in un invito ad andare all'origine delle parole e del loro valore per ricaricarle di senso. Nei versi si sottintende una mancata credibilità del nostro mondo, non solo di valori ma anche e soprattutto di quanti sono chiamati a trasmetterli e da qui ha origine la reale malinconia dell’autore, che si rifugia nella purezza e nella profondità del proprio sentire.
Nella prima lirica della raccolta, l’albeggiare risuona quale arcaico simbolismo della giovinezza perenne che s’innesca nelle varie faglie del tempo e dell’età, non per terminare un ciclo bensì per riscoprirla nel divenire eraclitiano, poiché ogni cosa si muove, muta e si trasforma, lasciando indietro qualunque momento. La vita e il suo dolce sparire, di fronte a cui non esiste ribellione ma solo delicata rimembranza, innervano l’universo poetico del Sartarelli; dai suoi slanci e tormenti interiori si evince una personalità sensibile seppur dotata di notevole plasticità psichica. Una tenerezza composta e misurata fan sì che l’io poetico avverta la solitudine del mondo: “Vuoto è ora il teatro, eppure sento voci [,] / voce del tempo, frammenti di vita […] Chiude il sipario [,] ed anch’io più non sono”; echeggiano voci dissonanti nel momento stesso in cui l’etica si scontra con le tante nostre miserie. Con sottile ironia il poeta delinea un’anatomia del mondo, coinvolgendola nelle sue stesse riflessioni “Nulla [,] sei nulla [,] nessuno si accorge di te [,] / perché tu sei un ammasso di carne/ attaccato alle ossa.” ma se ne distacca, non rinnega la propria anima, ponendosi al riparo da quella maschera che si fa autorevole garante del nostro tempo.  Quel “puer aeternus”, che con coraggio rimane fedele al tempo, si trova in uno spazio intermedio fra lo stato di partenza e di arrivo e “[…] va cercando della vita il suo metro/che più non sia il ruffiano sentimento”.
Una metrica sorgiva, mista di versi endecasillabi e settenari, crea un genere di poesia di facile grazia e ritmo piacevole nonché una sensazione diffusa d’intesa ed essenza. Sottigliezze vocali, passionalità, furore giovanile, tra enfasi e modestia, quintessenze distillate di un’anima pura e onesta, accenti e sillabe dure e vibrate, realizzano infine quel tema di un incontro con la vita che è radice della poesiaSpero serva questa grama poesia [,] / per riacciuffare [,] senza far rumore [,] / il vero senso: d’infanzia l’odore!”. Il tempo è kronos, ma per Oscar Sartarelli è soprattutto kairòs poiché, in realtà, è sempre e solo la qualità della nostra vita a scandirne lo scorrere incessante di minuti e di ore e a palesarne i moti dell’anima “Il ricordo torna ed il cuore arruffa [;] / allora capisci [,] e d’un tratto senti/ che ancora puoi donare sentimenti [,] / e il senso della vita si riacciuffa.” Infine trovo preziosa la lirica dal titolo “Memento”, profusa di quella religiosità che scardina anche la mente più indisciplinata, divenendo il significato più puro dell’affidamento francescano. La poesia è raccoglimento ed equilibrato rapporto con se stessi verso il raggiungimento della saggezza “E la luce alza della nebbia il velo [,] / scoprendo su te l’indaco del cielo”.



















Segreti e storie popolari delle Marche di Antonio De Signoribus (Newton Compton Edizioni) è un’affascinante opera, che coniuga in modo esemplare tanto la lucidità e la precisione dello studioso quanto le capacità affabulatorie del grande narratore. Certamente una tra le più importanti e la più tipica esperienza letteraria tra le innumerevoli pubblicazioni di De Signoribus, in quanto vasto patrimonio di storie antiche e fantastiche, leggende e aneddoti dai temi più svariati, tra i segreti e i misteri di una cultura popolare basata sull’oralità e l’auralità, che affonda nelle radici comuni delle tradizioni marchigiane. Ricevere questo libro direttamente dal suo autore è un dono prezioso, la cui lettura ha soddisfatto mille curiosità nonché quella smania di scoprire significati nascosti dietro ogni mitica apparenza. Antonio De Signoribus, professore di filosofia, studioso di letterature primitive, giornalista e antropologo nonché scrittore affermato e stimato, è un uomo dalla personalità squisitamente riservata, come pochi se ne incontrano al giorno d’oggi. Più che legittima è la definizione di “Grimm delle Marche”, per i successi acquisiti nella scrittura e riscrittura di fiabe: un riferimento costante, nella sua produzione letteraria, per un’interpretazione dal punto di vista filosofico e psicoevolutivo. Da questo progetto artistico, a cui l’autore stesso afferma di essere particolarmente affezionato, si evince la vera essenza dell’immaginario collettivo; ne risulta un quadro stupefacente di una perpetuazione nei secoli di credenze popolari, tramandate attraverso la penna di un cultore della tradizione orale, che offre al lettore anche l’opportunità di recuperare e aggiornare fascini e atmosfere incantate dei nostri borghi e città.
La ricchezza di dati comparativi si svolge ad ampio sviluppo narrativo e consente rapidi e illuminanti excursus fra rivelazione del mito, pregiudizi e racconti fantastici, superstizioni con specifici rituali che investono anche la fenomenologia più estrema della stregoneria nonché tendenziose e oscuranti verità o semplici convinzioni, radicate nella memoria popolare e legate a significati e simbolismi di tratti caratteristici di figure folkloriche. Il gusto dei particolari accentua la risonanza della realtà storica nei vari generi, ricostruisce la derivazione del racconto popolare e fornisce una chiave di riscrittura e interpretazione di ogni leggenda e mistero anche in termini psicologici.
L’opera è una vera e propria scelta culturale che fa da cardine alla conservazione delle proprie radici, dove protagonista è l’identità marchigiana che si è formata dalla sintesi dei vari influssi culturali, di cui le espressioni di oralità rappresentano un archivio di testimonianze di certezze e pericoli, comportamenti, modi di dire, forme e poteri straordinari, non solo di gente comune ma anche di nobili personaggi e religiosi, che ne hanno subito le influenze nel corso dei secoli. Il testo suddiviso in capitoli, contempla anche i lemmi d’origine nelle loro varianti dialettali ed è abilmente congegnato sì da conferire o accrescere sia la drammaticità che l’ilarità dei racconti.
Antonio De Signoribus, con il suo stile accurato nel riprodurre le caratteristiche del racconto orale, ci conduce alla scoperta di un intrigante mondo di misteri e di leggende popolari marchigiane, ci mostra un’atmosfera umana maggiormente ampliata, capace di offrire strumenti interpretativi che rendono possibile la decifrazione e persino la comprensione delle tante tradizioni tuttora dilaganti, soprattutto nei centri dell’entroterra.
Pienamente giustificata la mia ammirazione per questa specifica forma d’arte, che appare poco e raramente nella storia letteraria contemporanea; una trasmissione orale che rileva non più dall’estetica, ma dalle origini di una storia culturale della nostra stupenda Regione, nella ferma speranza possa rappresentare una valida eredità anche per le future generazioni.
















Questa creatura silenziosa e ricca di mistero, pigra e oziosa, che nasconde gelosamente quanto è bello nascondere, quando è la sua ora urla il proprio amore da tenere desta tutta la contrada
(Il gatto di Giovanni Raiberti, a cura di Aldo Palazzeschi - 1946).


Non potevo proprio esimermi dal pronunciarmi su un romanzo avvincente ed esemplare che, non a caso, risulta essere un caso editoriale in tutto il mondo. A raccontarci questa storia, tenera e profonda, è la scrittrice giapponese Hiro Arikawa in “Cronache di un gatto viaggiatore (Garzanti- 2017); un romanzo che si discosta di molto da tanti altri dello stesso genere, per stile e contenuto, in quanto un perfetto esempio del toccante rapporto e di quella magica alchimia d’intenti e sentimenti che possono nascere dal contatto con un animale domestico ritenuto, in assoluto, il più libero al mondo e di come, al contrario, può risultare facile entrare nel suo nobile universo, laddove si è in grado di penetrare ogni suo comportamento. La scrittrice giapponese è riuscita a risaltare un legame di caloroso affetto, di amicizia e complicità tra i due protagonisti: il gatto Nana, randagio, fiero e risoluto, e Satoru, un ragazzo molto educato e sensibile. Attraverso un racconto-dialogo, fatto di linguaggi corporei, esperienze soggettive, incontri ricchi di stati d’animo e rapporti diversificati di amicizia, indifferenza e antipatia, proprio come avviene tra gli esseri umani, Nana non ha nulla da invidiare ai più autorevoli psicologi umani.
In una rappresentazione reale, tanto del contesto quanto dei fenomeni emotivi e morali, il romanzo è un incantevole viaggio attraverso le bellezze del Giappone, da cui nascono la grazia, il delicato senso della natura e quell’innata estetica che sono parte integrante della cultura nipponica. Ogni circostanza vissuta rileva l’unicità e l’innocenza dei reciproci sguardi, persino nel silenzio del discorso interiore, in un’atmosfera narrata con compiaciuta ma deliziosa malizia.
Nelle pagine s’incontrano paesaggi di pura contemplazione che trasmettono serenità, pace, senso del sogno e del meraviglioso. Satoru mostra al suo amico felino una sorta di zibaldone della sua vita: riflessioni improvvise, elenco di cose detestabili, luoghi, persone, cerimonie, feste, gite, di cui ogni esperienza ha un proprio risvolto, poiché connessa con il passato del ragazzo o legata a qualche tradizione.
Il mio plauso alla scrittrice che ha saputo indagare, con rispettosa maestria, nella psiche di Nana, di Satoru e dei tanti amici incontrati nel loro vissuto, quali coinquilini di un’esistenza basata sulla condivisione in solidale empatia e da cui si evincono la profonda intelligenza nonché la saggezza e la furberia dell’animale. Ogni evento, sia gioioso che doloroso mostra come anche un gatto può avere fatti privati di una certa importanza per lui.
Lo stesso Giovanni Paolo II, nella sua lettera enciclica “Sollicitudo rei socialis”, affermò che non solo l’uomo, ma anche gli animali hanno il soffio-spirito di Dio. Anche le bestie hanno un’anima”.
Il testo è sicuramente un’evidente conferma di quanto ormai noto, riguardo al rispetto e alle attenzioni che la civiltà giapponese riserva nei confronti dei gatti; l’innovazione, al contrario, è nella capacità di delimitare, misurare e connettere cose tanto impalpabili e complicate, sapendo che è quasi impossibile poter decifrare ciò che gira nella testa di un gatto. Ci si può soltanto arrendere di fronte al fatto che Nana abbia ricavato delle informazioni su ciò che avveniva intorno a lui, utilizzandole in modo coerente e fino alla fine. L'amicizia di un gatto è un bene prezioso e irripetibile, averla contribuisce a sentirsi più fieri di sé e del proprio rapporto con il mondo e soprattutto, non termina mai, poiché resiste e supera i limiti umani, trasferendo i rapporti anche in un’altra dimensione, quella ultraterrena.
L’originalità della forma espositiva e delle espressioni utilizzate fanno di questa storia una piacevolissima lettura che consiglio vivamente a tutti, perché coinvolge sia interiormente che spiritualmente.














 “ Ci sovrasta già il sole,
   in un incendio di luce
   che rivela imperterrita
   l’imperfezione del giorno
   e il fluire lento nelle vene
   di tutto ciò
   che io chiamo “Amore”



La silloge poetica “La limatura del silenzio” di Valeria D’Amico (Lulu.com- 2017) rispecchia la mappa di un sottile paesaggio interiore che si apre a chiunque decida di ritirarsi nel proprio silenzio, dando spessore alla parola quale verso poetico.
Degno di nota è il valore ingressivo del sostantivo “limatura” utilizzato nel titolo della raccolta, da cui nasce spontaneo l’interrogativo del perché la poetessa abbia scelto proprio questo termine per dar vita alla sua creatura poetica. - Limatura-  intesa come corrosione, che provoca cruccio e tormento ma, allo stesso tempo, il lemma instilla nel lettore la certezza di una correzione, di un miglioramento di  quel silenzio dell’anima che restituisce il senso della tolleranza e della solidarietà collettiva verso una precarietà, un naufragio delle emozioni di fronte alle esperienze più sofferte della vita. La speranza di una condivisione d’intenti e di sentimenti, che in qualche modo possa stimolare un senso di forte pietà e la dimensione interpersonale dell’affettività rappresentano il filo conduttore di tale poetica. Attraverso il processo dell'immaginazione e di una triste realtà, il verso unisce immagini di attuali tematiche civili e sentimenti privati, poiché ogni evento tragico accentua il rischio della perdita di equilibrio, in favore dell’impotenza di fronte al male nel mondo“Burattini senza fili camminiamo/ inciampando per non cadere[,]/macchine imperfette roboanti/ spingiamo carrelli pieni di bugie/ e ci nascondiamo dietro silenzi[,]/ mentre la guerra va avanti/ e la vita è già oltre…
La poetessa lancia un messaggio che non va lasciato inascoltato: in un contesto esistenziale naturalmente fragile e imperfetto, tutte le nostre ferite e debolezze necessitano di riflessione; ogni pensiero va proiettato verso quel potenziale d’amore e creativo inespresso, affinché agisca e ottemperi al senso di responsabilità nei riguardi del prossimo  “Punti di sospensione/ queste fragili vite[…]”. 
Nella lirica dedicata “A Giulio Regeni” l’io lirico si piega alla sofferenza di una madre che perde suo figlio e ne vive la sofferenza più totale; doloroso sentimento che l’autrice stessa vive nella sua personale esperienza nella profonda ed espressiva lirica “Boato” ove si percepisce quel sottile filo che separa la speranza dalla disperazione per una malattia invalidante che fa esplodere quell’esistenza imprecisa, pallida e sfumata riflessa nella vita terrena “ Accurate dimenticanze[…] È boato il tuo silenzio”.
Nello sguardo e nel cuore della Nostra c’è poi la coerenza-incoerenza dell’amore: quello “sprecato” nelle inutili guerre dove “brancola/tra lupi e agnelli nella strada”, quello perduto tra scomode verità dei ricordi che si affacciano a interrompere la pienezza di vita, lasciando il posto al compito della responsabilità per un perdurante legame con il presente, nonché l’amore che raccoglie il grido di bambini feriti nel corpo e nell’anima.
Una poetica che incarna e coniuga la visione della purezza e della semplicità di un verso libero pur stilisticamente e musicalmente ben organizzato. La forma si affida più che a una vera e propria punteggiatura, a pause volutamente create che suggeriscono intervalli di pensiero ed emozioni racchiuse in un intero vissuto. L’aggettivazione è particolarmente curata e dona, nell’accostamento  con la parola, una forte evocazione; le metafore rinforzano il valore espressivo e figurativo del silenzio che non è isolamento bensì terreno fertile di un autentico senso di appartenenza all’umanità intera.Percorrono silenzi/ le mie parole inutili/ trapunte di metafore”.  I versi di Valeria D’Amico si snodano con il delicato contegno di una voce bassa che acquista a poco a poco la peculiarità di un ruolo capace di denunciare e di esprimere il proprio disagio e il rifiuto di ben altri silenzi, fatti di noncuranza e di distacco dal resto del mondo. Al contrario, la Nostra desidera vivere la realtà e vuole esserci con la forza di una poesia senza confini e distinzioni, riconoscendo che solo una consapevolezza e un’attenta riflessione sui propri valori permettono una reale comprensione e lo sviluppo di sentimenti maggiormente altruistici.
















L'esperienza morale di ogni uomo avviene nella coscienza[…]
( Sant’Agostino d’Ippona)


Paolo Landrelli è un uomo rispettoso e riservato, un poeta di grande generosità, sensibile agli odori e ai profumi della sua terra di Calabria:“Culla di tradizioni[,]/ di dolci e caldi cuori[;]/larghi sorrisi/e lacrime di sale”; il culto dei sentimenti più nobili e delicati costituisce le note più caratteristiche di tutta la sua poetica. Dalle due sillogi:“Bombilari” in dialetto calabrese di Bombile di Ardore e “Inseguendo il nulla”, entrambe pubblicate nel 2015 rispettivamente con Arti Grafiche Edizioni e Aletti Editore, si evince un animo costantemente in bilico tra la tristezza e l'allegriae sempi[,]quando mi ment’a scriviri[,]/si miscita tristizza ed allegria”, così come costanti sono le correlazioni tra il cielo e la terra e quanto l’uomo e i suoi pensieri siano sopraffatti e intralciati nella propria condotta morale, tesa a ricercare un senso di verità che sfugge, tra l’effimero e il fugace di un cammino terreno, inevitabilmente frustrante e responsabile di una soffusa inquietudine: Inseguendo il nulla[,]/camminando sopra un filo/io vivo.”
Quelle che sono state la sua esperienza professionale e la consapevolezza di un suo ruolo istituzionale, hanno permesso a Landrelli di scandagliare certi rischiosi doppi fondi dell’animo umano che, grazie a una precisa intuizione poetica, si trasformano in fiamma sottile d’immagini, alla ricerca di un qualcosa di stabile, un punto di riferimento che si manifesta con la presenza di un dialogo con Dio Nell’amore infinito/verso il mio creatore[.]/Ogni giorno ritrovo/la forza di vivere.
Il pregio di una semplicità nello stile, in contrasto con l’artificiosità del ricercato, rende tale poetica l’espressione genuina, trasparente e diretta di una valida ispirazione lirica e di conseguenza, non legata a temi evanescenti e lattiginosi oppure a temi civili e sociali, verbosamente svolti secondo lo schema declamatorio e massificato del genere attuale. L’io lirico coglie il mondo umbratile e disperso di voci, di echi fatti di ripiegamenti, di dubbi, di indistinte e vaghe ansie, di tentativi   compiuti allo scopo di ancorare il proprio spirito alla speranza di un approdo, se non proprio a una certezza, che genera una fede percepita in un animo che sa assaporare il senso della vaghezza soggettiva, quella propria solitudine che è conquista di un alto senso di sé. La poesia, dunque, quale  esorcizzazione di falsi scopi e miraggi illusori, quale procuratrice della salute dell’anima e rifugio nella voce delle cose, dei luoghi e della natura, della celebrazione della pace operosa dei campi, dei personaggi dell’infanzia, della tristezza delle esistenze troncate, del rimpianto, delle attese, delle speranze deluse, delle vite rimaste senza conforti o semplicemente,del senso misterioso e trepido di un  tramonto o di un’aurora “Dondola il sole/danzando sul tramonto[,]// ad infiammare ancora il cielo/ con gli stessi colori dell’aurora[;]/che mistero.” Un inno commosso alla natura rigeneratrice della sua terra natia, uno sguardo indietro verso gli anni in cui la purezza dello sguardo, la semplicità delle ambizioni e la voglia di vivere non conoscevano limiti. Stupende le liriche dedicate alla mamma e a “Nonnu Carminu”, ricche del pathos della nostalgia, tra l’invisibile e il visibile sulla distanza del tempo “[…] Tu si la mamma mia[,]mi dasti ‘a vita/e a vita tua fù tutta ‘na volata […]pecchì eu ora te tegnu ‘nto cori[…]”. “Nonno[…]volgengo lo sguardo/ verso il cielo[,]pieno di luce/ troverò il tuo volto[…]”
Significativo valore divulgativo della forma poetica e filone maggiormente percorso dal Nostro è la parlata locale, ove il fascino dell’antico e del naturale è destinato a essere considerato quale elemento di un bene culturale legato alla sua stessa identità calabrese.
Sempre attenti alla creazione suggestiva, i versi si colorano di uno struggente anelito verso la serenità e il raccoglimento, vi persiste un avvicinarsi alla realtà in un’alternanza di silenzio ed espressione di fede di un sentimento ardente  nella purità di un canto: Dei dubbi miei a Dio chiedo perdono/e schiudo le ali per un altro volo; qui, lo sguardo disilluso del poeta si fa ideale contemplativo di pace, con accenti di commosso compianto verso l’ombra di un sistema inafferrabile e proteiforme […] più avanza il progresso più avanza l’orrore”.
Elemento incisivo, costante e determinante della poetica è il colloquio interiore a tu per tu con una coscienza, intesa come atto vissuto di “coscienziosità”, connotata dalla caratteristica del tendere verso la più segreta intimità, dove risuonano la voce di Dio e l’incontro con Lui.
Paolo Landrelli è consapevole dell’evidenza del rapporto esistente tra il mestiere di poeta e il mestiere di vivere: Mi trovi sempre ovunque mi nascondo[,]/sconquassi il mio corpo e la mia mente[,]/tu scavi[,]scavi sempre nel profondo[,]/io scappo[,]scappo[,]scappo inutilmente.” e raffigura l’immagine ideale del poeta che, soffrendo la passione dell’esistenza, raggiunge infine la trasfigurazione della vita: “ Poi ancora avanti[,]controvento.
Dallo sconforto alla speranza, dal disorientamento di un mondo falso alla ricerca di un mondo vero e migliore, ove la concezione poetica possa realmente divenire luogo privilegiato del linguaggio universale, fondamento dell’Essere in quanto creatura di Dio.
I poeti […]danno anima alle parole/e non abbassano gli occhi”... essi hanno l’alto incarico e l’importante missione di giustificare il senso dell’Essere.























“Certe notti mi fermo a parlare con la luna.
Non le dedico versi, le sussurro nemmeno parole, le dico sguardi che girano il mondo
E lei si volta, mi mette a parte del segreto
Che è la sua vita dove non si vede.”

 “ La luce, a volte (Liberilibri di AMA Srl- 2016), recente opera poetica di Filippo Davoli, è senza alcun dubbio degna di essere ascritta tra le maggiori produzioni letterarie del nostro tempo. Il suo valore di certa rilevanza stilistica rappresenta un modello intellettuale per gli amanti della poesia, per i neofiti del genere nonché per quanti si accostano alla poesia ancora “imberbi”, trasformando in mere elucubrazioni mentali la sublimità di tale arte o, peggio, rimangono ingabbiati in tematiche di massa ”[…] dove si sporca/la più fitta integrità del dono[,][…]”.
Siamo di fronte a squarci di vera poesia che denotano una ricchezza di sensibilità e padronanza tecnica del verso per forma, linguaggio e contenuti dal carattere esegetico e omnicomprensivo. Davoli, serenamente, riesce a trasformare in poesia anche quegli aspetti impoetici della realtà con le attenzioni e la delicatezza proprie di chi accarezza un essere amato.
Una poetica melodiosa e garbata che evoca e fissa melodie antiche di una quotidianità di colori, suoni e tempi di chi sa accettare, sorridere, tacere con la sua rappresentazione interiore ricostruita, pronta ad accogliere in sé, a incorporare un mondo esterno. La musicalità e il ritmo del verso sono il risultato di un impegno onesto e di un’espressione dignitosa, nel rispetto di una metrica modulata e ben distribuita negli accenti, senza con ciò caricare con particolari articolazioni ciò che puramente è ispirazione e che approda a una poetica forte, sincera, pulita ed esatta, di autentica essenzialità anche laddove il verso si allunga.
L’io poetico si esprime, esplode e implodeMa forse è della poesia questo farsi/uno in altri[,]io un altro[.] Un altro io”, si moltiplica, ristabilisce le sue potenzialità relazionali con gli sfondi quotidiani e trova qui modo di esprimersi liberamente, dandoci un completo ritratto degli aspetti più o meno buoni di una personalità complessa. Nelle poesie si evince un superamento del dubbio scettico sulla base dell’ineliminabile connessione fra pensare ed essere “ Abito nel segreto i miei sogni a colori[.]/ Vivo una vita parallela[,] a puntate”
Il divino albeggia nell’anima, del finito con l’infinito, poiché nella parola l’Essere esprime se stesso immediatamente e la poesia è stato di grazia, di illuminazione, di veggenza e di purezza.
La rivelazione e una lettura provvidenziale dei segni del tempo rendono essenziale il valore della poesia e della sua singolare forza carismatica; la nascita assolutamente incontaminata del poetico, in quanto originario sgorgo, è anche il più alto sentimento di sacralità “ Ma non privarmi[,]tu[,] del tuo sorriso/che addolcisce la pena[.] Tu che mi ascolti tremare/ nel delirio del fuoco e dell’aria”.
L’intimismo di una dimensione di quotidianità, di sfondi di una natura cittadina, di paesaggi abituali, persino l’incontro con il ricordo dei propri cari, creano immagini di vibrante e sincera effusione lirica. Il poeta è capace di subitanee illuminazioni, indubbiamente sostenuto dalla religiosità della contemplazione e da quella luce ritrovata nell’attesa notturna, silenziosa e trepidante che sembra scavare nel profondo “Nessuno lo può sapere se non Ti incontra[.]/ Che la gloria che Ti riveste è la luce/ dei nostri giorni redenti”.
La poesia di Davoli meriterebbe un discorso più ampio e completo che non queste semplici note. Sicuramente una conoscenza della sua opera non può che arricchire l’anima umana, dacché il suo tempo non sarà perduto se il nostro spirito conserva dopo la lettura delle sue liriche, una vivificante leggerezza, data dall’analisi di una poetica che sa adattarsi a ogni aspetto o momento della sua attenta psicologia, della sua profonda cultura  e familiarità con concetti e parametri di pensieri tipici anche della filosofia.












“Fa' così, caro Lucilio: rivendica a te il possesso di te stesso, e il tempo, che finora ti veniva sottratto apertamente, oppure rubato, oppure ti sfuggiva, raccoglilo e conservalo”

(Seneca - Il valore del tempo- Epistula ad Lucilium, 1)





Versi d’autunno” (Genesi Editrice- marzo 2016) è una silloge poetica di Antonio Damiano che ha meritatamente conseguito il 1° Premio dell’Area poeti della tradizione, alla V Edizione del Concorso Letterario “I Murazzi” di Torino. Si tratta di un’opera eccellente, ricca di maturi spasimi e attese crepuscolari, in un attento scandaglio interiore verso un consapevole bilancio di un vissuto che si dipana nel tempo e scorre come “solinga attesa”:“La vita è già passata[;] è già oltre[…]Ma cosa mai posso fare[…]così vecchio[,]/Così stanco[…]”.
Attraverso l’intera poetica si profilano continui, il senso della caducità della vita, degli sforzi umani e un rapido trasformarsi di ogni esperienza, percepita con travolgente trasporto nella costante e inestinguibile emozione del ricordo. Per originaria accezione, nella parola “autunno” risuonano sia la lentezza irrimediabile di luci sparenti, di cieli amplissimi che si spengono sia il godere del nostro tempo migliore, quello della pienezza dell’essere; una stagione che incede silenziosa fuori e dentro di noi di cui il poeta si rende cantore. Dal fluire e svanire delle cose si alza, unica, anelata fonte di salvezza e d’eternità l’Arte, intesa come creazione poetica; in essa implodono tutti i tormenti e tutte le estasi, mettendo a nudo il sentimento più intimo del poetaOgnuno ha un’isola nel cuore [,] un’Itaca/Lontana[,]che traluce nei suoi occhi/Sospesa nel ricordo[.] E lo accompagna[…]”.
Il Nostro si sente pervaso dalla lacerante coscienza di avere ormai irrimediabilmente dietro di sé quell’Eden di intatta innocenza, di totale identità tra io e natura, di perfetta comunione tra fantasia e realtà, al quale da adulti si cerca sempre, ahimè senza speranza, di fare ritorno “ Non c’è ritorno verso quello che vorrei[,] / Che riluce nei miei occhi con immagini/ Beate dell’implume primavera[.] / E nube senza vento ristagna sui miei giorni[,] / Offuscando il tempo dell’immemore stagione”.
La natura si mitizza nella memoria e assurge a serbatoio di purezza incontaminabile, perpetua promessa di conforto persino alle incongruenze inferte dallo scambio sociale.
Sfondo privilegiato è la Campania, sua terra d’origine: riserva di bellezza con i suoi paesaggi e tradizioni, che nel verso ritornano attraverso la voce della saggezza, per ricomporre frammenti e smorzare l’angoscia di un allontanamento che la vita ha imposto ma che è anche occasione di raccoglimento, garante di autenticità e distanza salutare dall’inevitabile grigiore della routine quotidiana, in un “perenne divenire”… “La stagione appen si muove nei suoi lenti/Mutamenti [;] cresce e si distende[,] cangia/ E trascolora[…]”.
Il verso, ritmato delicatamente dalla pulsione al ritorno e un io poetico depositario della memoria, sottolineano la fugacità e la precarietà dell’esistenza umana: “È il Tempo il signore della vita”. Appaiono evidenti i richiami al “Sentimento del Tempo” ungarettiano mentre la particolare nostalgia, rappresentata dal ricordo della giovinezza trascorsa, le relazioni intersoggettive e il nido familiare, rimandano alla pascoliana “Myricae”.
Lo stile è contrassegnato da grande raffinatezza formale e si esplica in una puntigliosa fedeltà al ritmo e all’impasto musicale con frequenti enjambements, di qui un verso lungo segnato da naturali e armoniose cesure che ascrivono questa silloge tra le migliori nella vastità delle opere poetiche contemporanee. La continuità degli echi, la multiforme e sfaccettata vitalità di spunti e voci creano un universo elegiaco dove la desolazione del presente, accompagnata dallo spirito malinconico del passato, ricorda le liriche di stampo ovidiano.
Per cogliere al meglio il segreto della poetica di Damiano, occorre avvicinarsi al suo con-sentire, cioè sentire insieme agli altri, presago di un indebolimento dell’individuo di fronte all’incombere di una decadenza di valori, prediligendo i più elevati beni intrinseci verso un anelito di fraterna intesa umana, che possano contrastare le paurose incognite di un’epoca distratta e disorientata. Non esiste un vero e proprio antidoto alla nostalgia, il poeta è più che consapevole delle tante malinconie che ritornano, che danno il senso, non della perdita, ma di quell'eterna ciclicità di cui tutti facciamo parte e a cui tutti tendiamo. La stanchezza crepuscolare non si delinea come un segno di sconfitta e di rinuncia ma si dissolve in un’aurea di sofferta dignità, in attesa di raggiungere quella “terra promessa”… “Allorquando la luce terrena si spegne”. Il poeta sembra chiudersi in se stesso, non più desideroso di udire i rumori del tempo, eppure questo tempo non lo trova distratto  o indifferente, al contrario: i suoi versi tendono a disseppellire quella fede che dona a ogni uomo la possibilità di sollevarsi al di sopra del mondo e delle sue miserie, per comprendere meglio la vita ed anche la morte.



















Eppure l’amore non è solo perdita, rifiuto, mancanza; è impulso che smuove l’ordinaria sopravvivenza, è il camminare su una corda in punta di piedi sfidando la vertigine e il vuoto. È quel volo senza ali nel nostro infinito in cui è perfino possibile riconoscere il diafano riapparire delle anime”.

(Dalla Prefazione di Nuccia Martire)




Anna Laura Cittadino con I Bucaneve di Ravensbrück (Casa Editrice Kimerik – 2017) apre la via a un quesito sulla vera essenza dell’Infinito e dell’Eterno, nella veste leggera e gradevole di una relazione magica che nasconde, dietro l’apparenza di un amore improvviso e inspiegabile, la nascita di un legame karmico, un affresco quasi fiabesco di una storia d’amore che, nel tessuto narrativo, rivive il sentimento di un altro percorso molto più drammatico.
L’incontro tra un uomo e una donna, entrambi scrittori i quali, in un primo momento sembrano condividere solo la passione per una stessa arte, consente alla scrittrice di varcare la soglia di una memoria celata nell’anima, al fine di riscuotere un credito dharmico, verso identità entro cui il sentimento agisce e vive ab aeterno, sciogliendo i nodi irrisolti di un vissuto interrotto. Nella penna della Cittadino, il presente dei protagonisti, qui senza alcun nome proprio ma unicamente contraddistinti dalle forme oblique pronominali “Lui” e “Lei”, è tessuto con delicatezza di toni, sullo sfondo romantico ma non mieloso di una rielaborazione del passato; quasi una trasmigrazione di anime affini che continuano a viaggiare insieme cercando la propria metà perduta.“ […] Lui è… lui è… l’altra parte di me, l’altra metà del mio specchio, l’altra metà del mio sentire, è quel sogno che da sempre custodisco dentro e ho paura, so che mi sveglierò e lo vedrò svanire, evaporare, come una macchia d’acqua su un vestito… non può esistere”.
Due anime invisibilmente connesse, oltre le cognizioni spazio-temporali e in un ciclo infinito, si ritrovano in una nuova vita per poter risolvere ciò che era rimasto in sospeso. Chiusi i cancelli sugli orrori raccapriccianti del 1944 nel campo di concentramento femminile B2 di Birkenau, dove medici e ricercatori nazisti usavano le donne Rom-Sinti come cavie umane per esperimenti sulla sterilizzazione e per effettuare altri tipi di ricerche e, grazie soprattutto a una regressione ipnotica, le anime dei protagonisti ricordano e rivivono lo stesso grande amore di Marcin Lodz e Beatrix Cioran. È come se la loro anima, prim’ancora di incarnarsi, abbia scelto di sanare i dolori e il distacco, riscattando il proprio amore conclusosi troppo presto e non vissuto interamente “L’affanno si farà respiro e il respiro sarà il vento che gonfierà le vele del nostro cuore e ci spingerà lontano da quel tempo privo di luce che è stato il nostro passato”.
Quella vena di grazia intimamente poetica, propria di un personale procedimento stilistico e che abbiamo già trovato nei precedenti romanzi della scrittrice, riaffiora nuovamente dando vita a una continua onda lirica che fascia e avvolge il tutto, senza turbare minimamente la rappresentazione dei fatti e la purezza della trama, senza alcun dubbio particolarmente degna di nota; basti pensare  alla scena degli esperimenti e ai dialoghi che tengono avvinti alla lettura e a ciò che si svolge entro la narrazione degli avvenimenti.
La Nostra rinuncia al purismo, accettando parole di qualsiasi idioma, svolge il motivo a lei caro dell’amore primordiale, basato sulla teoria delle anime gemelle.
Gli argomenti trattati, come la regressione ipnotica e la reincarnazione, divengono non solo motivi di una celebrazione dell’amore in tutti i suoi più alti valori e un incitamento a vivere questo sentimento con forza e gioia ma costituiscono anche una retrospezione intenzionata a ripercorrere intrecci, legami, labirinti, luci e ombre di una terribile falcidia di tutte le Zigeunerinnen sopravvissute agli esperimenti nazisti.
Il romanzo “I Bucaneve di Ravensbrück” è bello, commovente e ricco di  magnetismo poetico, dalla forma fluida e sintatticamente perfetta, ove ogni frase ha le sembianze di un piccolo capolavoro, per un accostarsi e sovrapporsi di immagini suggestive che lasciano trasparire un’incredibile ricchezza interiore, mediatrice di una missione estetica e spirituale d’artista.
Il Bucaneve, fiore simbolo dell’Eden, sta a dimostrare che solo l’amore, nel grande vuoto e nel gelo dell’esistenza, ha la funzione di far ritornare l’umanità al vero significato della vita, per cui deve essere sempre considerato come un’esperienza positiva “L’amore non può disorientare, se è amore”, laddove anche un percorso incompiuto diviene speranza e consolazione nonché presenza costante di quel soprannaturale che da sempre sconvolge e instilla dubbi in chi ancora non crede che l’amore vero possa avere un’evoluzione animica oltre la vita.














Rotta rischiosa è la vita; noi spesso in balìa di tempeste
traversiamo momenti più tristi di un naufragio.
la Fortuna
senza certezza, come sul mare, navighiamo;
è per taluni felice il viaggio, cattivo per altri,
ma tutti approderemo al sotterraneo porto.”

(“ Il nostro viaggio” epigramma di Pallada di Alessandria)



L’opera “L’eterno viaggiatore” di Emanuele Aloisi, recentemente pubblicato con la Casa Editrice Kimerik, è un componimento poetico d’impronta classica, un poemetto diviso in  dodici canti e, quantunque sia difficile collocarlo in uno specifico genere letterario, rievoca la tradizione orale dell’epica e dell’epigramma, con accenni alla poesia didascalica.
Il mito, i simboli e gli archetipi della ricerca interiore in un verso che, a fronte di una soggettività poetica, si snoda lungo i tópoi del viaggio e dei suoi tanti eroi, tematiche care all’arte greca e latina, quali strumenti di esortazione e di riflessione sulla propria e altrui esistenza nonché sul senso della vita e del perché accadano tristi frangenti “Ardito viaggia il peregrino eroe/ alla scoperta di se stesso […]”. Il poeta, con animo commosso ed empatico ascolto, dà voce a tragici eventi dell’umanità, passati e presenti, spinto da un senso di fraterna carità verso i deboli e i derelitti di ogni epoca.
Partendo dall’ardito peregrinare di Ulisse, eroe epico per eccellenza, il Nostro tocca luoghi e attraversa cronologie  storiche, utilizza realtà e simbolo per tratteggiare le sfide e le prove con cui gli eroi di ogni tempo s’imbattono. Le sue liriche si affidano soprattutto alla forza delle immagini, profuse di quei moti dell’animo che affrontano profonde questioni morali quali i peggior mostri della vita: Olocausto e campi di concentramento, sacrificio dei cristiani, guerre, oppressioni fino agli accadimenti dei nostri giorni: terremoti, calamità naturali, emergenza dell’immigrazione, sconforti e precarietà “Anonimo l’eroe[,] cha ha sulla pelle/ un numero cifrato[…]” “ […] la scia di sangue nel destino/di un pesce gigantesco che sprofonda[…]”. Supportato dalla brevitas del componimento, il poema intende evocare sentimenti ed emozioni profonde, identificandosi con la modernità e la sottigliezza di una forma espressiva ricca di sottintesi e di sfumature ove pathos e pietas si fondono per dar vita a una colorita e viva metafora della vita; un complicato e imprevedibile itinerario di un tempo dato all'uomo per la conquista della vera immagine di sé, attraverso il mistero delle umane sorti. C’è solo la necessità di sopravvivere e l’approdo è solo una speranza per coloro che la vita usa per un proprio disegno, spesso oscuro a tutti salvo che alla Divina Provvidenza []ascende al cielo tra le braccia aperte/di un padre lieto di abbracciare il figlio/e togliergli l’arpione dal suo collo”.
L’eterno viaggiatore è un’opera raffinata e preziosa in cui la pregnanza di ogni singolo verso, comprensivo e universale, contiene anche un alto valore pedagogico, di fresca originalità e rilevanza formale su temi di vasta portata. Un plauso a Emanuele Aloisi per questa sua esperienza letteraria particolarmente elaborata, segno di una personalità di eccelsa sensibilità oltre che risultato tangibile di una cultura umanistica e di una grande passione per la poesia, consegnando al lettore mirabili squarci di dolore e di umano compianto senza mai abbandonare la fiducia e la speranza di poter superare anche il più aspro dei destini.












La raccolta in versi “La panchina innamorata” (Writerseditor) di Maria Giovanna Bonaiuti, poetessa e scrittrice di origini toscane ma residente nella città marchigiana di Fermo, offre uno spaccato significativo di come la presenza misteriosa e complessa della natura con i suoi tanti abitanti senza voce, possa attivare l’immaginazione e acuire i nostri sensi. La sua figura ondeggia dinanzi alla nostra fantasia, apparendoci ora una donna malinconica e nostalgica, ora una vera e propria “guerriera della luce” coelhiana, per la quale la semplicità e l’ umiltà sono l’espressione di una poetica di grande etica e rispetto verso l’uomo e l’intero universo. Una panchina di pietra è simbolicamente il punto di osservazione o, probabilmente, di attesa di un tempo dedicato all’amore e alla bellezza di quelle piccole cose che divengono grandi e frutto di speranza quando il sentiero della vita vacilla “Sulla panchina[,]logora di infinite storie/narrate da rari passanti sgomenti[,] c’è scritto[:] /”SEI MIA”.
La nota distintiva dei versi è data dalla fusione di motivi intimistici più volte reiterati, quali la solitudine e la fragilità, con l’idea dello spirito di spaziale evasione e insieme di umano approfondimento, suggerita dal leggero respiro paesaggistico e dalla confortante presenza degli animali “ […]L’ho visto[:] / era lì[,] un piccolo pipistrello aggrappato alla tenda del balcone[…] /Stelle vagabonde del cielo lo avevano accompagnato perché/accarezzasse lievemente la mia solitudine”.
Il linguaggio, tra fughe e ritorni, risalta una fitta galleria di alberi, fiori e animali. In ogni poesia trionfa la tendenza pascoliana a sentire gli animali non in quanto simboli o soggetti estetici ma come veri e propri beniamini e confidenti, perfetti mediatori tra la realtà umana e la realtà divina nonché amici con cui condividere un cammino “ Mi attende l’amico gufo[,] / con i suoi grandi occhi sorridenti”.
Uno stile denso e sinuoso, segnato da naturali e musicali cesure ove si concentrano anche esperienze arieggianti i moduli tipici della sofferenza leopardiana, da cui si generano sentimenti di solidarietà e fratellanza verso gli altriVorrei spegnere il sole con un secchio di/acqua zuccherata[,] per vedere gli uomini/che corrono in questa dolce pioggia”.
L’inclinazione della poetessa all’osservazione si esercita a intuire i particolari più minuti, le sensazioni più sottili, le atmosfere più rarefatte,  in un quadro quanto mai poetico, pregio della perspicuità di un sublime raggiunto con la massima tenuità di voce  e suoni “ Sono viandante della mia solitudine[,] /cammino con le mani in tasca/ per contrade lontane dalla mia anima[.] /Mendicante di bellezza[,] / raccolgo lacrime cadute alle stelle[…]
Versi intrisi di struggente malinconia lambiscono i ricordi; come “scritte indelebili” nel vagheggiamento passionale e romantico di una vita intera, mescolano amore e nostalgia, con atteggiamento, in fondo, abbastanza semplice in sé ma preziosamente elaborato con riferimenti metaforici. La Nostra li sviscera e li matura con fiamma sottile che sembra affocare le immagini di quel “balcone dei ricordi” che abita il cuore e la mente. La “terrazza sui tetti” è luogo privilegiato dell’anima, un “ripostiglio segreto”dove trovano riparo sicuro i sogni, “quelli irrefrenabili, inconfessabili, inarrestabili” e che non muoiono mai.
Maria Giovanna Bonaiuti coglie il mistero che si nasconde dietro le apparenze di un passato-presente e attende un “pugno d’azzurro” che stemperi i giorni e le notti più tristi,  intingendo la penna nella solitudine degli avvenimenti, delle passioni, degli affetti che hanno animato la propria vita.
I poeti, in fondo, sono messaggeri di armonie, virtù e speranze vissute in silenzio, quali risposte di una creativa solitudine, come suggeriscono gli stessi versi della grande poetessa americana Emily Dickinson: "Forse sarei più sola/ senza la mia solitudine".







“ Raccolgo in me mille soli,
che riemergono per solcare il limite del mio sguardo,
custode ramingo
del mio museo interiore



Dimmi le parole” di Marco Fortuna (Italic 2017) è una silloge poetica che fin dai primi versi ci offre un preciso ritratto dell’autore, poeta essenziale nonché uomo composto e riservato.
La sua poesia è un viaggio e i versi sono guida illuminata ove la parola, pervasa a tratti da un’alta liricità, adombra quella sottile trama di pensiero malinconico e senza una mappa preordinata conduce l’io poetico verso regioni dove ha fine lo stato di destabilizzazione di un vissuto, alla ricerca di uno sguardo soddisfatto e pago “ Come possono le mie parole uscire da questo labirinto/[di pensieri”. Il Nostro si sofferma e sosta sulle cose non su chi le possiede “Vedo la spiaggia come un mercato ricco di cose e povero/ di gente [,]/ con i gabbiani che a un tratto mi volano nel cuore”, toccando la soggettività dell’immagine poetica e degli echi che ogni suo verso genera nell’intimo dell’individuo, in cui le emozioni accelerano o smorzano incanti e disincanti di esperienze personali. Una vera e propria geometria dell’anima attraverso il tempo e lo spazio ove la contemplazione della bellezza è un varco, una tensione all’infinito in cui erra lo spirito umano.
Una forte carica espressiva è qui segno di una visione del mondo pacata che rifugge da tinte accese o violente e da forti contrasti mentre un intero mondo interiore si concreta in poesia che non sia un’arma bensì canto nel quale l’uomo si racconti, si plachi, si rassereni mentre la parola pregna di un potere incantatore diventi speranza di uscire dal buio, dal torbido alla luce, lungo le ali del tempo e oltre ogni spazio. Una poesia sempre in divenire  che è espressione immediata di perdurante efficacia sulla sensibilità umana.
Balenano alla fantasia del poeta paesaggi spirituali amplissimi; dalla segrete e dalle non più controllate profondità del suo spirito, irrompono intuizioni inattese, accostamenti di mondi di pensiero e di fedi diverse proiettate verso una lontana armonia “Ma da lontano e dal profondo qualcuno[,]/con forza sovrumana],[/preme sul foglio mentre scrive il mio nome[,]/mentre io rimango tra voi nell’attesa di una liberazione”.
Uno stile personalissimo per una poetica autobiografica, sincera, senza fronzoli e orpelli. Il verso è incentrato sul fluire spontaneo e si trasfigura in poesia della vita; la forma introspettiva fa leva sul valore evocativo, quasi magico, della parola, sulla sua suggestione fonica, sulle tante sfumature musicali e sul simbolismo “ Cadono sul nostro petto gli anni[,] come pioggia[…]”.
Una poetica dolce e delicata e allo stesso tempo incisiva, che eleva il linguaggio a una nuova altezza, supera il suo compito comune e diventa col suono e l’accento in essa, il mezzo per indagare  la psicologia umana, il dolore, la gioia, gli affetti familiari, persino l’amore per la propria donna.
Ritengo che i versi di Marco Fortuna qui raccolti  possano assurgere a quel carattere stilizzato di mediazione poetica quale migliore e costante richiamo dell’attenzione del lettore e di ogni sua vibrazione intima.
















[…] “su tracce d’inchiostro/di poesie/di foglio bianco aperto all’infinito[.]”


Mare mosso, l’imaginoso” è la recente raccolta poetica di Maria Luisa Mazzarini, edita da  EEE-book Edizioni. Leggendo quest’ultima opera si avverte la sensazione di passeggiare a braccetto con la poetessa tra scenari in piena esaltazione della memoria e dell’immaginazione, con lo sguardo innocente di una bimba, desiderosa di scoprire realtà nuove a ogni passo ”Ci ferma la bonaccia[,]/ asciughiamo le penne sulla ghiaia[.]/E le parole/raccontano di frammenti di luce/da abbracci d’acqua/e infuocata sabbia]…]”
Ritorna il tema dominante del mare e del mormorio delle acque, in singolare affinità coi movimenti elementari della attività della natura, attimi privilegiati di un’inconfondibile voce, di una cultura, di uno stile. Una poetica che si affaccia estasiata ovunque e che si ritrova nel suono di ogni luogo, a contatto con visuali che sono sorgenti di creatività; le parole danzano come note su un pentagramma e come fili di una tela intrecciano immagini che giocano abilmente tra metafore e simbolismi. La poetessa riesce sempre a stupirci con la sua potenza onirica, quasi funambola, di riconciliazione fra l’io e il mondo, fra l’arte e la vita.
Il mare, come ogni elemento fluido, sta a significare la profondità e il mistero dell’animo umano nonché manifestazione del tempo e di quell’intimità strettamente in contatto con emozioni latenti, celate o tenute a freno(Chi siamo?)/ Angoscia, inquietudine, sgomento[. ]”
Le citazioni di poeti e scrittori stranieri, all’inizio di ogni capitolo, lasciano cogliere nuovi spunti per le liriche che seguono, dalla struttura e dal linguaggio vividi e unici. Nel suo ordine fantasioso, il verso breve e sciolto impone più volte una sosta, mentre aggettivi espressivi sollecitano la poetessa a dare libero sfogo all’estro creativo, quale dono speciale e ispirazione dei suoi stessi sogni “in brulichio di stelle/ [-] punti nel buio[-] come i nostri sogni/ di Magia[,]”.
La poesia per Maria Luisa Mazzarini è integrazione completa della sua personalità, tutto ciò che vive in natura è pulsante di vita da ascoltare e rispettare mentre si risveglia e si esprime quel canto nascosto che dorme  nelle cose.  L’anima stessa si abbandona all’oblio e si spinge oltre i propri limiti; essa assorbe energia dal vento, dai fiori, dagli alberi, dagli uccelli, dalla neve, dal sole, dalla luna e dal modulare del mare, per elargirla ai versi. L’io poetico vive all’unisono col mondo circostante, sembra di respirare con il suo ritmo “[…] respiravo l’Incanto/di un mondo sommerso[,]/ ignoto/a uno sguardo distratto[.]”, mentre la struttura strofica irregolare è una tecnica originale che potenzia a dismisura la sostanza di valori umani universali così come gli elenchi d’immagini che sono identificazione, definizione e associazione di legami particolari,  ricordi o sentimenti. Attraverso il variopinto caleidoscopio delle parole, di cui molte con lettera maiuscola, assaporiamo il senso della profonda connessione tra la “Meraviglia”, lo “Spettacolo” e… la “Vita”.
Un’opera di straordinaria pienezza di vita che lascia intendere la soluzione dell’enigma della buona sopportazione di un percorso di ognuno, altrimenti invivibile; gli oscuri presentimenti e l’ineffabilità si raccolgono in un mosaico di sfumature emozionali, originano trasformazione e rigenerazione che man mano offrono allo stile ricchezza di armonie più colorite. Ogni essenza originaria è qui fascino e abbandono a una sorta di seduzione che alleggerisce la mente, esattamente come nel sogno, qui definito “origine e radice di ogni favola e futuro possibile”.
Senza cadere nella trappola dell’estetismo, assistiamo ad atmosfere surreali dannunziane ove la parola è epifania e viaggia senza seguire una logica “[…] il porto- l’orizzonte- il destino-la porta-la via” ma semplicemente suggerisce quel felice smarrimento del “dolce naufragar “che il grande Leopardi cita nei suoi ultimi versi dell’Infinito. 
Non è forse questo il compito del poeta? Ovvero cercare certezze al di là dell’imperfetto che troppo spesso corrisponde a un certo atteggiamento di vita, dove tutto risulta essere inappropriato nei confronti di quanto invece l’uomo sia destinato a raggiungere, secondo un modello divino “[…] il cuore sogna l’imprevedibile gioia[,]/ la nuova speranza[,] /l’attesa[.] … (Rivelazione)/ E incede il Giorno con passi divini”.















HaikUimia è una raccolta di haiku; un nuovo progetto editoriale della Arkhé Edizioni – 2016 che unisce la poetica del sulmonese Claudio Spinosa e dell’aquilana Alessandra Prospero, creando così un connubio di arte e di energia ispiratrice. Le immagini grafiche della copertina ritraggono i simboli del sole e della luna, separati seppur concilianti, quale unione di due opposti a ordinare un nesso armonico tra luce, calore e creazione di passaggi di un rispettivo universo interiore.
In termini di filosofia orientale, è come riferirsi alla dualità maschile e femminile, dello Yin e dello Yang, sebbene qui i colori utilizzati siano il bianco e l’azzurro. La stessa grafica si ripete nelle pagine di ogni singolo haiku: il Sole per Claudio Spinosa e la Luna per Alessandra Prospero.
Nei versi si evince una sincerità d’emozione che si manifesta in quella semplicità, in quella schiettezza e spontaneità d’espressione propria di questa raccolta, ove spiccano tre aspetti rilevanti: razionale, emotivo e volitivo. La brevità del genere haiku riflette il mistero del verso e si arricchisce di capacità riflessive e immaginative persino laddove c’è un velo di melanconia che si traduce in respiro vitale e unanime [Su nero asfalto/ricordi & intuizioni/Attraverso me] (C.S.) - [Crepuscolo blu/Nostalgia feroce/Lande lontane] (A.P.)
Una composta tristezza pervade all’avvicinamento del crepuscolo e le parole non dicono, non descrivono i moti dell’animo ma li suggeriscono indirettamente con la loro forza di simboli evocativi, la cui scelta appartiene all’abilità degli autori, in modo ch’essi non restino isolati ma che, con una dinamica sicura, producano l’effetto desiderato: [Luna distorta/Umano contrattempo/Occlude cieli] (A.P.) - [Umori grigi/Ora tarda di sera/Bisogno di me] (C.S.) Nella gioiosa ammirazione del bello, traspare un’eco quasi temporale, un soffio opprimente della caducità delle cose di questo mondo dove anche il ricordo ci assale, quando i pensieri si fondono con le emozioni suggerite dalla stessa natura. Uno scatto fotografico del trasporto dell’io nelle cose del mondo è qui spontaneo abbandono dello spirito in esse e intensa partecipazione alla loro ansia, alla loro vita, alla loro stessa essenza rendendo suggestività all’espressione [Alba gelida/Costruzioni mentali/Concatenate] (A.P.)
La bellezza della poesia haiku è sempre quella che si annida ovunque, sia nell’osservazione della notte che in quella del giorno, tra i germogli di una primavera e gli inverni dell’anima. La potenza di afflato si fonde con il riposo e la meditazione e le “Parole s’intarsiano” nei versi di “un’alchimia vincente” per una “gioia condivisa” che si trasfigura in passione e in quella spiritualità propria della poesia giapponese. Infatti, tale poetica mette in luce molti concetti tipici della filosofia giapponese che, per tradizione, persegue una sorta di “makoto”, di perfezione e veridicità che è anche profonda consapevolezza, non solo di ciò che siamo ma soprattutto di ciò che potremmo essere, se solo ci fermassimo più a lungo nei luoghi della contemplazione, semplicemente per riscoprire ciò che la frenesia del quotidiano spesso cela al nostro sguardo. HaikUimia: un titolo sicuramente ricercato e ideato con un preciso motivo;  a me non dispiace interpretarlo anche come “haikuemia” o “haikulimia”, considerando la personale attitudine dei Nostri verso tale componimento poetico.
Tra haiku e senryū, la cui grazia deriva dall’imperitura bellezza della semplicità, indubbiamente risaltano la tempra e l’incisività, caratteristiche essenziali dei due autori, quali eredità della loro terra d’Abruzzo.






















La vita la inseguo/come gatta randagia/sui cornicioni/affamata di lune opalescenti/frugando con gli occhi/negli strati del cielo

  



La nuova silloge “LE PAROLE ACCANTO” è un progetto editoriale crowdfunding di Interno Poesia Editore, approdato alla pubblicazione con ampio consenso di pubblico per una poetessa di valore quale è Michela Zanarella.
Il titolo della raccolta, senza alcun dubbio, è il primo elemento di riflessione, prim’ancora di addentrarsi in una corretta interpretazione del testo. Il termine “parola” è già un’evidente articolazione di un'ispirazione poetica, manifestazione più pura dell’essere che si pensa e si esprime nel linguaggio che maggiormente predilige. Nel caso della Zanarella, la voce poetica è la natura stessa del suo essere ove il verso incarnato è essenzialmente presente e “accanto” in ogni trasformazione del suo cammino. “Trascino nel mio inchiostro/il tragitto della luce[,] /il procedere dell’infinito”.
Dai meandri della memoria affiorano le immagini della bambina diventata donna, che non lascia nel vuoto il proprio percorso di vita bensì lo colma di parole, emozioni e affettività. Una poetica della semplicità e, allo stesso tempo, maggiormente matura ed evoluta, in un periodo di transizione in cui la scoperta dell’anima e il suo diventare familiare richiedono molto tempo e ripetuti incontri. I luoghi della memoria sono quegli spazi che acquistano un particolare significato emotivo, possono fare irruzione improvvisa e smuovere impressioni tali da renderli unici, poiché sollecitano inconsuete vibrazioni interne e stimolano a un dialogo interiore. La poesia è compagna di viaggio lungo un’analisi di sensazioni e sentimenti che sono rimasti sempre fedeli alla sua terra di origine […] una terra che mi sfugge solo nella distanza/ ma che è pur sempre/radice che confina col mio sangue”. Autentica virtuosa del verso, la poetessa riscopre un singolare sodalizio con i paesaggi a lei cari; ne trae una magica e rinnovata forza per luminose immagini dal potere evocatore “Non posso dimenticare/ le sere spese ad inseguire lucciole/tra i campi […]”, che restituiscono un senso alle scelte che, nel tempo, hanno assunto una particolare pregnanza esistenziale, marcando un momento di svolta o di rinuncia; le stesse che accentuano il desiderio del ritorno a una spensieratezza propria dell’infanzia.
Una profonda e intuitiva sensibilità pervade lo stile della silloge. La ricchezza di riferimenti costanti tra il cielo, la terra e l’essere ci fa comprendere quanto stretta sia la loro correlazione in ogni ambito della vita. Sulla volta celeste si muovono il sole, il vento, le nuvole, la nebbia, i gabbiani mentre sulla terra ci sono il grano, i fili d’erba, il fiume, la pianura e le strade polverose, tutti segni di un rapporto con la natura espresso da un simbolismo preciso che è rinascita, virtù e forza spirituale. L’atteggiamento rispettoso verso un creato che si congiunge con il cielo, dove anche i silenzi e le distanze generano presenze e non ombre passive nonché il perire e il rinascere, riescono a produrre commozione in chi rivolge loro il proprio sguardo.
In particolar modo colpisce il simbolismo del grano, termine più volte ripetuto nei versi e legato al dono della vita. Non a caso ritroviamo poesie dedicate alla propria madre, ove si evince un seno materno che è possibile paragonare al seno della terra. La perennità delle stagioni e insieme le diverse trasformazioni della vita umana investono il tempo di una funzione metaforica della maturità di ogni espressione, di ogni germe di sentimento e recuperano il contatto tra l’io e quella luce che arriva dal pensiero rivolto all’azzurro del cielo, al divino, in una sorta di totale affidamento.
Allora proviamo ad incontrare l’azzurro/che sia orizzonte o confine/ e lasciamo che sia l’alba a darci risposte/dopo aver sorriso alle stelle”.
Michela Zanarella irrompe nell’anima di ognuno con dignitosa pacatezza. È superfluo aggiungere che la sua poetica è consacrata alle immagini che lei penetra, non lasciando che le scivolino addosso soltanto le sembianze di un qualcosa che è cornice di un percorso.  La sua poesia così come la sua natura, fatta di silenzi, percezioni e riservatezza, ha imparato a “custodire il tempo”, si risveglia e si esprime nel momento in cui la sua anima ha trovato il centro di quelle emozioni, non più enigmatiche bensì suscitate anche da una rielaborazione psicologica “Apro la mia pelle ai giorni […] come se fossi al primo inchino/alla vita”. La vita segue una spinta che spesso non si delinea in modo chiaro ma sembra proprio che la Nostra percepisca già quel “[…] destino/ che mi chiede dove andare/ prima di orientarsi dentro al cuore”.

















“Sorrise amaro, nel considerare di quanta presunzione si nutre l’uomo   coltivando l’illusione di avere il controllo del tempo, come se ne fosse padrone,
 e non di questo solo un misero ostaggio




L’ultimo bagliore” (Osanna Edizioni), il secondo romanzo di Giuseppe Filidoro è la conferma di un nuovo talento capace di emozionare, trovando nella scrittura un luogo privilegiato a cui affidare pensieri e riflessioni sull’animo umano e la sua coscienza. L’incipit del romanzo ci trasmette già la percezione di un preciso proposito dell’autore di consegnarci metaforicamente un messaggio essenziale, particolarmente incentrato sui meccanismi impietosi della mente nonché sui tanti subbugli dell’essere.
Ogni esperienza narrata è un’epifania retrospettiva ove il passato, tramite un preciso percorso narrativo, attiva la memoria involontaria del Sé. Siamo di fronte a temi incandescenti quali la morte, la violenza, il senso di colpa, il senso del peccato e il desiderio di espiazione, la fragilità dell’uomo e la forza del destino che, discontinui e imprevedibili secondo la loro essenza più vera, s’insinuano dentro le pieghe del presente delle due figure di spicco: Betta e Don Cesare. L’una si trova a ripercorrere stati d’animo nelle mappe della sua memoria di bambina per riuscire in qualche modo a bonificare e superare il suo “inferno buio”; l’altro accetta passivamente il ruolo che gli si attribuisce sulla scena dell’esistenza, dibattendosi tra le sue “due anime”. Entrambi introversi e tormentati da incubi ricorrenti e costantemente turbati da larve inconsce. Non meno importanti sono le figure femminili antagoniste di Maria e Savina, dal carattere ambiguo e inquietante.
L’autore ama anche attardarsi in minuziose descrizioni, degne di nota, ove la natura e i suoi paesaggi, suggestivi e misteriosi, sono una rappresentazione simbolica dell’energia e del potere dell’essere umano nel profondo. La stessa descrizione dell’evento sismico s’incastra perfettamente nel tessuto narrativo; esso irrompe per scuotere le fondamenta dell’ego e della mente quale disagio psicologico e senso desolato del destino che, sottilmente, gioca sulle corde dell’anima.
Sfondo misterioso e dal carattere simbolico è anche l’immagine della luna, rappresentata come la zona notturna, inconscia e crepuscolare della personalità e della vita infantile; una luna che è il versante passivo ma fecondo dell’immaginazione.

Un’ingannevole logica orienta la fabula e s’impone come se l’autore stesso interrogasse e analizzasse chi in realtà non è unicamente personaggio bensì un vero e proprio Essere seppur incompleto, frammentato e perso negli oscuri meandri dei suoi ricordi.
È doveroso osservare ogni angolatura del testo per riuscire a classificarne correttamente il genere, dato che vari elementi suggeriscono un possibile legame con il romanzo psicologico e introspettivo, senza ignorare un’impostazione di stampo realistico di una narrazione inventata ma al tempo stesso verosimile, in cui l’inquietudine e il senso di colpa rispecchiano la forma più comune di angoscia della nostra cultura.  Con tale opera inoltre, Filidoro ha dato prova di straordinarie intuizioni di ordine sociologico per giungere infine a un’analisi dell’animo umano, propria del romanzo decadente. Continui flussi di coscienza riportano ogni vicenda del passato in superficie; in particolare Betta e Don Cesare sono sottoposti a tormenti continui e traumi interiori sentendosi vittime di voci opposte, di contrasti cupi anche se diversi nelle loro sorgenti personali. Ogni figura qui descritta è un essere a sé che si auto-analizza, si esamina, si scruta e si tormenta nel rivivere fantasmi del passato che appaiono del tutto personali seppur strettamente collegati, talmente forti e insistenti da far desiderare persino la morte quale liberazione da essi.  Lo stesso desiderio di espiazione costringe il co-protagonista Salvo a rianalizzare, in cella, le zone più oscure del suo passato, afflitto dal tormentoso ricordo di un amore bello ma malato, reso quasi perfetto dalla volontà di non esistere più.

Nonostante la ricchezza dell’intreccio, qua e là disseminato di elementi noir, ci troviamo di fronte a una prosa limpida e dai toni pacati che predilige una struttura squisitamente tradizionale, a sottolineare capacità narrative e introspettive notevoli. Non manca la tecnica espressiva che si evidenzia nelle sequenze in carattere corsivo nello specifico letterario dell’analessi. Un insieme di elementi, fitti rimandi alla narrativa proustiana e bufaliniana, induce a riflettere sui tanti quesiti che l’uomo è portato per sua natura a porsi e soprattutto su quel grande e unico perno intorno a cui girano la mente e il cuore dell’uomo a seguito di traumi vissuti, la cui essenza va assolutamente indagata. L’assoluto protagonista nonché tema centrale del romanzo è, dunque, il tormento interiore di una memoria implicita, reclusa negli incubi più difficili da sopportare, un’impronta indelebile di conflitti di una coscienza che implode nell’io e governa l’intera esistenza.
L’ultimo bagliore di Giuseppe Filidoro è senza alcun dubbio un mezzo espressivo attraverso cui è possibile porsi domande fondamentali sulla propria esistenza, riscoprendo traumi e dubbi in grado di trasmettere alchimie interiori intrise di significati che troppo spesso tengono in ostaggio menti rassegnate e incapaci di accettare il corso del destino, con un costante interrogativo: esiste davvero un “ultimo bagliore” che possa condurre verso un ideale ultraterreno, di libertà da noi stessi?


























Compagno di vita” (edizioniGEI) è la nuova pubblicazione dello scrittore jesino Franco Duranti, un libro che già dal suo sottotitolo: Divagazioni minime su di “lui” si presenta al lettore come piacevolmente curioso e intrigante. Il tutto in una delicata atmosfera che, grazie anche alle graziose illustrazioni di Elisa Vitali, stimola chiunque a domandarsi: ma di cosa si tratta…? Il suo punto di forza sta proprio nel creare un simile dubbio che si rivela vincente e, oserei direi, ci avvicina ancor più a tale scrittore il quale, infine, sembra aver tirato fuori dal suo fantasioso cilindro una bella trovata. Eccoci allora di fronte a un divertente gioco di ruoli e relazioni, in un quotidiano dialogo in rispetto di precisi doveri di ospitalità, così stretti e vincolanti da generare un costante rapporto di reciprocità tra i due protagonisti: l’uomo e il suo… organo.
Immaginando un espressivo viaggio nel tempo, dal concepimento alla pubertà, dall’adolescenza alla maturità, questo testo ha una funzione quasi pedagogica; nello scorrere delle pagine, in molti saranno invogliati a scoprire con maggiore curiosità, fatti e allusioni.
Con slancio e allegria nasce un progetto editoriale che non ha certamente la pretesa di voler essere educativo ma che diviene ciononostante, un gradevole contributo alla conoscenza di sé, per approfondire una riflessione attenta e serena soprattutto tra adolescenti, per scoprire tanti piccoli segreti che aspettano solo di essere svelati.
La realizzazione strutturale, lo sviluppo del design grafico e, infine, la concreta trasposizione in una presentazione funzionante, accessibile e accattivante di una morfologia quasi fiabesca, offrono una risposta non esplicita bensì simbolica al senso della fisicità e della psicologia della sessualità maschile. Dapprima una narrazione teorica, poi esperienziale, che si dispiega lungo l’evidente messaggio di uno sviluppo personale, una “testa” e una “coda” che padroneggiano contenuti di motivazioni e approcci di carattere personale e non; una partenza intrepida e ardita che muta negli anni e quel “tempus fugit” che necessita dunque di un’efficace sdrammatizzazione.
Trovo che il testo sia adatto a chiunque possa apprezzarne il genere, a chi ha voglia di trascorrere una pausa di svago nonché a chi lo consideri un modo garbato per affrontare una sorta di proposta formativa, basata su evidenze scientifiche o sulla realtà dei fatti, perché davvero si tratta di pagine che si leggono con il sorriso sulle labbra, senza alcuna volgarità e, di questi tempi, non è poco…

















Maria Luisa Mazzarini e i suoi versi tornano a deliziarci con la silloge “Ci basterà il mare”, di recente pubblicazione con EEE-book. Da questa nuova esperienza poetica si evince subito il contatto con una dimensione di coscienza elevata, tesa a vivere sia il sentimento d’amore che la stessa poesia quali richiami di anime gemelle, messaggere di un sentiero di luce che rimanda a una finissima lettura simbolica di universale risonanza, verso un itinerario spirituale nel pieno rispetto emozionale dell’essere e del divenire. […] “POESIA/che sussurri versi/innamorati della Vita/e respiri/Luce d’anima […]”. L’io lirico osserva, percepisce e scopre quanto l’Amore “in un tempo-non tempo”, forse sognato e/o forse mai vissuto, possa arricchirsi dei pregi racchiusi nel desiderio di un incontro più intimo con un linguaggio e un’accezione semantica, che sono anche esperienza onirica dai toni meditativi, fino a risultare progressiva purificazione […] “un cuore/d’anima/ il MARE/ ce l’ha dentro […]
A fondamento della raffigurazione lirica si stagliano dettagli e magiche immagini del mare, della sabbia, del vento e di qualunque altra effigie della stessa dinamica della vita, di quel tutto che nasce, ritorna e s’impone silenzioso, annullando le barriere spazio-temporali mentre l'anima si avvia verso un nuovo ciclo di vita, che attende alla profondità e al mistero dell’essere umano. Una versificazione incline a una profonda confidenza che, come sabbia permeabile, aderisce alle sue forme e si modella in essa, in una ricerca di riposo, di sicurezza e di rigenerazione. “MARE/eternamente/uguale e diverso[.]/ Il tuo pensiero/ immerso in viaggi/sempre nuovi[,] /come voli d’uccelli/mai stanchi[.]/SABBIA/ in quella conchiglia/che inondi di Te/sulla riva/io sono[.]
Il connubio di levità e grazia formali trova legittimazione nel rendere in lirismo le proprie ineffabili realtà interiori, dove parola e suono sono strettamente collegati, persino intensificati da quegli spazi bianchi tra un verso e l’altro che, strutturalmente, richiamano molto l’ellissi della poesia ermetica, ove vengono concentrati attimi di silenzio e di attesa.
Nella lirica dal titolo: “Ti vedo” troviamo evidenti note di panismo dannunziano, in ogni sfumatura e modulazione la parola è evocativa, la natura coglie il richiamo attraverso gli organi di senso, qui la poetessa si espande gioiosamente in un’identificazione prima fisica poi spirituale. “Ora piove a dirotto in giardino/ sui pini e i cipressi[,] / sul colore sbiadito dei tigli[,] / sulle erbe dei campi/ lontani[.]
La voce poetica della Mazzarini è tenue, umile e tuttavia, nel suo preciso intento di sciogliere un nodo, si fa animata, fervida e ansiosa di comunicativa con i propri simili, mentre l’evidenza del concetto dell’infinito ne accresce la suggestione e l’intensità, in un sottile gioco di rispondenze interne e di sensi correlativi, di echi musicali, che legano ogni immagine a sensazioni simultanee. A dimostrazione della maturità in un personale percorso poetico, troviamo un’espressione fluida che predilige un verso denso di significati, stratificati su diversi livelli e rifugge da impalcature stilistiche. L’autrice si rivela sottile e raffinata interprete di un linguaggio quasi zen che descrive, racconta, si pone come oggetto di sguardo e infine diviene spettacolo di uno slancio appassionato verso la bellezza, che vive immortale sopra il travaglio e la caducità delle cose umane e rasserena lo spirito dell’uomo tormentato dal mistero che lo circonda “[…] un passo adagio/fino a una corsa libera/e un alzarsi in Volo/oltre/l’ultimo orizzonte?
In un tempo dolcemente e tristemente umano, venato di sospiri per infinite fragilità, la poetessa avverte anche l’eco di quel mondo che non scorre indimenticato e testimonia il suo contatto con l’inconscio collettivo, con le percezioni, le paure e le sofferenze di ognuno […] “Sangue[,] / Vitale[,] / quasi Vento di tempesta/ o lago sognante al chiaro/ di Luna[,] / ruscello di Vita nuova[.] METAFORA/ di tempi grigi e azzurri […]. “Ci basterà il mare, una silloge che rappresenta un cammino verso la completezza tra amore e spiritualità, un invito a ricordare ciò che conta davvero […] “UN ATTIMO D’AMORE” – è già felicità – 


















“Dio
ci ha fatti per amare. Ma noi siamo
incagliati su questo atroce scoglio
fatto di mete inesistenti e cieli
 mai raggiunti. Che non ci apparterranno.”


La poetessa abruzzese Rosanna Di Iorio vanta un vasto curriculum tra pubblicazioni e iniziative letterarie. Molto interessante è la silloge “Arianna e il filo” (Kairós Edizioni - 2013) il cui titolo immediatamente attira il lettore per la trasposizione della parola “filo” rispetto all’originale della mitologia greca. Ritengo sia di particolare rilievo sottolineare una possibile interpretazione di un preciso segno linguistico, affinché lo stesso termine debba intendersi quale mezzo di condotta che crea legami e traccia i confini del nostro spazio esistenziale. Solo mantenendo fede al nostro io, alla nostra storia e all’Amore “vera forza che fa muovere il mondo”, possiamo vincere il labirinto, simbolo di caos del nostro mondo e di noi tutti “Clandestini/ Nel tempo”. È dunque l’Empatia-Amore il significato contestuale della silloge nonché la correlata configurazione di quegli innumerevoli sentimenti-pilastri che tracciano emozioni e comportamenti che divengono antidoto di liberazione da qualunque disagio.
Uno stile dialogico con finalità di consapevolezza e supporto a stati emotivi per una poetica dell’intendere e del sognare, del ragionare e del cullarsi nel ricordo; una vita rilucente” e “un tempo inatteso” di “vento impetuoso” […] in bilico sospesi sul crinale/ che separa la vita da ogni cosa” mostra un’intelligenza instancabilmente indagatrice ed esploratrice che si fonde con un sentimento intimo, raccolto e patriarcale. Il ritmo suona al tempo stesso, semplice e complesso, letterario e spontaneo, ritmato e prosastico, cantato e parlato. La voce della Di Iorio è ricca di esperienze e risonanze; un presupposto di elevata saggezza mista al fervore dell’animo e all’acutezza dello sguardo, senza mai affogare del tutto nell’angustia semmai si riscontra nei versi un’ampia visione umana velata di tenue mestizia “Ma tue sei sempre ferma sulla soglia[.] /In un’attesa[,] come una distanza[,] /un distacco[,] un non essere[.] Sospesa
Una dimensione della memoria costruita su un gioco di prospettive temporali ove la realtà è vista sotto l’aspetto del ricordo e, al tempo stesso, della sottile condanna e denuncia di fronte ai mali del mondo nonché al disagio causato dall’incomunicabilità e afasia verso eventi sociali degni di maggiore attenzione, per i quali la Nostra prova una silenziosa e sofferta condivisione. La poetessa si ritira in solitudine in cerca di evasione creativa e della propria fede, non accetta l’imposizione di una modernità che intreccia diversi linguaggi e comportamenti che inesorabilmente conducono a un maggiore grado di vulnerabilità della nostra personalità “Sarai eroe e figurante, in questa/giostra che ci trascina e che chiamiamo/impropriamente VITA e che è soltanto/ un eterno disagio di infingarda/ apparente armonia che ci imprigiona”.
Dalla raccolta si evince uno studio attento della parola per rendere i versi più fruibili attraverso quella forte emotività che appartiene alla stessa personalità della poetessa.
Notabile è la lirica dal titolo: “E un fumo, sì, qualcosa come un fumo” poiché senz’altro pura manifestazione interiore ed esteriore, dell’animus e del pensiero di Rosanna-Arianna, la quale sembra arrendersi a una volontà capovolta ma in realtà comprende che la vita va assaporata in modo diverso e gustata nella sua ricchezza “Ed io[,] che ho amato l’assoluto nel profumo/di una rosa[,] nella carezza della luna[.] Io[,]/ che ho lottato a perdifiato[,] come posso piegarmi/ al dolore straziante della nostra fine[.]
Arianna e il filo” è una silloge vasta che esige una lettura attenta per le tante sfumature di introiezione e proiezione, ricca di spunti e di verità tangibili che non si limitano alla pura espressione letteraria ma definiscono un vero e proprio cammino di vita personale e di evoluzione artistica.















Maria Luisa Mazzarini, con la sua ultima sillogeSi aprano le danze(EEE-book di Piera Rossotti- marzo 2016) rigenera lo spirito. La lirica “Primavera” in apertura è certamente dedicata, tuttavia offre all’autrice lo spunto per attuare un dono nonché scopo primario della sua poetica “sotterranea [,] /chiara limpida onda/di fiume[.]/Invisibile agli occhi”, che è la sublimazione dell’essere; migliorarne e rafforzarne l’esistenza, compito e missione della sua arte. L’occhio della poetessa ha la capacità di saper leggere dentro la luce e nei colori del tempo e, di quell’antico palcoscenico che è la natura, di ogni sua forma, prospettiva, azione o movimento, ne coglie perfettamente l’anima universale. I titoli, essenziali e fulminei, proseguono in versi talvolta ridotti a singole parole che si stagliano isolate o accostate tra loro, per lo più senza punteggiatura e con un sapiente utilizzo di spazi bianchi che, intervallati, assumono a loro volta un significato preciso, rendendo leggere e uditive le strofe “Quel Sogno di poesia/di cielo e terra in armonia [.]/ Quasi farfalla
La costante ricerca di una semantica lessicale genera una purezza estrema e un mondo già di per sé completo dove risaltano timbrica, coloritura, carattere e impronta, caratteristiche di un’interessante e gradevolissima partitura poetica. Una silloge nell’insieme incredibilmente ricca di afflato morale che riassume una fisionomia poetica, umana, culturale, ideologica e religiosa; persino la terminologia con lettera maiuscola nella penna della Nostra, evidenzia l’importanza immaginativa della personificazione concepita quale rinascita di un mondo interiore, mentre ogni spettacolo della natura è afferrato con animo aperto e commosso.
Il ritmo non s’interrompe e modula così una sua invariata musicalità, il fascino di una melodia lenta e profonda che si tramuta in danza, un’intensa espressione umana di celebrazione del Creato in un assiduo ringraziamento di quel Tutto-Entità addormentato nel silenzio e tradotto nel risveglio di note ispirate che plasmano lo schema e la struttura del componimento “[…] a onorare la vita/nel Silenzio che amo[,] /di alate Parole[.]L’arte poetica è conforme alla danza, ritrova nella natura la sua origine, si trasfigura nella bellezza, nella grazia e delicatezza di un cigno, richiamando il significato primordiale del compimento di riti ancestrali, secondo cui il singolo individuo ‘trascende il suo sé corporeo, per fondersi con il suo sé spirituale’.
La permeabilità delle emozioni è parte viscerale dell’io poetico, del suo modo di percepire, del suo sentire; è come se un’immagine addormentata si risvegliasse “All’improvviso” da una qualsiasi di queste sensazioni, come se il silenzio fosse lo spazio dove è possibile coltivare sogni che nascono dall’accettazione e dalla devota affinità, dalla benevolenza di un’agàpe che allo stesso tempo è sorpresa, meraviglia e trasecolamento “[…] D’UN MIO GIARDINO/ - interiore - /segreto anche al cuore[,]. La visibilità della realtà e dell’essere, in un reciproco incrociarsi e permutare metamorfico, ha lo stesso spirito e la stessa immedesimazione della suggestiva lirica rilkiana e di alcune opere goethiane, come dire che senza l’universo e quanto noi viviamo in esso, non potrebbe esistere la poesia.
Al di là dei suoi innumerevoli contenuti, l’opera è realmente un’interpretazione allegorica di una continua preghiera che esorcizza ogni malinconia e, in particolar modo, “gli affanni del mondo”.




















Tra gli haiku
un petalo di rosa
per segnalibro


Risulterà impresa molto difficile l’inserimento di un solo segnalibro tra gli haiku di Valentina Meloni, poiché in ogni pagina della raccolta “Nei giardini di Suzhou” (impressa da FusibiliaLibri nel 2015), si respira il cosiddetto “hosomi”. La sottile quiddità contemplativa che dovrebbe appartenere a ogni haijin che si rispetti è qui costantemente presente e ritengo che lo haiku che leggiamo in apertura della silloge: “Volano lievi/petali di ciliegio/Impermanenza” sia una delicata e filosofica sintesi di tale essenza-essenzialità che coordina per forma e stile l’effettivo valore connotativo di affettività e vicinanza emotiva della poetessa all’oggetto o paesaggio citato.
Con estrema eleganza e abilità, dalla sua “veranda” lei ci guida nei suoi “giardini”, correda questa sua opera di immagini pittoriche Sumi-e di Santo Previtera, finemente disegnate con inchiostro su carta di riso, oltre che di una prefazione di Giovanna Iorio, di personali introduzione e premessa nonché di note ai testi di assoluta importanza per l’effettiva comprensione dei vari riferimenti stagionali(kigo) e dei momenti particolari della giornata (piccolo kigo).
Una fortunata scelta editoriale esplicita la sua funzione di accompagnamento a un’esperienza che investe un ciclo poetico in continua evoluzione, lasciando spazio alla ricchezza di suggestioni e immaginazione di una breve e brillante gemma della poesia giapponese, che riesce a suscitare così tanto interesse anche nel nostro panorama letterario contemporaneo.
Purezza e graziosità dei versi donano calore e profondità a una tumultuosa, lampeggiante e varia effervescenza di pensiero, rivelandone una vitalità intellettuale di prim’ordine e di un vissuto che s’intreccia con un humus predominante di quel gusto squisito e ricco di molteplici sfumature, che non a caso nascono da una sensibilità dolce e melanconica, celano un pathos vibrante, modeste gioie e reconditi dolori “Buchi s’aprono/neri nell’universo/mangiando sogni
L’immagine delle nuvole è la voce che ricorre in vari haiku, “Nuvole-nodo” come la Nostra scrive, un punto di congiunzione tra cielo e terra e ancora di origine della vita, in cui due energie sostanzialmente differenti, moto di dialogo tra l’alto e il basso, s’incontrano e s’intrecciano, modificando ogni cosa, nel giro di un breve lasso di tempo.
Con uno stile molto espressivo che lascia intravedere l’accoglienza di un lieve diversivo come evasione da un pesante rigorismo dettato dalla vita quotidiana “Fiori di pesco/Nei giardini di Suzhou/cerco la quiete”, i componimenti di Valentina Meloni sorprendono piacevolmente il lettore con le idee più eleganti e raffinate, dando ampio respiro anche alle restrizioni più intollerabili del genere haiku.
Un giardino geomantico, un vero e proprio Feng Shui, un flusso di energia armonico che rigenera e ispira ciò che poi diviene verso breve in una propria unicità e peculiarità, una via di liberazione dove l’ascolto di noi “lettori-ospiti” progredisce in quell’unica verità che dall’esterno si riflette in noi stessi. La stessa natura si presenta quale sinfonia nascosta dietro il suo stesso sipario e si manifesta in schegge purificate dalla realtà, in fatti segnici e fonetici posti a disposizione di tutti, tramite l’energia creatrice di ogni suo elemento; a disegnarne la variabilità ecco che arriva, complice, anche il vento, altra forza fisica amata dalla poetessa.
I suoi versi non dicono, non descrivono i moti dell’animo ma li suggeriscono indirettamente con la loro forza di simboli. Il talento della poetessa sta appunto nella scelta accorta di questi simboli evocativi, in modo che essi non restino isolati ma producano l’effetto voluto, quello di riecheggiare
oltre un tempo fugace tanto da trasformarsi sempre in eventi nuovi, da non perdere. Spazio e spazialità dunque, non solo impressioni visive e immediate, soprattutto volontà e desiderio di tradurre un’autentica espressione di concetto spirituale.
Sono più che certa che prima ancora di avventurarsi nella composizione degli haiku è fondamentale abbracciare e compenetrare quello stile artistico improntato su attitudine interiore ed essenza della bellezza, proprie della cultura giapponese; pertanto credo fermamente che Valentina Meloni sia realmente entrata a far parte di quello spirito zen di meditazione contemplativa, che la rende amica-figlia di un processo di trasformazione e di accettazione verso una leggiadria dell’anima: “Mare d’inverno/onde più alte di me/Non ho timore
Leggendo questi versi ho ricordato le parole di Maxence Fermine, il quale così scrive nel suo “Neve”: “E ci sono quelli che si tengono in equilibrio sul crinale della vita…”
Non solo haiku dunque, ma vere e proprie perle di saggezza spiccano per il loro pregio nell’intera silloge.















… Perché delicato, di elevata trasparenza,
lucente, leggero e…
al tempo stesso, rigido e resistente
(Sandra Carresi)


Un cuore in organza, di recente pubblicazione con TraccePerLaMeta Edizioni, è la sesta creatura poetica di Sandra Carresi, ormai navigata poetessa nell’intimità di un’intuizione immediata, tra immagini, colori e complesse sfumature di un vissuto.
In questa sua silloge l’autrice ci rende una visione quasi alchemica della vita e, allo stesso tempo, i suoi versi ci indirizzano verso la ricerca di un equilibrio e un’armonia che emanano un fascino particolare nelle spigolosità del quotidiano di ognuno. L’attenzione ai dettagli, il sorriso della semplicità, l’amore disinteressato, il rispetto della vita e della natura, il guardarsi negli occhi senza timore, il provare ad andare oltre il comune pensiero per non bloccare le aspirazioni dell’anima, sono tutti elementi che trasmettono qualcosa di sottilmente prezioso, un pensiero dettato da un linguaggio che non è di parole ma di vibrazioni e di gesti immobili; una magia che si ripete ogni volta che si riesce a entrare nella dimensione che attraversa ogni essere creato.
Se ciò avviene, possiamo essere pronti a “giocare” con equilibri impossibili e assurdi, appartenenti a uno stato che non è certamente indulgente e che inesorabilmente prima o poi termina, “In un battito di ciglia/il giallo della vita/con l’inizio di un vagito/e l’uscita con un volo nel blu”.
Il lemma “gioco” è una dilogia che permette alla Nostra di dare maggiore forza espressiva a quel concetto di caoticità e assenza di senso che rappresenta l’irrazionalità della vita stessa, contradditoria e contraria alla logica; una denuncia, una critica a tutte le guerre, alle violenze gratuite e paradossali che la poetessa non riesce a comprendere pur impiegando tutta se stessa per trovare una “libertà dalle catene” dell’odio, della ferocia e delle tante barbarie di un mondo che si spera possa mutare  almeno con il prossimo “arrivo dell’arcobaleno”.
Nel proiettare la propria forma trascendentale su ogni spazio e immagine, osservati con il giusto silenzio, Sandra Carresi si concede un atto d’introspezione, quale chiave per aprire l'essenza d'ogni fenomeno intorno a lei. Sono proprio la saggezza della natura, la compagnia del suo cane, ogni oggetto della propria casa e le stesse presenze affettive di chi ha abbandonato questa vita, che rafforzano l’intima identificazione con un atto di poesia interiore e sono fonte di energia creativa che può essere rivolta verso se stessi, verso il prossimo e il senso della vita in genere […] “Ogni gioco/nasconde la sua/verità”. Il sentiero è graduale, l’esercizio dell’equilibrio si fa molto più sottile fino a divenire pratica di luce del momento, spirale di comprensione che via via si approfondisce; può sorgere in un attimo e rafforzarsi col tempo “Mutamenti del giorno[,] /del tempo/che fa il suo corso
Lo stile poetico è ordinato, chiaro ed elegante, con linguaggio estremamente meticoloso, contemplativo, attento a osservare nel percorso dei versi tutto e tutti con il dovuto rispetto. I termini spesso si riferiscono anche a località citate con particolari connotazioni, associate a determinate immagini atte a evocare situazioni emotive, stagionali e di efficace rilevanza nel quotidiano della poetessa.
Ogni lirica è senza alcun dubbio espressività che si nutre del profondo amore per la natura e tutte le sue rivelazioni, nella sua plasticità ogni pensiero arriva a cogliere le astrazioni presenti e passate nei sentimenti, nelle proprie impressioni e sensazioni.
La vita è ricca di messaggi velati, sebbene sia troppo spesso tutt’altro che un “girotondo”, solo la capacità di trovare in quel tendersi dell’anima, persino nelle sventure, una disciplina plasmatrice dei grandi dolori, si ha la possibilità di ascoltare e trarne così l’insegnamento migliore. Colpisce in tale poetica l’evoluzione dell’esperienza che non si disarma di fronte ai modi di agire spesso moralmente discutibili bensì si alimenta del coraggio necessario per procedere nella conoscenza autentica di sé. Siamo tutti guidati da morali diverse, ogni nostra azione risplende di differenti colori, gli stessi colori infiniti che la poetessa richiama in ogni suo verso cambiando continuamente tonalità. La natura è lo spazio-principio della molteplicità del vissuto dell’uomo, con i suoi mutamenti repentini […] “la solita primavera capricciosa” delle fasi più dolorose per i distacchi terreni, del male nel mondo e delle illusioni-delusioni nei rapporti, ma è anche dispensatrice di luce e di calore, tra gli affetti più cari, dove persino […] “le cose di casa/ a volte scricchiolano […] , perché […] “Così[,] proprio come nella vita[,] / dopo bufere [,] / e inquietudini dell’anima [,] / dal tunnel […] / una splendida luce.
La poetessa lascia indossare al suo io poetico l’organza, che sia un filato stropicciato, liscio o cangiante, è pur sempre pronta alla trasformazione e al consapevole adattamento; la ricama con particolare abilità e competenza, perché l’effetto risulti soddisfacente per un nuovo “profumo di speranza”, rilegando così un nuovo libro di vita da sfogliare,  mentre il nostro cammino si avvicina all’ultima “stanza”, quella che lei definisce “la mansarda” dove […] “non c’è polvere”, perché finalmente in pace e accanto a Dio.
























“Nel viaggio della vita/ chi ama fotografa/il mondo”
(In viaggio)


Elvio Angeletti, pittore e poeta, in Respiri di vita (Intermedia Edizioni- 2015) è soprattutto un’anima che si confessa. Questa silloge infatti, rappresenta un vero e proprio excursus del suo Io poetico negli anni, un processo che richiede tempo e, una volta completato, conduce il Nostro a un salto nella sua stessa esperienza personale, un senso di profondità e di sollievo interiore.
Il titolo stesso racchiude parole attorno alle quali ruota un intero campo semantico; il respiro diviene parola-chiave fondamentale per comprendere il significato di ogni poesia delineandone così la vera tematica di fondo: una semplicità di vita più legata alla natura e alle proprie esigenze, dove l’amore individuale e universale è il motore propulsore per eccellenza.
Una chiave di lettura per entrare nel flusso dell’energia poetica, che altro non è che la pura essenza di un'empatia silenziosa che accresce la propria libertà, imparando a discernere cosa o chi comporta la capacità di rimanere completamente presenti alla nostra situazione interiore “Parole accese/scolpite da diamanti/nelle pagine rugose/di un diario dedicato alla vita/nascosto negli alvei remoti/della mia memoria”.
L’amore e la libertà sono un binomio essenziale della vita dell’artista; avviano e simboleggiano una predisposizione naturale e la vocazione dell'uomo verso ogni genere di relazione che ognuno costruisce attraverso le proprie esperienze affettive più significative. Affidandosi a una formazione artistica di stampo ortodosso, il poeta è in linea con i canoni generali che un’educazione regolare e volta al maggior arricchimento possibile, richiede.
Attraverso un linguaggio essenziale, affiorano paure, dubbi e domande esistenziali di un tempo che scorre e di una disillusione di fronte a un mondo “capovolto” […] “La mia immagine/esce di scena cercando il fare/nel tempo del giorno che resta” mentre il verso disegna figure umanizzate sullo sfondo del mare e del cielo della sua città di origine, Senigallia […] “I gabbiani, in volo verso/le scogliere garriscono[,] /improvvisando giochi sulle onde”.
Con stile puro e sobrio, senza laboriosi orpelli e personalissimo, dal ritmo cantilenante di alcuni versi, con ripetizioni, sospensioni e anafore, Angeletti riesce a percepire il richiamo prepotente della natura con tutto l’immenso patrimonio di opportunità e prospettive che essa è in grado di offrirgli. Dotato di un’accesa e individualissima sensibilità quasi infantile, il Nostro vive di luce e poesia, di atmosfere lontane e suggestioni senza tempo, dove i particolari dominano sull’insieme. Ogni figura retorica utilizzata viene richiamata volutamente, per lasciare interrotto un discorso o per darne maggiore evidenza o calore, in particolare quando vengono tracciate tematiche quali l’amicizia, la scomparsa di persone care ed eventi come la violenza sulla donna.
Ogni lirica è un inno alle emozioni che l’arte poetica dona, perché tramite essa, ci si avvicina e s’incontra Dio […] “L’arte/bacchetta magica/con il potere di farci innamorare e […] davanti allo stesso/Dio/farci pregare”.
I poeti sono “gente strana”, così li definisce Angeletti, “Sanno guardare/ con gli occhi dei bambini/aspettando il futuro che si spegne/mente una canzone/vibra l’anima di una radio”, come dire che la nostra storia personale è un dono e nell’offrirla possiamo anche distaccarcene, ritrovando la nostra libertà. Troppo spesso la nostra consapevolezza è focalizzata da ciò che succede all’esterno di noi anziché da ciò che avviene in noi stessi. C'è più silenzio e tuttavia molto di importante viene detto e si ascolta esattamente come la musica.
La poesia è respiro, è libertà, è volo, uno sporgersi oltre la vita e noi tutti, quanto poco respiriamo! Forse dovremmo essere maggiormente consapevoli di quel nostro respiro che ci accompagna lungo tutta la nostra esistenza. Le emozioni non sono mai minimaliste e mai potrebbero rappresentare crisi creative, la poesia è quell’emozione che, in alcuni casi diventa persino preghiera. La vita è un viaggio altalenante […] “attraversando/irripetibili tramonti rossi/ e deserti di sabbia calda/attendendo notti stellate/ad incantarmi fantasie sottili/che scivolano sul tuo corpo”.
Non occorre essere grandi per scrivere poesie, bastano l’amore e un cuore aperto, con lo sguardo su se stessi e tra i “murales” del mondo; basta fare un po’ di pulizia dentro di noi, unire desiderio, immaginazione, sforzo e tenacia per rimanere piacevolmente sorpresi di quali quadri si possano dipingere con le parole. Ritengo che Elvio Angeletti con il suo “Respiri di vita” abbia pienamente colto lo spirito di un cammino poetico, poiché prima ancora di essere artisti “Siamo anime/ nel mezzo del mondo/baciate dalla vita/che ci avvolge”.

















[…] scostando lievemente/tra intagli di lino/una tendina candida/protesa nell’azzurro/al sole del mattino[.]
(Da “Dietro… e oltre”)

Therry Ferrari e la sua poetica del ‘Perché’

Definendosi la ex “maestrina dalla penna rossa”, epiteto che richiama alla memoria il personaggio del famoso romanzo Cuore di Edmondo De Amicis, la Nostra ci spalanca un mondo interiore, dove la poesia è pura espressione di una vera e propria missione animica oltre che di un’irresistibile passione. Ogni suo verso si posa e si concretizza sul foglio quale dono di una dimensione intimistica nonché di un temperamento spiccatamente altruista. L’infinito e i sogni cullano la sua scrittura, annullano l’arte “dell’egoismo e dell’inganno”, con l’efficacia benefica dell’io e del presente, che assimila dal passato solo quegli insegnamenti indicativi di un percorso esistenziale e si affaccia al futuro timidamente, umilmente, in punta di piedi, per non creare troppo rumore, quasi a non voler disturbare la contemplazione dell’universo tutto. La poetica di Therry Ferrari è intrisa di una forte spiritualità e religiosità persino laddove è caratterizzata dall’impegno etico e civile, meditando sui mali e gli orrori del passato e le incongruenze di un tempo attuale; un monito a ritrovare la “smarrita storia”, il” Rispetto” e la “Bellezza” di altre epoche. Dietro un’apparente leggibilità icastica, si celano la dimestichezza e una certa sapienza nella versificazione libera, dove affascinano i suoni, avvicinando lo stile all’universo poetico gibraniano. Una poesia semplice, non pretenziosa, palpitante, sottile e leggera di quell’Infinito viaggio “[…] ragione e cuore/ ombra e luce […]” nell’importanza del sentire umano, dell’essere, non quale mero involucro bensì viva interrogazione sull’inquietudine del vivere e del quotidiano; un rivolgere lo sguardo al cuore, ricercandone i “Perché”, per allontanarsi dal potere della mente che, al contrario, sprigiona i veri demoni distruttivi della società; un incrocio tra sogni ed essenzialità, senza lasciare indietro i valori di un’origine che la rendono fiera come donna. Il cuore si fa satinato ma elastico, coniuga versi con accordi floreali, abita i vuoti dell’esistenza e i ricordi mai sopiti con dolce nostalgia: “[…] inattesa nostalgia nel rimembrare” [...] “seguendo ogni giorno/le rotte del cuore”.
La scrupolosa cura e diligenza nel comunicare un mondo che va oltre quanto è visibile con i soli occhi concede alla poetessa di trasportare sentimenti e emozioni in immagini, come tanti minuscoli fili che ci tengono uniti gli uni agli altri, in primo luogo con quanti conosciamo e ci conoscono, e poi, tramite loro, di passaggio in passaggio, con chi  per noi è lontano, addirittura ignoto, nella rete che tutti ci accoglie, e che si chiama umanità, attraverso il tempo, dal passato a oggi fino al futuro che non conosciamo ancora. Cosa rappresenta in effetti il futuro per lei? La poetessa se lo chiede continuamente e, semplicemente, lo sintetizza nelle “Radici del dopo” e in quel “traverso sopòre […] subdolo e gelido vento di follia […]” È come se il suo armonioso lirismo ci stia suggerendo che il prisma dell’arte poetica sia il coefficiente necessario per un’altra vita, di aspirazioni, di miraggi, di speranze; lascia intravedere una liberazione dalle catene fisiche, una catarsi delle poche labili certezze dell’oggi,  che fuori della poesia sfuggono o almeno potrebbero sfuggire.
Le sue parole sono capaci di metabolizzare le esperienze della vita con grande forza d’animo, illuminate dalla magica luce del suo mondo poetico e nei versi ritroviamo quel senso innocente che riesce ancora a meravigliarsi di fronte agli elementi della natura che ci passano accanto e che troppo spesso rimangono immobili, senza alcuna voce. Quella di Therry Ferrari è una poetica di atmosfere, dove l’essere si fonde con il tutto.
Oggetti quasi banali, sapientemente incastonati in scenografie, stimolano l’istinto nella ricerca della propria profondità, spalancano visioni. Dietro le suggestive similitudini e metafore d’ incantevoli stanze liriche, assistiamo a uno stato contemplativo, a un’esplorazione di se stessi. Il canto di una natura incarnata e in movimento riavvolge la moviola dell’infanzia e allo stesso tempo interroga il mondo di oggi, che necessita di esser preso per mano per riuscire a oltrepassare le barriere temporali dell’esistenza. Il linguaggio è a tratti denso e sinuoso come un racconto e si alza verso un iter poetico che deve condurre alla palingenesi totale e alla liberazione definitiva; la vicenda umana, fatta di conflitti, di incomprensioni, di solitudini, si placa alla vista al di là della porta di casa, della vitalità accesa, vorticosa, giocosa della natura.
Nella poetessa Therry Ferrari convivono tante creature, lei stessa si fa portavoce di tutto ciò che sopravvive libero, selvatico, dignitoso, semplice, nel mondo oppresso e soffocato dallo “spirito” dell’uomo.













"Se la natura non ha dotato l'uomo di un istinto in modo di avvertirlo della data e dell'ora esatta   della propria morte è perché ciò avrebbe come risultato la nascita di un sentimento di depressione suscettibile di annichilire ogni volontà d'azione e ogni desiderio elementare di sopravvivenza."
(Henri-Louis Bergson)


Tra le varie pubblicazioni del giornalista Fabiano Del Papa troviamo anche un suo primo romanzo, Il mistero del cocomero (edito dal Gruppo Editoriale Domina nel 2003), un’opera interessante, finemente articolata che nasce dallo spirito vivace e dallo stile accorto, propri dell’autore. Trattasi di una storia vera dove il narratore è lui stesso protagonista, o meglio, la vera protagonista è la paura della morte. Un esordio non da poco, se si considera la tematica particolarmente delicata; ne consegue, a mio parere, un’impresa estremamente ardua da discernere per qualunque scrittore e, certamente una consuetudine di pensiero radicata in ogni essere umano, fin dalla notte dei tempi, fin dai primi istanti della nostra incarnazione. La vicenda, vissuta in prima persona dallo stesso Del Papa, ha inizio in Ungheria, nell’incantevole Budapest “[…] in un albergo elegante e un po’ decadente, edificato, tanto tempo fa, proprio in mezzo al pluricelebrato, romantico Danubio”, con una sorta di piacevolissimo incontro con un’affascinante donna che al lettore, dapprima, può sembrare galante; in realtà tale conoscenza porterà l’autore a vivere una serie di avventure a dir poco sconcertanti e destabilizzanti. Dietro a ogni esperienza si cela una proposta occulta e misteriosa che ha a che fare con nuove scoperte nel campo della biologia, di sostanze in grado di rallentare i processi cellulari dell’invecchiamento. A contatto con i vari personaggi menzionati e tratteggiati nel minimo dettaglio, ci troviamo di fronte a una tempesta di emozioni e di umori; tra le varie influenze più disparate e apparentemente contrastanti si accavallano e si rincorrono un’appagante curiosità e desiderabilità maschile di pura attrazione fisica verso l’altro sesso e un più complicato senso di confusione, inquietudine e impotenza di fronte ad argomenti più specificamente metafisici ed etici[…] le solite, eterne domande che mi prendevano d’assalto: chi siamo, che facciamo, da dove veniamo, ma dove andiamo?” Eccoci dunque immersi in sequenze descrittive, narrative e riflessive che s’intrecciano e velano una risposta emotiva appropriata che l’autore ha saputo maneggiare con estrema cura e, soprattutto, con briosa destrezza nel tessere la trama, per un’architettura strutturale che spiazza il lettore, con un antefatto, un movente e una coda, assolutamente imprevedibili.
Analessi e prolessi si alternano per dare respiro o forse, per instillare dubbio e riflessione nel lettore prim’ancora di procedere con la narrazione, del resto l’argomento è senz’altro spinoso, fare i conti con la comprensione della morte è naturale quanto la vita stessa, pur sempre rimanendo perturbante “La cognizione della scomparsa, credo sia il pensiero più atroce per qualsiasi animo normale” inoltre, vita lunga non comporta di certo vita eterna.
Nella fantasia popolare greca e in alcuni miti molto antichi la morte appare come un’entità maschile, si chiama Thànatos, è figlio della Notte e fratello del Sonno; esattamente come la notte e il sonno, essa diviene inevitabilmente, anche se ultima, una condizione della nostra esistenza terrena.
Secondo la sua definizione generica, la morte altro non è che la cessazione di quelle funzioni biologiche che ne determinano ogni organismo vivente, trattasi dunque, in realtà, di una paura non tanto della condizione della morte in sé, quanto piuttosto del processo che vi conduce, ovvero del morire.  
In questo senso Fabiano Del Papa con il suo romanzo non ha banalizzato la tanatofobia, semmai l’ha esorcizzata, per certi versi, al punto di scriverne ogni incertezza che determina la nostra ansia, alimentando un insanabile conflitto tra le nostre credenze religiose e la forza della convinzione personale. Ritengo che in ognuno di noi risieda una specie di umanesimo ateista che pesa su tutti noi e del quale tutti siamo vittime, mentre una vita autentica richiede l'accettazione dell'angoscia di vivere e nulla ha a che fare con la vera immortalità, poiché essa, materialmente parlando, è esistente solamente a livello spirituale e, di conseguenza, in qualità di anima.
Chi mai potrebbe innalzare il suo stesso intelletto fino a mutare il normale svolgimento di un’esistenza fisica? Il problema della morte attraversa la storia della filosofia occidentale che da sempre ha tentato di darne una spiegazione metafisica e, purtroppo, non siamo piante erbacee perenni come il cocomero bensì noi ci siamo solamente per poi morire, con la viva speranza di avvicinarci con il tempo verso una sorte di cambiamento, di trasmigrazione dell’anima da una sede all’altra. La paura della morte è uno stato mentale, se ricercassimo maggiormente “il vero senso” dell’esserci, molto probabilmente riusciremmo a sedare le nostre angosce e vivere con maggiore coraggio i nostri giorni da incarnati, riflettendo sui veri valori del nostro cammino terreno. Nel suo romanzo, l’autore ha in fondo confidato a se stesso e a noi lettori che la vera immortalità sta nell’abbondanza e nella realizzazione, quale simboli di compiutezza e di una maturità felice di rapporti vissuti con pienezza.
Che sia questo il mistero del cocomero? Non lo sapremo mai se non dopo…  Non sarà la fine di tutto!















Da un uomo e un politico dell’800 una preziosa “imbeccata” di alto valore culturale e sociale.





Il Marchese “SCOMODOè l’ultima fatica letteraria dello scrittore e giornalista Fabiano Del Papa (ZEFIRO Edizioni- giugno 2015), una biografia di genere memorialistico e storiografica di tipo moderno che ritrae la figura di un noto personaggio fermano dell’800: il Marchese Giuseppe Ignazio Trevisani.  
Senza alcuna incertezza è il caso di affermare che l’autore sia stato ispirato nello scrivere un’opera utile a chi la intenda, con misterioso entusiasmo interiore e con efficacia espressiva, quale doveroso sentimento di riconoscenza che bene ha meritato chi, per oltre un quarantennio ha utilizzato le sue brillanti quanto complesse qualità, unicamente con benevolenza verso il prossimo. Attraverso la ricostruzione di un contesto storico in cui s’inserisce la vicenda umana di un aristocratico di fervido ingegno “[…] un cuore grande come una casa” e “Dotato di un senso di umanità particolare”, Del Papa accarezza quel sogno di pace e di onestà che si tramuta in toni nostalgici per una suprema potenza morale contrapposta a un sentimento di estraneità e di non appartenenza a quell’immagine disastrata che, al contrario, mostra l’uomo di oggi verso il suo Paese. La vita del marchese Trevisani e il suo intrecciarsi di eventi storici che riguardano non solo una storia privata e della sua città bensì una memoria collettiva, costituiscono per il lettore un indicatore di cammino e di comportamento, un vero e proprio monito, effuso di una particolare attenzione critica alla politica e alla società, mostrandone ogni contraddizione e mancata genuinità di principi […] “Giuseppe Ignazio voleva un’Italia libera e non calpesta. Ed ebbe la fortuna di vederla così. Se improvvisamente resuscitasse e vedesse com’è ridotta oggi, il nostro marchese, per quanto forte di carattere e virile nel contegno, scoppierebbe a piangere disperato”.
La narrazione veritiera con citazioni di date, luoghi e documenti originali, rende ogni questione affrontata e le posizioni assunte una reale esigenza dell’autore di avvicinarsi alla dimensione intima e privata di un uomo di alto prestigio, eticamente affidabile, che ha lottato per l’unità d’Italia e si è reso portavoce della fascia più debole della società, mettendo a disposizione persino il suo stesso patrimonio durante i suoi mandati di Sindaco della città di Fermo. L’autentica rievocazione delle varie esperienze, tra ideali, correttezza morale e umanità, vengono qui descritte e illustrate con lo stile di chi si affida a un linguaggio concreto, a un lessico colloquiale, molto diretto, quasi confidenziale nei riguardi del lettore e infine di puro affetto ed estremo rispetto per “una figura non comune”. Una biografia di un personalità così controversa e per certi aspetti persino sfuggente, è stata sicuramente un’impresa difficile ma che ha condotto a ottimi risultati di un testo piacevolissimo, appassionato e coinvolgente; una trasposizione narrativa che stilla inevitabilmente ammirazione e approvazione.  È vero che il Marchese Giuseppe Ignazio Trevisani era un fermano ma la testimonianza di un cittadino illustre e soprattutto “Italiano”, che ha saputo vivere con profonda convinzione e rigore personale i valori in cui credeva, non può che suscitare orgoglio e fierezza in chiunque abbia a cuore il destino della propria città, della sua regione e dell’intera nazione.
La sottile e sagace capacità dell’autore nel cogliere l’essenza di vita e gli ideali di patriottismo di un uomo d’altri tempi comporta necessariamente la riflessione su differenze di spirito e volontà verso un bene comune; un puro caso che il protagonista sia stato un uomo di alto rango […] “Poteva capitare con un orologiaio, un medico o un contadino. È capitato con un aristocratico”. Ogni vicenda umana e storica viene evocata e sottolineata a chiare lettere, poiché legata a doppio filo alla stretta attualità, s’identifica con una spontanea reazione viscerale di fronte a una situazione socio-politica non più sostenibile. Nasce spontaneo il desiderio, se mai ne avessimo il potere, di far rinascere un simile temperamento “dall’esistenza mirabile, nobile e avventurosa”. È come se il marchese in persona si aggirasse tra le pagine di questo breve e prezioso testo, quasi a dettare un suo preciso identikit psico-comportamentale e tra le righe, lanciasse il suo sguardo scrutatore e disapprovante verso azioni contrastanti del benessere di un popolo. Sicuramente ai nostri giorni qualunque amministratore della “cosa pubblica” si sentirebbe infastidito dalla presenza di un tale personaggio!
Il messaggio è più che evidente: onestà, correttezza, rispetto, umanità, soprattutto etica e morale fanno di un qualunque uomo, che sia benestante o indigente, un valido esempio da seguire. Persino una personalità dell’800 potrebbe veicolare delle piccole verità, seminare dubbi e smascherare ipocrisie, attaccando pregiudizi e mettendo in discussioni le convinzioni.










" Il senso della vita
  è dare importanza alle piccole cose,
  per riuscire a dare un significato
  a quello che ci circonda"                                                                 
   
                                                                                                  
                                                                                     


Granelli di tempo di Rosaria Minosa è una raccolta poetica del marzo 2015, edita da Pubblisfera Edizioni e curata dall’Associazione Culturale GueCi di Rende (CS). Una prima raccolta poetica di un’autrice che, dopo vari riconoscimenti in concorsi letterari e due pubblicazioni di narrativa, sta iniziando anche un suo proprio percorso poetico.
Conosco personalmente Rosaria e posso confermare senza dubbio alcuno di trovarci di fronte ad una personalità che ha maturato dalle sue esperienze di vita, un preciso codice d’onore: l’umiltà. La sua vena poetica entra a piedi scalzi nel cuore di tutti per la sua grande semplicità e schiettezza.
Il granello è la migliore metafora del senso della vita e del tempo che lo rappresenta e, ancor più metafora della consapevolezza della propria debolezza e inferiorità; la poesia è il balsamo migliore per annullare ogni povertà simbolica del nostro tempo. Tematiche dai toni forti e invasivi quali la violenza, la morte, il tradimento d’amore, la società con i suoi soprusi e gli abbandoni, si contrappongono all’amore per le cose semplici e naturali; il tutto coniugato sempre con rispetto e ordine. L’accettazione del perdono vince sulla ribellione interiore, la poesia si presta all’esigenza di purezza e nobiltà d’animo, guida benevola per ogni essere umano smarrito verso una più consapevole attenzione della persona, della sua dignità, del suo onore e della sua libertà. Per Rosaria Minosa la poesia è nelle cose stesse, il particolare poetico sorregge e arricchisce di nuovi significati; nel maltempo della vita ogni cosa si colora “La vita è […] /sentire il soffio del vento sul tuo viso[,] /subito dopo il temporale[.]
Lo stile è diretto più che simbolico, un linguaggio modesto, sospirato, quasi sussurrato. Una sorta di realismo emotivo lascia trasparire un travaglio psicologico e umano della poetessa, nel realizzare che gli errori e i dolori subiti, possono rappresentare delle opportunità di crescita e comprensione, lasciando andare il risentimento “per dono” che fa all’altro ma soprattutto a sé stessa.
La figura retorica dominante è l’anafora che lega tra di loro tutti i versi e la ripetizione ne determina quasi un effetto intimo e ossessivo nella costruzione delle strofe, ne risulta un pregio impagabile della semplicità della poetessa, ne accentua la finissima sensibilità.
L’amore è inteso come comunione con gli altri, persino l’abbandono e il distacco dagli affetti più cari (la mamma, gli amici, la sua cagnetta Laila) escono da quella “nuvola” più volte citata nei versi della Minosa, per elevarsi e far scorrere la speranza, la solidarietà attraverso le memorie della sofferenza. La poesia intesa come verità-specchio che permette di mostrare il vero volto in modo che l’anima nella sua nuova percezione possa riorganizzarsi “Chiudo gli occhi/e il mio cuore si riempie d’amore[,] / affinché il giorno dopo io riesco a “donarlo[.]”, sciogliere ogni nodo, lasciarsi andare affinché le parole assumano un valore terapeutico.
Altro elemento rilevante in questa silloge è il faro della fede; per l’autrice è fonte di forza e coraggio, luce che orienta il suo cammino nel tempo inesorabile verso “L’ombra” della morte, un velo che si proietta su tutto, indefinito e privo di un contorno preciso. La morte da sempre incute paura ma nel contempo libera l’anima dal fardello del corpo, dissolve il “pensiero” della mente e il “rumore” della sofferenza “Vivi nell’onestà[,] amore e rispetto per gli altri […] la morte porterà via solo il tuo corpo[,] / mentre “il tuo spirito” resterà con noi










“La Poesia è come la musica, deve avere una sua logica, deve essere interpretabile, deve stimolare sensazioni, emozioni, ricordi, attraverso le parole. La Poesia è libera, esprime il nostro pensiero, non ha confini delineabili. La Poesia è nell’aria, la Poesia è dentro di noi, la Poesia è intorno a noi.
(Dalla Postfazione di «A denti stretti» di Stefania Pasquali)


Con le sue parole, Stefania Pasquali ha legittimamente denotato la validità universale della poesia, non poteva usare lingua migliore del vernacolo marchigiano, a definirne appieno concetto ed essenza.
A denti stretti” (2012) è una silloge che si colloca all’interno di una sua vasta produzione poetica e si distingue in un mondo dominato dal potere della tecno-scienza e della finanza, per l’importante finalità di consolidamento di una valorizzazione delle nostre tradizioni, creando un maggiore legame tra gli eventi attuali e un’identità storica. Certamente una poetica dialettale è un augurio che incita e invita alla continuazione di una tradizione linguistica che ha vissuto, peraltro, momenti di vivo splendore in ogni regione italiana.
Ben venga, dunque, quest’opera; ben venga a ridarci la certezza che il nostro dialetto è ancora vivo e palpitante nel cuore e nel pensiero dei marchigiani e che vi rimarrà. Ai nostri giorni son pochi davvero i conservatori del dialetto, si contano sulle dita. Versi vivi e coloriti studiano la vita di una terra, sono respiro prolifico verso la diffusione di quell’espressione dalle connotazioni spiccatamente popolari che s’identificano, in particolare, con l’amore e la passione per la poesia “Nonna e nonnu/ormà più n’ce stà[,] /a scrivo ‘che poesia/ma no’ pe’ lo campà[.]” 
Senza retorico artificio, le poesie qui raccolte riprendono la tematica della rimembranza così cara alla nostra poetessa; motti e modi di dire nostrani rispecchiano ancora una volta disciplina interiore, potenza di sintesi e senso di responsabilità di un’autrice partecipe di ogni sentimento. La silloge A denti stretti è poesia dialogica, non inficiata dalla responsabilità di canoni appartenenti a un vernacolo letterario poco spontaneo e di maniera, è piuttosto specchio genuino del microcosmo interiore, supporta positivamente la coscienza emotiva e aiuta l’eco poetico a esprimersi tramite la naturalezza e la schiettezza di soggetti popolari, liberi ma assolutamente lungimiranti.
Ogni poesia termina con un’immagine e un pensiero-morale; note della poetessa che, pur nascendo da una prospettiva personale, ci mostrano la donna prim’ancora che la profonda dialettologa. Non mancano ironia e spirito giocoso mentre il suo vernacolo dipinge individui dalle più svariate caratteristiche. Stefania Pasquali affida ai suoi personaggi pensieri e comportamenti del passato ma profondamente attuali. Conosciamo il castellano, il maestro, l’avvocato, il parroco, il conte e persino la donna “strolleca”, alla quale le giovani di un tempo si rivolgevano per conoscere il futuro. Caratteri che distinguono individui l’uno dall’altro ma, allo stesso tempo, li accomunano nello svolgimento della vita di paese; si fondono con il loro quotidiano, tra attitudini e stranezze varie e concedono alla poetessa una riflessione e l’opportunità di esprimersi su condizioni sociali e civili di ogni tempo.
Spontaneità e saggezza popolari di terre marchigiane si alternano a momenti di tristezza, gioia, guerra e pace di fasi storiche dell’intera nazione.
Si ritrovano il sapore di cose nuove, l’evanescenza dei sogni, la spensieratezza della gioventù, la serenità di chi non ha grandi aspirazioni, la dolcezza dell’umile gente, l’assennata semplicità del suo parlare. Quella lingua vernacolare che ora ha quasi un suono di leggenda e che riporta alla nostra memoria immagini fresche e scintillanti di tempi remoti, non deve dissolversi nel vento dell’oblio















“Altidona/tenero fiore/di sangue piceno […]
Fra mattoni e pietre/di muri a secco […]
Pendii composti/ dal vomere degli aratri/e scomposti dal passo/ dei venti di mare[.]”





La Collina dei Girasoli della poetessa-scrittrice marchigiana Stefania Pasquali è una raccolta di poesie dedicate all’antico borgo di Altidona, che si affaccia sulla Valle dell’Aso e sul mare Adriatico. Qui l’autrice vive, trae ispirazione, crea, eterna e tramanda valori di grande umanità, in perfetta simbiosi con la natura e i suoi aromi.
Sin dalla prima pagina, con l’introduzione dell’autrice stessa, entriamo in confidenza con il “sentire” della Pasquali mentre tratteggia i motivi che l’hanno spinta a comporre queste liriche. Scopriamo una poetica suggestiva che affonda le sue radici nelle tradizioni popolari di atmosfere colme di armonia, pace e serenità, ove luoghi, oggetti, animali e soggetti caratteristici si traducono in parole ed espressioni scolpite nella memoria del cuore quasi a cesellare con cura ogni minimo dettaglio in versi che profumano di passato, di nostalgia per quelle “tracce del nostro percorso di vita” che, sottolinea l’autrice, appartengono al ricordo e a emozioni che sono “fonte di luce” di una maggiore consapevolezza e saggezza nella preziosità del presente.
La silloge si apre con versi dedicati al mese di dicembre: “I pettirossi/presentano il freddo/alle porte delle case. Cieli azzurri/ e folate/ di vento/ spazzano foglie inaridite/ nei vicoli silenziosi.” e proprio partendo dalla stagione invernale, risalta il valore di riscoprire e innamorarsi di ciò che si conosce, affidandolo allo sguardo del cuore e dello spirito. Non si fugge dal passato…  “Un gatto nero/furtivo scompare/ tra vasi sfioriti/e malinconicamente/ belli” ma si viaggia con esso, è importante immergersi in quel segmento tra due confini che l’esistenza disegna, lasciando dentro tracce indelebili nel ricordo e nel quotidiano. Le liriche si distinguono per la brevità dei periodi ben allineati e senza difficoltà sintattiche; gli esordi sono sempre paesaggistici, da cui si palesa il sentimento della perennità della vita cosmica.
Su ogni poesia aleggiano sapori antichi di appartenenza, di confidenza e di conforto, traspaiono la mano del Creatore e il suo potente amore che “benedice natura e uomini”, si perpetuano nel presente quando “[…] ci si sveglia/ al suono della campane/ in un’allegria nuova/ che si spande nell’aria/ e abbevera il cuore […]”
Ogni verso predilige un linguaggio pittoresco che giova alla chiarezza. La misura di accostamento dei termini predispone il ritmo a un leggero passo di danza, tra descrizioni semplici e immediate che ricalcano l’essenzialità della pura poesia; le emozioni lasciano spazio a una vitalità carezzevole e fluttuante. Una combinazione di metri tradizionali e variabili ci rammenta la strofa leopardiana, in cui predomina l’eidýllion greco, ideale di serena convivenza, improntata allo scenario e allo spirito di valori semplici ma nobili. Dolcezza, grazia e vita vissuta nell’amore sono gli elementi che guidano l’io poetico, in congiunto dialogo tra passato e presente in un profilo figurativo e identitario che opera una continuità nel variegato insieme della nostra storia emotiva e culturale.
La natura si amalgama con la celebrazione del ricordo in una struttura lineare e pulita sul piano creativo, dalla quale si evidenziano non solo toni di semplice rimando nostalgico ma soprattutto di spiccato scopo educativo: recuperare il passato per un’occasione di speranza per il futuro, in particolare per quei bambini che oggi non hanno più il “sapore bambino”. Il passato con incantevoli scorci vissuti di vicoli, piazze, campagne e personaggi del ricordo rivive e si rinnova nel presente della poetessa quale sinonimo di autenticità, di garanzia e di genuinità perché… “Ad una ad una/s’accendono/le piccole luci/e il silenzio della sera/riprende il passo/tra le vecchie pietre ancora calde.”













“Generazione su generazione, le reti tornano ad intrecciarsi, il passato si riconnette al presente”

Parole di Pietra, Parole di CarneLungo gli Antichi Sentieri (2014-  Albero Niro Editore) è il settimo libro del giornalista e scrittore montegiorgese Adolfo Leoni, frutto di un’amorevole dedizione alla Terra di Marca. La storia e le origini più antiche vengono cantate e rivissute con assoluto rispetto di usi, costumi e tradizioni da un uomo che definisce sé stesso quale “cantastorie”, mentre percorre a piedi con il gruppo di amici e appassionati degli Antichi Sentieri-Nuovi Cammini, luoghi cari e preziosi della terra marchigiana. Adolfo Leoni con la sua narrazione “raccoglie l’eco dei millenni”, caparbio, tenace e caratterizzato da un forte senso d’identità e appartenenza, rapisce l’attenzione del lettore con la sua rivisitazione storica, lo traghetta quasi in chiave onirica verso atmosfere, paesaggi e borghi, mescolando passato e presente, accentuandone il ricordo nostalgico di una vita semplice e maggiormente vissuta. L’opera è un valido progetto culturale con l’obiettivo di migliorare e approfondire la conoscenza degli aspetti storici e il legame tra l’immensa eredità artistico-culturale marchigiana e la sua gente; all’interno le illustrazioni dell’artista Cristina Lanotte ne rafforzano la validità, quale impronta di testimonianza viva. Il testo è un piccolo capolavoro, in cui Leoni si rivela spettatore attendibile, modesto e inconscio portatore di un’informazione culturale alla quale tutti possono accedere, ci svela una parte di quei tesori del territorio marchigiano, spesso dimenticati nell’evolvere dei tempi.
Il linguaggio è ovviamente studiato per il preciso contesto letterario, ove la semantica diviene pragmatica, a seconda delle esigenze interpretative dell’autore. In ogni pagina si evince l’ottima capacità di scrittura di Adolfo Leoni; con stile piano e semplice, in una continua e fluida alternanza tra racconto, poesia orale ed exempla di Santi, lo stesso stato d’animo di chi si narra riesce a coinvolgere emozionalmente pagina dopo pagina. Senza alcun dubbio, l’esperienza diretta dell’autore, il suo sguardo e le sue descrizioni offrono un impagabile vantaggio sulla carta, sia informativo che emotivo. Ogni narrazione, ispirata dal “percorso suggestivo” stimola e risveglia l’amore per la nostra terra e quella patria che dovremmo “sentire sotto i nostri piedi”, giacché solo così possiamo comprendere ogni nostra radice, il valore di un vissuto attuale e i suoi scopi. Nel testo non manca, tuttavia, quel velo di sottile malinconia per quei tempi che molto probabilmente non ritorneranno; la semplicità di un tempo è ora stravolta e “passo dopo passo” […] “uomini donne bambini continuano/ a vivere una vita diversa [,] / aspettando che la prossima / torni ad esser più vera”, mentre presenze di uomini illustri e non, in un alone quasi di mistero, giocano un ruolo fondamentale, pervadono scenari incantevoli, movimentano vissuti pacati e tragici, affidandosi alla voce di un narratore autoctono e contemporaneo.
Parole di Pietra, Parole di Carne è sicuramente un libro prezioso che ci parla del nostro passato ma contempera anche ogni nostra esigenza futura e ci permette di coniugare spiritualità e fede, cuore e sentimenti di relazione e di crescita collettiva. Ringrazio l’autore per questa sua opera, che in un equilibrio di reciproca compenetrazione e di volontà di intenti, ha saputo dar voce al nostro territorio marchigiano, rompendo per certi versi, il muro dell’ignoranza. Collegare e legare la persona umana alle origini della sua terra vuol dire non dover mai dimenticare chi siamo, “Non ideologia, ma qualcosa di reale.” Sono certa che in molti accoglieranno l’invito di avventurarsi in silenzio, lungo un percorso a piedi, che sia in pianura o in collina, per riscoprire quelle atmosfere che appartengono al Creatore, ascoltare pietre e gesta che parlano, anch’essi gioiello della nostra Italia. Adolfo Leoni è marchigiano ma, soprattutto, è Italiano, come tutti noi.









“Innamorati ed innamorarsi della semplicità:
                                                                  pilastro di quotidiana essenza,
                                                e della complessità,
                                                      che intinge d’arcobaleni
                                                               le nostre singole personalità.”




Le rime del cuore attraverso i passi dell’anima di Dulcinea Annamaria Pecoraro (Lettere Animate – 2012) è una raccolta di poesie che racchiude diversi anni d’ispirazione lirica dell’artista. La silloge, il cui titolo nasce da un’inversione delle due sezioni con l’aggiunta della preposizione “attraverso”, evidenzia una sorta di ponte invisibile, che unisce, definisce e completa due differenti tempi di vissuto della stessa artista. L’anima e il cuore sono i veri protagonisti di ogni verso, sullo sfondo del mare che riluce d’infinito e della spiaggia, immobile e terrena. Lo stesso pseudonimo “Dulcinea”, nome di matrice letteraria, riconducibile al bisogno di amore, sottolinea un percorso evolutivo nella comunicazione poetica e nell’interiorità di anima junghianaArrampicata [,] sfida paure ed ipocrisie”, in un pellegrinaggio duro e faticoso che conduce Annamaria Pecoraro a un approdo di saggezza, ispirato dal sentimento d’amore, personale e universale.
Camminando sulla rotta dei nostri tempi, in cui ogni vissuto complica le nostre scelte, la poetessa cerca stabilità e sicurezza; nella sua poesia accende visioni, sogni e speranze per quei valori che sono l’essenzialità del mondo “Catene[,] bloccano voli[,] /e pianti[,] non lasciano scampo[,] /a fiumi di parole”. La sua anima e il suo cuore si liberano dal senso di vergogna e inadeguatezza, si tolgono la maschera; il livello di paura diminuisce, si trasforma in energia positiva e amore per sé stessa e per gli altri.
Annamaria Pecoraro in questa sua silloge si presenta a noi come una gurui, che si affaccia alla saggezza dell’amore, ne accetta la sua autenticità ed esclusività.
Il linguaggio è sinuoso, aperto, solo a tratti velato da linee di fughe emotive, ogni qualvolta l’anima è costretta ad affrontare “Emozioni rintanate” ove il punto di vista si dilata, sino a includere qualcosa di misterioso, di irriducibile alla misura umana. Un autobiografismo poetico che ci mostra l’invisibile dentro il visibile, coglie l’istantaneità dell’esistere e canta tutto ciò che è incarnato e in movimento. L’amore, la nostra terra, tutto il creato nonché il caos del mondo coinvolgono emozioni che si declinano in luci e ombre, tipiche dell’esistenza. L’anima risolve e purifica ogni sua sfida, con rispetto e venerazione. L’arte poetica si eleva, diviene solarità e spiritualità “Tra strade da percorrere [,] / ascoltando ancora [,] / con energia il cuore correre [,] / con in tasca [,] l’autenticità” e i versi scorrono con ritmo cadenzato, variando d’intensità e di suono, cercando “[…] di imprimere impressioni [,] / su un pezzo di carta”.
Come viaggiatrice umile in un percorso di trasformazione, l’artista opera una scelta di ricerca del sé e dell’essere donna, in una ben avviata evoluzione spirituale che amo interpretare quale metamorfosi del bruco terreno che diviene farfalla.
Elemento dominante dell’intera opera è l’amore basato sul principio universale, inteso come amore-dono o meglio Agàpe, secondo l’interpretazione dell’antica filosofia greca. La poetessa riconosce le debolezze e le fragilità dell’Eros, l’amore-passione, si rivela e ci mostra ogni intimo conflitto per dominare reazioni istintuali e negative, suggerendo a sé stessa e al lettore la preziosità dell’accogliere il dono di un cuore che sappia amare, al di là di ogni altro aspetto umano, materiale, possessivo ed egoistico. Dobbiamo coltivare l’amore, prendercene cura e accettarlo, solo così potremo ottenere una vera pace interiore e nessun datore ne risulterebbe ferito, perché “l’Amore Vero non ha nessun prezzo”.
L’opera poetica, corredata da commenti di artisti vari e foto scattate personalmente dalla poetessa, attrae per la profondità dello sguardo rivolto sia verso gli abissi dell’umano sia verso l’incessante ricerca di una luce di salvezza, di un’autentica sapienza d’amore, che permette alla giovane Dulcinea Annamaria Pecoraro di contraddistinguersi con il suo ruolo di personalità carismatica nella produzione poetica contemporanea, poiché è vero che: “ I Poeti sono Angeli Custodi[,] / che non contano le ore[,] / ma sorridono sempre volendoti bene[,] / accarezzandoti dentro











“Dalla terra nasce l’acqua, dall’acqua nasce l’anima…”
(Eraclito)



Quando sorride il mare di Floriana Porta (AG Book Publishing Editore, 2014 – Collana “Le Cetre”) è un’opera poetica che nasce dalla visione caleidoscopica di una donna versatile, un’artista dalle molteplici sfaccettature quale protagonista impegnata nell’arte della poesia, della pittura e della fotografia. La silloge brevemente ma efficacemente prefata da Angela Wilde, è ideata in tre sezioni e consta di cinquantacinque poesie e diciotto haiku. Una poesia lirica intensa, di forte contenuto psicologico che attinge dal simbolismo per approdare a immagini e linguaggio fortemente espressionistici, tra pensiero e sentimento, intuizioni intime e misteriose dell’animo. La parola chiave è il mare, dove superficie e mondo sommerso fluiscono, evolvono e mutano dettando un vero e proprio oracolo dell’esperienza umana e delle sue origini, unità dell’essere nello scorrere del tempo. In armoniosa seppur sofferta trasformazione, Floriana Porta trasmette la sua personale visione del mondo in quel “mare di vita” che la poetessa riesce a tradurre in parole che “[…] si mescolano ai versi[,] / i versi si legano alle rime […]” e dove ogni descrizione acquista una semantica lessicale che si spinge oltre le apparenze.
L’acqua è un elemento femminile, con cui la poetessa stabilisce un profondo rapporto, ricercandone in ogni sua corrente spesso invisibile in superficie, quella parte della sua anima nascosta allo sguardo esterno. Il mare sin dai tempi antichi è un argomento amato e cantato in ogni letteratura antica e moderna, è simbolo di energia, pace e tranquillità che stimola solitudini riflessive. Non è un caso che Floriana Porta si sia ispirata al mare per una poesia che pesca nell’inconscio, governa i regni sommersi e la cui musa è inquietante, affascina e rapisce lo sguardo e il nostro intero essere.
Nel circolo eterno delle onde/si innalzano dal mare/acque sotterranee [,] /tra la terra e la lava[,]
/in un continuo/flusso e deflusso/diventi vorticosi [.]”.

In uno stile di poesia per lo più breve, ricco di pathos e grazia descrittiva, dai riferimenti elegantemente velati e allusivi, le metafore sono personificazione di elementi naturali che prendono voce. Nella disposizione dei versi, con ritmo danzante di strofe senza spazi, si stabilisce un forte contatto psicologico con la poetessa, di massimo effetto comunicativo nel più breve tempo possibile.
Sogno, immaginario e creatività sono tre aspetti grandiosi dell'esistenza psichica dell'individuo, si fondono con la realtà di un passaggio attraverso dolori e frammenti di vita in cui si abbandona una parte di sé fatta di malessere e immobilità, per contattare le potenzialità sopite della propria personalità e far emergere le risorse creative perdute e le vitalità nascoste nel profondo del proprio essere “Affiorano/vertebre fossili/ dalla terra putrida/lacerata da speranze perdute[.]
La poesia di Floriana Porta descrive processi che avvengono all'interno dello psichismo profondo e non può esimersi dall'utilizzare la natura contemplativa del mare e delle sue molteplici caratteristiche. La quotidianità trova nell’ispirazione poetica una nuova dimensione che rende visibile ciò che la routine nasconde, soffoca e rende opaco. “Perché solo nei versi/tutti rossi di sangue/fa ritorno la poesia”.
La visione del mare e dei suoi abitanti riempie, risolve e si espande. Il suo messaggio è profondo, ricettivo, purificante e terapeutico ma nel contempo il mare è anche strumento divino, che meglio rappresenta nei suoi continui mutamenti, il fluire dell’esistenza, tra creazione, vita e morte. “Siamo anime/della stessa polvere/che segna/i margini cicatrizzati/di un mare/alle porte dell’ultimo orizzonte
La conoscenza dell’ombra, intesa come conoscenza dell’altra parte di noi spesso celata, fa parte sempre e comunque, della nostra totalità.
Ritengo che Floriana Porta, con la sua poesia voglia in particolare ricordarci di liberare la mente dal suo ricordo, dando spazio al momento successivo senza trattenere mai niente che possa renderci solo zavorra, impedendoci di andare avanti nel nostro percorso di vita ed evolvere “Anche i coralli ascoltano/i suoni vibranti delle bocche dei pesci[.] / Invisibili voci che ci avvolgono e ci accarezzano[,] / in attesa di altri mari e mondi[,] / sciolte in un plasma di limpida poesia[.]” Il magico canto del mare nella pregevole silloge  “Quando sorride il mare” è  sicuramente la conferma dell’esistenza di un particolare legame tra psicologia e poesia, che n’è una delle più alte ed efficaci espressioni  “Sarai il mio cammino/tra le anime e i serpenti[,] / tra le viscere dei molluschi[,] /tra le lame dell’infinito […] /verso il cielo[,] / fino alle stelle”.












Una sedia culla una serenità che spinge per emergere, un fedele amico accanto, una vita vissuta nel quotidiano e nelle piccole cose, in perfetta comunione con il Creatore, ed è poesia.  Nasce così, ispirata e spontanea, la silloge Le ali del pensiero di Sandra Carresi (Libreria Editrice Urso- 2013).

I filosofi greci della scuola naturalista come Diogene, Anassimandro e Anassimene, identificarono l’anima con l’aria e il respiro, nuclei tematici che la poetessa sa riconoscere per grandezza e valore, ne assapora gli effetti in ogni velata sfumatura, abbandona la razionalità e lascia parlare il suo cuore “Respiro forte[,] / è ancora tempo/di essere felici[.] “ -  “C’è un vento/che soffia di notte/e di giorno[,] / sussurra da sempre[,] /certezze del cuore[.]
Tracciando un’interpretazione della vocazione poetica di Sandra Carresi mi soffermo a precisare e cogliere i punti cardinali dei suoi versi, che si risolvono in una vera e propria poetica della liberazione dai vincoli dell’io, con spiccata proiezione animica verso l’infinito. Natura e animali dai contorni nitidi si stagliano all’orizzonte come vere e proprie entità; la malattia e la morte emergono con profondo rispetto. La manifestazione della verità “poietica”, intesa quale capacità creativa dello spirito, attraverso la contemplazione della natura, nel silenzio e nelle varie fasi del tempo, crea le condizioni spirituali per scavare nell’intimo e ritrovare bellezze infinite “Adesso[,] metto l’accento/sulla qualità di questa/avventura[,] che è per me/un’opera d’arte[:] /la Vita[.]

In uno stile leggero, estremamente raffinato e dalla struttura melodica, costituito da una miscela di immagini, rammenti e segni celesti, il ritmo metrico risulta il sottofondo invisibile di ogni stato d’animo, in armonica simbiosi con gli elementi del tempo, frammentati da quei “cattivi pensieri” che turbano e sconvolgono l’animo della poetessa, quando si ritrova a rivolgere lo sguardo verso il resto del mondo, auspicando un cambiamento lungo un cammino di nuove speranze “[…] per la costruzione/ di una dignità migliore[.]
Sandra Carresi, con elegante allusione, condanna la presunzione, la disperazione e ogni genere di violenza, suggerisce al lettore abiti nuovi per il proprio spirito, lo stimola ad allontanarsi dall’effimero del “dio quattrino” perché esiste sempre “[…] un vento/ che porta la quiete[,] / arriva con l’alba [,] / concilia la danza notturna[,] /aprendo al mattino[,] / soluzioni alle fatiche del giorno[.]

La scelta del verso avviene nel lessico della sensibilità disarmante della poetessa, che nella quotidianità trova la sua dimensione di vita, accanto all’amore familiare, in compagnia di “presenze antiche” che mai l’abbandonano poiché ancora percepibili. Pur rimanendo consapevole dei mali del mondo, la poetessa reagisce con coraggio, si affida alla spoliazione dell’anima dagli orpelli della mente, in modo d’assaporarne la vera essenza dell’ispirazione.
Nella poesia dal titolo “Noi due” ritorna la figura sempre molto costante del suo adorato cane Benny, con lei “Insieme dal primo mattino”; ad esso Sandra Carresi dedica versi d’immensa umanità, di un amore che è metro della grandezza della sua stessa anima e della solidarietà verso tutti gli animali, che mai dovrebbero essere abbandonati, poiché compagni di un vissuto attimo per attimo con gioia.

I paesaggi sono liricizzati e la poetessa tende all’infinito e all’assoluto, per non rimanere schiacciata dalle limitazioni del mondo reale ma, non si tratta di una fuga bensì di un completamento di ogni suo stato d’animo.




Le ali del pensiero è una silloge che va letta senza alcuna fretta, lasciandoci trasportare e cullare da quel vento di cui ci racconta la poetessa, vivendo gli stessi colori di luoghi a lei cari, cercandone i profumi, esprimendo emozioni che ci scuotano da ogni torpore, affidandoci alla sua stessa sensazione di libertà per provare a volare, spinti da nuovi sogni, perché…  “In fondo[,] / siamo tutti[,] / sotto lo stesso/cielo “.



SUSANNA POLIMANTI


Cupra Marittima 23.10.2014







Il grande poeta, mentre scrive se stesso, scrive il suo tempo
                                                 (Thomas Stearns Eliot)



Fresca di stampa, pubblicata da Edizioni Agemina lo scorso settembre, Neoplasie Civili è la prima opera poetica dello scrittore e critico letterario jesino Lorenzo Spurio. Una poetica non casuale quella di Lorenzo Spurio, che possiede una naturale predisposizione all’ascolto e a quell’empatia verso problematiche di convivenza civile, qualità urbana e allarme sociale. In un viaggio di riflessione personale, l’autore approda alle tante righe di un sistema con versi impegnati che raccontano del nostro tempo e delle sue aporie; ferite evidenti della storia, un binomio continuo di vita/morte, istantanee che colgono ideologie mascherate di ragionevolezza e quel punto di non ritorno, a volte, della superbia e dell’egemonia umana. La sua poesia policentrica e multiforme sferza gli animi e accentua masse patologiche e anomale di un mondo moderno, piaghe che comportano frustrazioni, solitudine e silenzio in un misto d’incisiva animosità e malanimo. Trentaquattro poesie che rivelano contesti precisi, tracciano una rotta verso contingenze, contraddizioni e ingiustizie societarie e, ancor peggiori conflitti mondiali o logica perversa della lotta politica “[…] accuse rigogliose di colpe/e logiche vendette private/crudeli, ma necessarie[.]/ Il fango a volte/ può diventare cemento[.]”   
Il poetare di Spurio è cosciente e responsabile, esce dagli schemi ma non trascende mai oltre i limiti imposti dalla convenienza, da un giusto equilibrio e dalla buona educazione. La silloge inizia con una poesia dal titolo decisamente metaforico “Giù la serranda”, che mi ha particolarmente colpita per il suo canto che si avvia all’introspezione, spingendo l’individuo ad esprimere la necessità di vivere nel mondo mentre cerca da un lato, una qualche protezione da tutto, dall’altro nasconde verità incomprensibili di fronte a un ingannevole baluardo di società che, per diverse ragioni, etiche o politiche, coltivano il dubbio e il cinismo, la paura e l’impotenza.
Una risposta ricca di forte reazione emotiva è la poesia “Verde per sempre” dedicata alla Principessa Diana d’Inghilterra, dove le strofe si susseguono in immagini veritiere che testimoniano l’innocenza e la delicatezza del personaggio “Non era stata una di loro[,] / perché era stata una di noi[.]”, pur sottolineandone la tragica dipartita con velata tristezza “Riflettei sulla storia/che raggruma cancrene […]”.
Il ritmo nei versi è incalzante, magistralmente aiutato da una punta d’ironia che s’intreccia con frammenti di tragicità in immagini e scene che Spurio ha saputo rendere con visioni eidetiche, osservando da angolazioni diverse, i tanti fenomeni non solo italiani bensì di ogni parte del mondo. Lo sguardo emotivo dell’autore si trasforma in una sorta di parola-slogan, ne descrive ogni panico e sofferenza all’idea stessa del riflettere “[…] che tutto è quello che è/e niente è parte del tutto[.] “Il suo rapporto con il linguaggio è il risultato di uno sguardo scrutatore del mondo, mentre ogni lacerazione esterna crea un gioco linguistico che arricchisce i versi.

Con stile rapido e incisivo si snoda l’essenzialità del linguaggio in visioni del mondo poste sì come sfondo e quale motivo del verso, ma anche come centro propulsore per strumenti educativi e di sensibilizzazione, che rendono la poesia uno strumento creativo potente.
I motivi dominanti dell’atrocità di una guerra, di singole violenze o delle tante sciagure, così come noti personaggi illustri, non vengono mai rievocati con superficialità, bensì con sentimento di evidente disapprovazione per l’indifferenza e impassibilità degli uomini di fronte a situazioni di rilevante responsabilità civile mondiale.
Una pratica artistica di forma e colore, materia e stile che fanno della silloge Neoplasie Civili una poesia decisamente impegnata e complessa, che ci mostra Lorenzo Spurio quale artista completo, una voce in movimento, in un’avventura poetica certamente non facile, che ritengo abbia contribuito a rendere fiero l’autore, per un nuovo e originale lavoro controcorrente nel panorama attuale della poesia. Una poesia intesa come genere letterario al servizio dell’urgenza dei temi più complessi e attuali, corrosi dall’alienazione o soffocati dai mali del mondo.
La silloge Neoplasie Civili, a mio avviso, segue una sua logica e verità che troppo spesso non sono più la logica e la verità di tutti, il verso ne rappresenta un efficace e libero custode espressivo.





SUSANNA POLIMANTI

Cupra Marittima, 22.10.2014









Le voci della memoria di Anna Scarpetta è una silloge del 2011 edita Ismecalibri (Bologna) per la collana Omero Serie Oro. Leggendola con estrema attenzione, ho percepito la sensazione di essere direttamente a confronto con la poetessa, mentre i suoi versi scorrono in una poesia dialogata di un’immediata universalità del “sentire”, in ogni parola un suo personale messaggio. La poetessa svela al lettore un partecipe senso di pietà, in un linguaggio condiviso che attraversa il tempo e diviene artefice brillante di un’eredità memorabile, tradotta attraverso valenze di voci che “conoscono l’arte del narrare” le sole connaturate nella memoria del cuore, scevra da qualsiasi menzogna. Fantasia e immaginazione s’intrecciano con la realtà effettiva, creando la parte creativa di una poetica che s’incontra nell’esperienza di un iter vitae, plasmato dalla risolutezza, dalla sensibilità e dalla grande umanità della poetessa. Anna Scarpetta utilizza “Lo scalpello del pensiero” per rivolgersi alla poesia, che è sua amica e confidente, ad essa affida la propria filosofia di vita, “Ci vorrebbe un’altra vita/per capire cos’è la vita [.]/ Me lo dico spesso con sincerità [.]” A ogni visualizzazione di vissuto si associano evidenze antiche e universali dei sensi, veri elementi trainanti per condurci dentro tematiche di spessore, il lessico impiegato fa scattare inevitabilmente un’attenta riflessione, richiama e riattiva un ricordo.

Lo stile della silloge è svolto con ritmo vivace, cattura la curiosità e l’impegno del lettore, scuote dal torpore ogni animo, risvegliando con rinnovata vitalità ogni coscienza sopita. Le strofe composte di versi lunghi, si susseguono per la maggior parte in terzine e quartine in un “parlato” che cela una forza prodigiosa di effetti dal più teso e fervido, al più dolce e sofferente. Persino le figure retoriche, che siano esse allusive, reiterate o termini anaforici, vengono elegantemente inserite a dar maggiore risalto, rendendo il verso più incisivo. La poesia di Anna Scarpetta coinvolge e sottintende una complessità intellettuale, è pervasa di una particolare carica religiosa e carismatica, segnata dall’alternarsi di voci in un coro di profonda e disperata consapevolezza nonché di una fiduciosa attesa di un mondo migliore. L’abbinamento degli aggettivi qualificativi precisa il pensiero, lo rende più efficace, esprime sfumature rilevanti ed evidenzia un dato interiore, che si esplica in pura potenza fonosimbolica.
In una ricerca spasmodica del significato del dolore e del perché della sofferenza, il richiamo della memoria si snoda in una sequenza di espressioni dalle quali si avverte uno strappo con ciò che è consueto, con ciò che la poetessa ama e ha amato “Nostalgia, stringimi forte e portami via/in un mondo che tu sola sai di vera magia [.] Sfoglia adagio le pagine più belle di questa vita/e leggi di me, ancora divertita, ogni cara emozione
Sensazioni, stati d’animo, serendipità, persone vicine e lontane, luoghi e considerazioni sociali, il tutto visto con gli occhi curiosi di una donna che “Sulle ginocchia del tempo” ritorna ragazzina attenta verso quegli affetti e quei luoghi della sua infanzia che mai ha dimenticato, pur vivendo ormai lontana e con alle spalle un percorso consolidato.

Invocazione ed evocazione a un tempo, una poetica particolarmente equilibrata, educativa, morale e civile nonché personale e introspettiva a tal punto, da rievocare la poetica del vero manzoniana.
In ogni sua poesia si evince una tenace solidarietà per la sofferenza degli uomini tutti, per i perdenti consapevoli e inconsapevoli, tra loro per primi i bambini “erranti nel mondo” ai quali lei rivolge dei versi ricchi di pathos e di intensa umanità in assoluta condivisione, nonostante “l’indifferenza del tempo” ove le solitudini dell’infanzia si trascinano nell’esistenza, disponendosi a un confronto più drammatico con la realtà. I sentimenti evocano il ricordo del passato e sottolineano, vigorosamente, le incertezze del futuro.
Straordinaria e intensa la poesia che Anna Scarpetta dedica al suo Angelo Custode con il quale intrattiene un dialogo più aperto e cordiale, soffuso di umana pietà, rimanendo però fedele al suo rigore, al suo stile di religiosa e pacata contemplazione.
La memoria del cuore è per la poetessa un dono, lei ci ricorda che “Il tempo è di Dio”, il suo cammino è lento e segreto, dalla terminologia utilizzata percepiamo l’assoluta impotenza di fronte a una più matura consapevolezza del proprio valore individuale e collettivo.

Le voci della memoria, una silloge colma di versi che si traducono in un grido di amore, stimolano a essere sempre sé stessi, a ritrovare le proprie origini e ravvivarne le radici. Sento di dover rivolgere ad Anna Scarpetta un degno plauso per essere riuscita a farci rivivere quei valori autentici che rendono gloriosa e benefica la nostra presenza in quello “strano luogo” che è il mondo, con la viva speranza di poterlo ancora osservare “con gli occhi curiosi della vita “.






SUSANNA POLIMANTI



Cupra Marittima, 27 settembre 2014











L’ombra dell’anima, edito da Libreria Editrice Urso nel 2012, è una raccolta di poesie il cui titolo è di per sé, un vero e proprio assunto della biografia dell’anima e della poetica tutta di Sandra Carresi.
Le sue poesie sono parole lievi che accompagnano concetti profondi, descrizioni di paesaggi che toccano il cuore. Nello scorrere sulla carta, i suoi versi suggeriscono all’animo di chi legge, suggestive cornici di emozioni e scenari come il profumo di un tiglio, il distacco struggente da radici che con l’età sbiadiscono o la memoria dell’odore particolare di un tempo, a ricordare lontananze di spazio e di sentire: “Non esiste un cuore senza radici[,] / non esiste un cuore che non possieda/ il profumo degli anni verdi[,] /belli, spensierati, sinceri e vulnerabili.”
Una dolcezza malinconica si dipana da ogni sua immagine, la poetessa s’immerge nelle stagioni della vita, le trasfigura nelle stagioni dell’anno e stana senza paura le ombre nascoste; “all’ombra della sua anima” torna a confrontarsi l’intensa e matura parola poetica che lei dipinge in “un quadro perfetto/ che respira salsedine” e ancora come “donna, farfalla[,] /pantera e sirena” si popola d’icone che si disegnano nell’Io e fuori dall’Io, sulla memoria di un vissuto che riemerge tramite il pennello delle parole.
La cover di questa raccolta poetica è leggiadra e armoniosa, ritrae una giovane donna dai lunghi capelli sciolti al vento che agita un drappo di raso rosso, quasi a spogliarsi del consueto abito, per indossare l’impalpabilità della sua anima, diventando così una pagina trasparente pe il lettore.
In ogni strofa scorre l’amore, vero e autentico, verso un figlio “Re di quadri” con il quale lei gioca in compiaciuta ammirazione, dedicandogli parole sapientemente disposte con funzione metaforica e simbolica, si diverte a competere con lui e si trasforma in una sorta di “designer” della sua stessa poesia. La poetessa si rivolge anche al suo compagno di vita, osserva e scruta l’evoluzione del sentimento d’amore che, mai sopito, si riaccende ogni giorno con il semplice tocco delle mani, non più “snelle ed ossute/ dei tuoi vent’anni” bensì “forti e massicceLe stesse che al mio corpo/ s’intrecciano la notte/e/giocano al risveglio/del mattino.”
Sandra Carresi condivide con il lettore anche il timore della morte, lo aiuta a riconciliarsi con essa, dipingendola metaforicamente con la poiana, uccello predatore il cui volo silenzioso le concede l’arrivo improvviso… “appostamenti improvvisi, artigli alla schiena/ e… silenziosa la morte.”
Ogni poesia segue un preciso ritmo senza alcuna pomposità, lo stile non è prosopopeico seppur ricco di echi e risonanze melodiche, vi si riscontra la molta cura delle scelte espressive con figure retoriche quali climax e anafore, a sottolineare un effetto progressivamente più intenso Una poetica fluida, spontanea che predilige un’intimità tipica dell’animo femminile, in ascolto delle sua anima, delle voci misteriose e silenziose della natura, in una realtà di simbolismo pascoliano.
Il critico, di fronte alla sua poetica, non può fare a meno di ascoltare Sandra Carresi  mentre inquadra la sua interiorità profonda, capace di cogliere gli aspetti meno ovvi della realtà e tutti quei sentimenti apostrofati dal vissuto, non si sofferma sugli aspetti strutturali o metrici, non ne sente la necessità, perché dai versi risaltano unicamente la speranza e la decisione di vivere il tempo con urgenza di luce.
Le strofe si susseguono aprendo un varco di rinascita. Non è dunque questo lo scopo della poesia? Esprimere i sentimenti attraverso immagini che siano tali da rendere universale ogni libera espressione e percorrere i sentieri di vita con la certezza che taluni “giganti” siano sempre “messi all’ombra [,] / a riposare [,] ”. La poesia di Sandra Carresi è specchio e interprete di un’autentica realtà, Sandra ne diviene scenografa, senza finzione alcuna.


SUSANNA POLIMANTI                                            Cupra Marittima 10.09.2014










L’uomo che correva vicino al mare è il secondo libro eccellente del romanziere Ciro Pinto, di recente pubblicazione con Edizioni Psiconline (Collana A tu per Tu).
Dopo il successo del suo primo libro Il problema di Ivana, questo nuovo romanzo è una conferma della finezza letteraria di Ciro Pinto che prende per mano il lettore e lo trasporta dentro le tante pennellate di realtà, tra mille emozioni e stati d’animo di una sofferta storia di vita.
Il protagonista Giorgio Perna scopre un segmento di esistenza finora sconosciuto; uomo sportivo da sempre, ormai prossimo alla sessantina e con “qualche incertezza nella memoria”, si trova a dover affrontare un percorso di vita differente che si snoda grazie al filo della memoria più lontana in una sequela di “non più” e “mai più”, in cui ricordi familiari, luoghi e oggetti divengono “Testimoni muti di sogni dispersi dalla furia della vita” e spezzano la continuità del suo vissuto senza dar luogo a legami possibili tra ieri e domani. Giorgio ha rimosso ogni evento traumatico quasi a scongiurare la vecchiaia e la solitudine. Il dolore provato da bambino per la morte prematura della madre, il ricordo nostalgico del padre ma in assoluto la dolorosa perdita di sua moglie Eva, sconvolgono tutti i suoi equilibri sebbene l'esistenza di ogni giorno prosegua. Sfondo tematico è il mare e lungo la sua riva, Giorgio Perna ama correre quotidianamente “correre […] era la sua risposta a tutte le angosce della vita […]La sua corsa è una sfida nei confronti di se stesso e dello scorrere degli anni, teme di doversi riconoscere in un corpo biologico depauperato del senso dell’esistere, desidera rifugiarsi nel comodo ruolo di osservatore ma la realtà gli impone di esprimere ogni emozione con modalità nuove. Nel momento stesso in cui si sente destabilizzato dai suoi stessi ricordi che lo assalgono accanto al respiro del mare, inizia in realtà a elaborare i suoi lutti. Giorgio continua a correre nonostante non sia più un ragazzo, si costringe all’esercizio fisico per fuggire dai propri pensieri tuttavia, dovrà fare i conti con quei meccanismi di difesa che hanno impedito l’accettazione del dolore, favorendo la censura dell’io e procrastinando solo la sua sofferenza.
La metafora tematica ci appare quale piena consapevolezza del valore energetico, spirituale e benefico che la vista del mare può svolgere sul dolore interiore, l’acqua ci riconduce al nostro elemento originario e genera forza. Per Giorgio la riva del mare è un luogo riservato dove respirare aria di libertà ma presto si renderà conto che proprio questa sua passione agirà da mediatore mnemonico a livello più profondo per divenire elemento cognitivo di una sofferenza inconscia.
Il mare calma le paure dell’ignoto e le ansie della solitudine, Giorgio si affida ad esso per ricaricare il suo corpo e raggiungere uno stato radioso di benessere psico-fisico ma ogni dettaglio intorno a lui lo spinge ogni volta ad ascoltarsi. Ammira il volo di un gabbiano, lo immagina volare felice ma “Sofferenza, dolore e gioia sembravano alternarsi in ogni suo movimento”, solo una pausa di riflessione dunque, mentre i ricordi sono semisommersi, mai soppressi, accantonati nei meandri della sua mente e tornano a imporsi impietosi.  Ogni accettazione raggiunta permette sempre che il destino si compia, la salvezza arriva comunque e viene delegata ai viventi, per i quali le immagini del passato, foto o ritratti, sono ormai i fragili testimoni di una vita che non sembra più appartenerci.

Lo stile del romanzo è molto fluido con tessuto narrativo realistico e introspettivo, con sequenze dialogiche centellinate all’indispensabile. Ciro Pinto predilige una forma di comunicazione iconica, uno stile del tutto personale che si centra sulle immagini; un genere di lirismo descrittivo, fortemente emotivo e coinvolgente, dove l’elemento verbale feconda l’elemento visivo. La narrazione è molto curata e attenta. Dalla vicenda emergono anche spaccati di città conosciute, ricchi di riferimenti architettonici introdotti con la leggerezza disinvolta che è caratteristica fondamentale dell’autore. Questo romanzo ha una sua forza e specificità che ne costituiscono l’attrattiva per un lettore attento e desideroso di riscoprire valori importanti della vita, quali l’amore e il calore di una famiglia, la nostalgia per il passato, la sofferenza per la perdita di un congiunto e tanto altro ancora.  
La tecnica narrativa con flashbacks in vari capitoli in perfetta coordinazione tra presente e passato, rende ogni elemento maggiormente veritiero.

Il dolore fa parte della nostra vita e non va mai allontanato, neppure quando genera senso d’impotenza e sofferenza insopportabile. Rimuovere un evento traumatico vuol dire provocare una reazione a catena, in cui si vengono a creare ulteriori instabilità emotive e psicologiche, spesso da traumi irrisolti nascono vere e proprie patologie.
La vita di ogni individuo è il frutto di tanti percorsi sia personali che familiari, sicuramente qualcosa si apprende grazie alla trasmissione intergenerazionale della memoria di chi perdiamo. Ogni perdita di un nostro caro è sempre un forte dolore ma anche un insieme di frammenti memoriali privilegiati.

L’immagine dell’uomo Giorgio Perna avvalora la propensione dello stesso scrittore verso una chiave di lettura positiva della vita, nonostante i suoi scenari ed eventi contrari.
L’uomo che correva vicino al mare è un romanzo denso di sensibilità e di sensazioni inconsce, a tratti dolente ma pur sempre ricco di quell’autenticità e di quel senso di forte umanità che impregnano ogni romanzo di Ciro Pinto, uno dei pochi romanzieri contemporanei in grado di narrare la vita vera, toccando le note più intime di ogni lettore.
















Se giudichi le persone, non hai il tempo di amarle
(Madre Teresa di Calcutta)



Il buio La luce L’amore, la seconda pubblicazione di Rosaria Minosa (Albatros 2012) è un romanzo dai toni umili e discreti che profonde sentimenti autentici. È pervaso da tematiche intense e drammatiche, socialmente molto sentite quali la malattia tumorale e l’alcolismo.
La narrazione si apre con l’esperienza di pre-morte della protagonista Patrizia che, sottoposta a un intervento all’utero, si trova a dover scegliere tra la visione del tunnel di luce di fronte a lei e il rientro nel suo corpo fisico; da qui e non solo, nasce il titolo stesso del libro “Non sentiva dolore, quel male che l’aveva soffocata era sparito. Il tunnel s’illuminava, si allargava sempre più e lei ebbe la sensazione di vedere LA LUCE […] Andare avanti significava vivere con L’AMORE, L’IMMENSO.
La decisione della donna di continuare a vivere e abbandonare quella via di luce e amore, comporta ogni vissuto successivo, inclusa l’intima sofferenza di vivere accanto a un marito dedito all’alcol ormai da parecchi anni. Rosaria Minosa ci presenta un viaggio dentro se stessi, diretto a coloro che sono destinati ad accettare con fatica ogni genere di depressione, causata dal trauma psicologico dopo una malattia, così come da tutti quei fattori inconsci determinanti emarginazione, angoscia e reazione al sociale che, il più delle volte contraddistinguono ogni alcolista. Patrizia si trova a vivere la stessa malattia tumorale che le aveva portato via anche sua madre, per ben due volte si sente menomata, tuttavia riuscirà a uscire da quell’oscuro tunnel e con tanta umiltà e dignità sarà in grado di recuperare l’amore di Stefano e il suo matrimonio.

Lo stile è privo di ogni ornamento retorico, ricco di note essenziali ed emotive. Il linguaggio è fluido e coinvolgente in un alternarsi d’immagini sempre vivide.
Un libro importante e coraggioso che affronta lo choc per l’elaborazione di una malattia, dei conflitti interiori, la mancanza di una base d’amore certa tra un uomo e una donna, lo spettro di un alcolismo che ruba tutte le caratteristiche di una persona, rendendola restìa a qualunque dialogo e comprensione. Oltre le tematiche sociali fortemente attuali, ritengo che l’essenzialità del messaggio sia l’alessitimia, già rilevata nel primo romanzo di Rosaria Minosa (Il sorriso rubato). Alla base di ogni disagio emotivo o psichico c’è sempre e comunque l’incapacità di esprimere le proprie emozioni, rimarcando ogni problematica derivante dalla sofferenza della non comprensione degli altrui e propri stati d’animo, l’assenza totale di confronto relazionale.
La caratteristica emotiva e la percezione di inadeguatezza vengono raramente espresse e sono spesso causa di insorgenza di incompatibilità caratteriale e sentimentale. Questa percezione è motivata dal conflitto tra l’immagine di sé fortemente idealizzata e l’insoddisfazione per la propria realizzazione personale.
Il buio La luce L’amore è un’incessante lezione di umiltà e stimolo all’ascolto di quanto spesso si tende a nascondere, non solo agli altri ma anche a se stessi. La storia di Patrizia e di suo marito Stefano diviene un preciso valore simbolico, delegato alla costruzione dell’autostima, dell’indispensabile amor proprio. L’autrice Rosaria Minosa, abituata a vivere nella quotidianità situazioni di disagio familiare e sociale, c’insegna ad ascoltare e ascoltarsi, a mettersi continuamente in discussione al fine di porre i principi al di sopra della personalità e di praticare una sincera umiltà.
Se non provassimo emozioni saremmo tutti separati dalla vita, Rosaria Minosa con il suo libro  insiste su tale tematica e ci esorta a viverle sempre e comunque, lasciandole fluire per conseguire la crescita e la guarigione interiore.
Infine, ogni storia e ogni amore, se debitamente e volutamente sentito e vissuto può ricondurci a ritrovare la propria dimensione “[…] dopo il BUIO, un po’ di LUCE, che porterà loro L’AMORE.”


















Poche persone hanno l'immaginazione per la realtà (J.W.Goethe)

Iuri dei miracoli di Iuri Lombardi edito da Photocity nell’ottobre del 2012 non è certamente l’unica opera letteraria dello scrittore, poeta e giornalista fiorentino, sicuramente è un testo geniale ed evocatore. È impresa ardua recensire l’opera, principalmente perché nella sua prefazione, il noto critico letterario Lorenzo Spurio ne ha già rilevato ed esaltato gli aspetti essenziali in maniera esaustiva.

Attraverso un genere onirico, un presente e un passato ricreati fantasticamente, l’autore Iuri Lombardi scruta e coglie la vastità e lo spessore del reale per scendere nei meandri del proprio intimo “[…] attore protagonista del guardare, del farsi avanti sul proscenio della strada, tra i marciapiedi e le corsie preferenziali e ancora più oltre.” In una sorta di gioco di prestigio, Iuri s’identifica con un “jolly” e si ritroverà a interrogarsi sul significato della vita e sul grande tema di fondo che è il mistero di ogni natura umana; nella sua fantasia il travestimento da jolly fornisce certamente qualche vantaggio speciale a qualunque giocatore.
Iuri Lombardi è un attento osservatore della vita autentica e in questa sua opera interpreta da protagonista curioso, personaggi, fatti e situazioni del quotidiano, con intuito originale, con una forza creativa di un’intensità eccezionale.  Iuri Lombardi non è un semplice scrittore bensì un vero e proprio artista e come tale è dotato di grande fantasia visiva, percorre immagini reali di strada, ne descrive gli scorci, i colori e i rumori, si ferma con gli emarginati per assaporarne il vissuto, quale taumaturgo e miracolato egli stesso. Nelle sue fantasie oniriche non ci sono cose inesistenti bensì l’intero palcoscenico della vita, con le sue tristezze, incertezze, paure, successi e cadute. Ecco infatti che Iuri Lombardi immagina ancora d’indossare la maschera da clown, poiché l’unica figura capace di leggere la propria vita senza il filtro delle ipocrisie. Ogni sua manifestazione interiore assorbe dal sapore del vissuto degli altri, viene rielaborato in maniera immaginifica unicamente perché l’unica via per comprendere e comprendersi “E se la vita si potesse riscontrare solo nell’immaginario e non nel tangibile?” L’autore si racconta, egli stesso protagonista sul grande palcoscenico terreno, dove serpeggia una dolceamara ironia nei confronti dei nostri usi e costumi, delle nostre manie, delle abitudini di cui siamo più o meno consapevolmente schiavi. Dietro ogni sua parola si nasconde il desiderio finale di cambiamento e miglioramento della vita stessa che si evince anche dalla collocazione della narrazione con un preciso criterio di rapporto paritetico, che soppesa e valuta ogni aspetto sociale, in cui egli stesso fantasticamente si cala per condividerlo. Un po’ monello, un po’ anticonformista e un po’ saggio, Iuri Lombardi affronta le fasi della nascita, della la morte e persino della resurrezione, intesa come principio di una nuova azione, un’impresa in cui lanciarsi a capofitto, un’opportunità da non lasciarsi sfuggire; resurrezione che viene nominata anche nell’atto sessuale ultimo.

Lo stile del testo letterario è diretto, vivace, arricchito da dettagli di bellezza suggestiva della città di Firenze e di ogni altro luogo menzionato. L’esposizione si dipana in una trama affascinante, quasi seducente, di parole, frasi e periodi che sembrano collegati dal senso profondo della "necessità" letteraria di uno stile personale e originale.
L’interminabile susseguirsi di termini finemente strutturati nasce da un personale gusto della dismisura, con oscillazione tra fantasia a briglie sciolte e simbolismo intellettuale, in cui troviamo un’incredibile ricchezza lessicale. L’ironia del testo si fonda su un’acutissima, fulminea e assolutamente spregiudicata osservazione della realtà, per cui un tratto dei suoi personaggi, un'inflessione della voce, la descrizione di un paesaggio, una festa, una ricorrenza o un abito sono rivelatori d'un carattere o di un tipo e di tutto un mondo da esso rappresentato.
Leggendo Iuri dei miracoli mi sono trovata, forse per associazione d’immagini o per pura connessione logica, a ricordare il mazzo di carte dei Tarocchi, in cui la prima carta degli Arcani Maggiori è rappresentata dal Bagatto, che sta a indicare l’inizio del grande gioco della creazione; esattamente come Iuri si presenta nel suo libro, un giocoliere, un prestigiatore, che lascia intendere di poter giungere alla verità attraverso l’illusione.  Il Bagatto nei Tarocchi è anche la piena realizzazione, la conquista dell’unità sostanziale, la possibilità del soggetto di agire in maniera compiuta nel proprio ambito contestuale. In Iuri dei miracoli, lo scrittore-protagonista è dunque una persona intraprendente, un essere potenziale che tuttavia, con l’incanto della sola parola, riesce ad occultare con destrezza, la sua stessa personalità. Iuri Lombardi, un uomo dalla grande sensibilità ed emotività nonché dotato di sorprendente e brillante intelletto; doti che gli permettono di affrontare una scrittura da autentico talento.




SUSANNA POLIMANTI


Cupra Marittima, 13.04.2014











Il sorriso rubato è il romanzo d’esordio di Rosaria Minosa, pubblicato nel 2011 con Il Gruppo Albatros Il Filo ed è un libro delizioso e sconvolgente a un tempo.
L’autrice ha scelto per la narrazione il vissuto di Luciana, una bambina del sud che nasce e cresce in una famiglia e in un ambiente paesano dalle tradizioni grette e ottuse, tra maschi-padroni. Il suo percorso di crescita è difficile e traumatico “Diventa adulta, con grande dolore, sofferenza, odio, rabbia, pianti, perché non le è permesso ESSERE BAMBINA [,] […]” a cominciare dal suo rapporto con la madre con la quale si crea, fin dalla sua infanzia, una controversa dinamica di specchio e si sviluppa un peso di perenne deprivazione affettiva. La tematica essenziale dell’intera storia si svolge, purtroppo, sugli episodi di abuso sessuale che la protagonista subisce da parte del suo stesso padre. Luciana non percepisce immediatamente ciò che sta vivendo anzi si porterà dietro un soffocante mutismo che la trasformerà in un essere fragile e insicuro. Solo più avanti lei riuscirà ad aprirsi e avviarsi verso la soluzione del suo dramma. La protagonista supererà anche il pessimo rapporto con la madre e il suo inesistente ruolo di madre-protettrice, comprendendo che solitamente una madre proietta sulla figlia speranze e frustrazioni, mentre ogni figlia cerca la propria identità femminile.
Il sorriso rubato è un romanzo al femminile e, tuttavia, indaga l’animo di ogni individuo, smuove emozioni intense, avvicina il lettore a un mondo interiore dove popolano pensieri di tradimento, di mancanza d’amore, di tragicità. In ogni pagina spicca la coraggiosa sensibilità dell’autrice, la quale ha deciso di trattare un simile argomento poiché, per carattere e professione, avvicina quotidianamente la realtà sociale del disagio di ogni genere.

Lo stile del romanzo utilizza un linguaggio spontaneo, fluido e corretto; persino l’abuso sessuale seppur atto tremendo e da condannare, viene trattato con delicato riserbo, con rispettoso pudore, con una straordinaria semplicità, quasi disarmante. Rosaria Minosa è riuscita a circostanziare la storia con assoluta dignità e a inserirla in un contesto attuale senza ledere l’altrui intelligenza, evidenziando che alla base di ogni abuso esistono cause molteplici e spesso radicate nel tempo.
Il sorriso rubato è una precisa testimonianza di una problematica non ancora risolta nella nostra società; è anche un potente stimolo per l’intero universo femminile, a essere determinate nel perseguire i propri obiettivi, a denunciare le violenze subite senza farsi troppi scrupoli, a ricercare la sicurezza di sé a dispetto delle esperienze peggiori, acquisendo flessibilità mentale e disinvoltura nelle decisioni.
Il lettore ritroverà nella storia di Rosaria Minosa uno dei fin troppi casi di abuso sessuale e le tante situazioni di mutismo che possono andare avanti per anni, finché si sciolgono, spesso in lacrime troppo a lungo trattenute; il più delle volte, infatti, sappiamo bene che la violenza sessuale tende a essere rimossa, dimenticata e solo con il tempo, metabolizzata; in alcuni casi viene risolta completamente. Esistono persone con seri problemi psicologici, ciò non le giustifica comunque e l’unica certezza è che le vittime trovino il coraggio di chiedere aiuto. L’amore di un padre verso la propria figlia troppo spesso diviene una visione malata e perversa dell’amore di genitore.
Rosaria Minosa con il suo romanzo Il sorriso rubato ha dimostrato coraggio e analitica intelligenza emotiva, il suo libro è un valido contributo alla lotta contro gli abusi sessuali. Il risultato è un testo attuale che rompe il velo del silenzio.




SUSANNA POLIMANTI
Cupra Marittima 11.04.2014











La poetessa e scrittrice Sandra Carresi ritorna ai lettori con la nuova silloge I cristalli dell’alba, del marzo 2014 per la Collana Indaco-Poesia di TraccePerLaMeta Edizioni. Il titolo della silloge poetica è già di per sé un inno alla luce e alla purezza. Il cristallo è un minerale naturale e trasparente, simbolo di purificazione, da esso s’irradiano fasci di energia luminosa; l’alba è il simbolo del nuovo giorno e del risveglio interiore, le ombre della notte si diradano e riappare quel momento affascinante e magico in cui avanza il chiarore che illumina il nostro animo e la nostra volontà.
La poetica di Sandra Carresi tocca nel vivo temi importanti quale la vita, l’amore e il dolore. I suoi versi percorrono stati d’animo reali che appartengono a tutti. Immagini semplici ma di forte impatto emotivo esprimono il progressivo indebolirsi di certezze del mondo potente e debole a un tempo; con grande equilibrio la poetessa affronta dolorose note attuali, prima fra tutte lo sgretolamento di valori del mondo contemporaneo “[…] in un secolo gonfio di valori/sbattuti in terra come falsi pudori[.]” e misura una distanza tra un passato e un presente mentre nel suo cuore il tempo non muta   “Provocante e raffinato/questo rincorrere/del tempo/che alla fine poi [,] /rimane intrecciato nelle/pieghe del mio sorriso [,] /mutando il corpo [,] / ma [,]restando fermo/ in quel gioco sottile/dell’antico temperamento [.]”
Ogni poesia riconduce a un preciso codice etico che permette alla poetessa di approdare su aspetti di disagio, episodi di violenza, condizioni di povertà e necessità di maggiore giustizia; la poetessa delinea il nostro presente con significato connotativoFeroci questi tempi/di sangue e di sale/di gelosie e vendette” che infettano e contagiano la nostra società, viziando l’aria e la luce del nostro paese.  Immagini inattese rappresentano il mondo interiore, in alcune strofe ritroviamo delicatezza di toni, in altre una pungente nostalgia. Sandra Carresi con la sua poesia supera il soggettivismo e si pone in comunione con la natura che le si apre allo sguardo come un “ventaglio”, unisce il suo cuore al cuore di ognuno. Con particolare espressività di termini sottolinea l’onestà, la dignità e l’umiltà, poiché senza di esse non può esserci la gioia che incanala le nostre energie naturali.

Il suo stile è semplice, ritmico, predilige strofe brevi che creano una trama d’infinite suggestioni ed emozioni, ne risulta un verso che diviene quasi un salmo, una preghiera, un inno alla vita.
Sandra Carresi utilizza una costruzione del verso con una particolare attenzione alla musicalità e al ritmo, una poesia dunque, che chiede di essere ascoltata e non solo letta. Anafore ricorrenti nelle diverse strofe e parole ripetute con lettera maiuscola quali Mondo, Vita e Terra, concedono ritmo incalzante e martellante, quasi a ribadire tra i versi elementi e concetti di richiamo.
In una sinestesia visiva, la poetessa geme con coloro che piangono e allo stesso tempo canta la gioia e la grida. Le sue parole incitano a ritrovare l’amore condiviso, a “[…] conservarne memoria/nella grotta della vita.” per riscoprire “[…] il sapore antico/del passato […]”.
Sandra Carresi con la sua silloge I cristalli dell’alba protende lo sguardo lontano, squarcia il silenzio, oltrepassa il filtro di ogni barriera debilitante, esce dall’ombra e si affida alla luce della rinascita, della speranza certa di ogni nuova alba. I suoi cristalli calmano i sensi, scaldano i nostri cuori e ci stimolano a non sentirci più atomi isolati bensì parte di un grande universo d’amore “La speranza unisce l’anima/ e la fame di cuore/fa di ogni burrasca/cristalli, da disegnare nel tempo”.
I cristalli dell’alba di Sandra Carresi è un testo letterario polisemico che può essere interpretato in più modi, tuttavia, le poesie ivi contenute richiamano moltissimo la poetica dannunziana, laddove una realtà difficile e dolorosa vela la luminosa bellezza di ogni anima.



SUSANNA POLIMANTI








Il problema di Ivana è il primo romanzo di Ciro Pinto pubblicato nel 2012 con Edizioni Drawup. Un libro d’esordio e un romanzo d’élite, degno di essere annoverato nell’omonima collana della casa editrice. Tra le sue pagine, in una trama tutt’altro che banale, palpitano e vibrano turbamenti, passioni e intimi stati d’animo del protagonista Andrea Torreggiani. Andrea è un giovane dirigente di un’azienda milanese nonché scrittore, vive l’inquietudine dettata dalle difficoltà dell’azienda in cui lavora, costretta a dover rivedere l’assetto per fronteggiare l’attuale crisi finanziaria. Pressato dalla delicata situazione, egli decide di allontanarsi per un breve periodo per rifugiarsi a Cetona, un borgo della campagna senese; al borgo, ospite di un amico tra gente e sapori di un paesaggio tra i più suggestivi della Toscana, insegue il desiderio e la necessità interiore di terminare il suo nuovo romanzo e risolvere il problema di Ivana. La fuga dalla metropoli lo porterà a varie riflessioni, a conoscere e innamorarsi di Laura, dai “capelli nerissimi e occhi viola”.  L’incontro magico eppur complicato con Laura gli permetterà di ripercorrere ogni sua relazione d’amore, passata e recente.
In quest’opera è possibile ritrovare tutto l’istinto poetico dell’autore. Ciro Pinto trasporta il lettore nella piacevolissima immersione di una creazione letteraria imprevedibile, dove emotività e suspense richiamano un genere sia di thriller che di realismo romantico.
L’intreccio narrativo si svolge con stile accogliente e cortese, a rivelare lo stesso carattere introspettivo, intuitivo e profondamente passionale dell’autore.
Ciro Pinto è un narratore onnisciente, utilizza analessi e prolessi con destrezza sapiente e raffinata. Le numerose sfaccettature dei personaggi e la sua grande abilità di evocare immagini donano in ogni pagina la gioia di visioni emotive che si nascondono tra le pieghe dimenticate di un tempo ermetico e dilatato dove tutto è possibile e niente è lasciato al caso. Il ricorso a queste tecniche stilistiche consente a Pinto di creare uno stato di ansiosa incertezza o dare al testo maggiore interesse, vivacità, suscitando la piena partecipazione del lettore. A collaudare l’efficacia di tali ingredienti narrativi troviamo affascinanti descrizioni di luoghi e sentimenti come l’amore, descritto e celebrato dall’autore come emozione senza tempo in storie retrospettive.
Ma chi è Ivana? Tale personaggio così misterioso e intrigante è la stessa caratterizzazione di Andrea Torreggiani. Seguendo la mia personale chiave di lettura, ritengo che Pinto con questa sua opera abbia dato vita a un’autentica sceneggiatura medianica, regalandoci pregevolezza e valore letterario. La mia interpretazione nasce da un elemento più volte descritto nel romanzo; infatti, nella mente del protagonista Andrea si ripete l’immagine di una scena, un evento forse accaduto nel medioevo e in qualche modo legato al personaggio di Ivana, donna dalla “voce salda, i modi sicuri come quelli di un maschio, e lo sguardo diritto e sfrontato”. […] “Ivana dominava la scena con il suo problema”; una vocazione iniziale che nel tempo della narrazione diventa maestra di una traduzione di pensieri latenti ed emozioni dello stesso Andrea. La donna è intimamente legata al protagonista, il quale sembra ritornare in un ambiente conosciuto in precedenza, in una sorta di atmosfera onirica. Lo scrittore Pinto crea una trama ad incastri che viene poi raccontata da numerosi e diversi punti di vista che si fondono con l’interiorità di ogni personaggio. È come se l’autore abbia optato per una  pseudoreincarnazione in un corpo maschile o femminile; ne sceglie l’ambito e le condizioni che  permetteranno ad Andrea Torreggiani di riscattarsi, perfezionarsi e compiere ciò che spera di realizzare. Alcuni scorci vengono ripetuti dando un senso di déjà vu al lettore che vivrà questi momenti però sotto una nuova ottica.
Lo stesso dicasi del perché di certi avvenimenti accadano, non perché determinati da una reale coscienza bensì da una concatenazione di eventi il cui filo può essere individuato grazie a una più estesa e ampia consapevolezza del rapporto tra lo scrittore Pinto e lo scrittore Andrea, tra ogni personaggio e gli eventi stessi.
La scena legata al ricordo di Ivana fa da collettore e specchio di una molteplicità di codici in transito nella mente e nel cuore di Andrea. È qui che scatta il genio di Ciro Pinto, capace di intersecare l’ossessione d’amore del suo personaggio, il quale tende a modificare l’oggetto del suo folle sentimento nel ricordo soggettivo e l’immagine ormai indelebile nella memoria, con una forza contraria di direzione opposta, nel tentativo di farsi amare così come è da qualunque altra donna.
La storia di Andrea Torreggiani-Ivana e di ogni altro personaggio è infine una metafora della nostra stessa vita e di ogni nostra inquietudine che Ciro Pinto ha narrato senza mai perdere di vista il vero messaggio, vivere, reagire, ricostruirsi e ritrovarsi, soprattutto ritrovare “l’ordine intrinseco delle cose” anche quando si crede di aver perso tutto. La mente artificiale è l'insieme delle certezze quali schemi già scontati con cui conviviamo tutta la vita. Molti eventi possono seguire lo stesso destino dei ricordi di vite precedenti qualora volessimo dare loro dignità di realtà e di attendibilità nel cercare conferme negli eventuali “testimoni” degli eventi stessi.
Il risultato è un romanzo avvincente, stilisticamente elaborato ma scritto con un linguaggio semplice e scorrevole. I personaggi e i luoghi sono descritti in maniera ineccepibile, ti sembra quasi di conoscerli e di camminare veramente per le strade di quel borgo toscano, di sentirne tutti gli odori e rumori. Occorre resistere, dunque, ai tentativi esterni di influenzare la nostra vita, ricercando fasi di silenzio, meditazione e coerenza dentro noi stessi. Leggendo Il problema di Ivana ho avuto il desiderio che non finisse mai, non è un romanzo da leggere tutto d’un fiato bensì d’assaporare pagina dopo pagina, eppure l’ultima pagina è arrivata. Sono certa che tale romanzo di Ciro Pinto possa entrare nelle liste meritevoli dei libri più venduti.







SUSANNA POLIMANTI





Cupra Marittima 24.03.2014

















Memorie intrusive è la nuova silloge poetica di Ilaria Celestini, pubblicata lo scorso gennaio con TraccePerLaMeta Edizioni. Da una prima lettura della Nota dell’Autrice nonché della Prefazione, curata dallo scrittore e critico letterario Lorenzo Spurio, ho immediatamente intuito e apprezzato il valore di questa silloge. Sin dai primi versi il nostro animo è scosso dal tema dell’abuso, del dolore e della sofferenza che ne conseguono, la stessa poetessa in apertura irrompe con i versi: “Ti parlerò del mio/dolore antico/di mani avide e spietate/ che mi fecero/ terra di conquista…” In ogni verso si evince un sentimento d’impotenza e vulnerabilità di fronte all’essenza di “memorie” ivi intese come ritenute, trattenute, “intrusive” al punto di solidificarsi nell’anima mentre riproducono un vissuto primitivo.
In Memorie intrusive leggiamo e percepiamo una poesia rappresentativa di un ricordo incancellabile, incoercibile che l’autrice rivendica con immagini molto significative e toccanti di un intimo che si libera ed esprime il proprio substrato di malinconico tormento, attraverso una ricerca di stile e di spessore dignitoso, delicato, seppure icastico e solidale. È decisivo l’intento di smuovere una forza interiore e ritrovare un tempo propizio per ricominciare a vivere con maggiore serenità. La continuità dei versi in un’eccellente modalità stilistica, denota l’incisività del penoso ma quanto mai attuale tema della violenza sulle donne e quanto di più feroce e distruttivo possa diventare quando le emozioni traumatizzanti colpiscono e turbano l’innocenza e la purezza dell’infanzia: “I miei ricordi sono animali feriti/e notti tremanti prive di senso/derubate di un sogno”. Ogni visione evocata dalla poetessa è un messaggio comunicativo diretto e intenso; tramite la sua preparazione culturale e poetica, Ilaria Celestini fa un uso equilibrato del tessuto espressivo, veicolando principi e valori etici toccanti e veritieri. Memorie intrusive è una silloge che rende l’efficacia e la forza espressiva della poesia sociale e allo stesso tempo personale, un riverbero di anime che soffrono e si rialzano, lo stesso cuore del poeta che “è una terra che nessuno/vuole visitare” si rivela uno strumento reale per fissare la testimonianza del dolore di un abuso. Le poesie di Ilaria Celestini sono un’epigrafe destinata a durare nel tempo, una lezione per il mondo odierno che, negando ogni evento di abuso quale una piaga straziante, in cui la donna è solo preda e non appare più come essere umano, oltremodo nega il valore stesso del ruolo della donna. Le ricorrenze delle espressioni metaforiche mostrano un raffronto tra elementi negativi e positivi, sul piano inferiore si blocca di fronte all’esperienza abusiva vissuta mentre s’innalza ad un piano superiore verso il ruolo sostanziale della poesia che permette di ritrovare coraggio, pretende un approfondimento della vita interiore e la scoperta di una dimensione maggiormente libera dal dolore del ricordo. La poetessa si lascia infine cullare dai suoi versi che le permettono di uscire dai penosi ricordi e l’aiutano a librarsi attraverso le sue stesse immagini, nella speranza che possa esistere ancora la leggerezza del cuore e il riconoscimento del valore di un amore pulito, libero e totalizzante “al di là/dell’orizzonte di un amore perduto/un giorno magari anche per me/tornerà a schiudersi il cielo”.
Non ho dubbi che la silloge Memorie intrusive di Ilaria Celestini possa esprimere e interpretare un collegamento prezioso con chiunque viva per diretta esperienza o indirettamente eventi devastanti, tematica che ci riguarda tutti poiché spunto per una meditazione di stretta attualità.
La poesia è un appuntamento con la profondità del mondo interiore, un dialogo con sé stessi. Memorie intrusive è una raccolta di poesie che fa breccia nel cuore delle donne e non solo, sensibilizzando tutti quei cuori che sono in contrasto con la crudeltà dell’amore perverso e il narcisismo, per rivolgersi sempre e solo verso ogni forma di amore “buono”.


Susanna Polimanti
Cupra Marittima 13.02.2104











Flyte & Tallis di Lorenzo Spurio, pubblicato nell’agosto del 2012 con Photocity Edizioni, ha un sottotitolo: Ritorno a Brideshead ed Espiazione: una analisi ravvicinata di due grandi romanzi della letteratura inglese e già di per sé ci mostra un executive summary del suo contenuto. L’opera Flyte & Tallis è corredata di un’esaustiva lista di note e profili bio-bibliografici dei due scrittori Evelyn Waugh e Ian McEwan, si apre con i versi del poeta palermitano Emanuele Marcuccio e un’accurata prefazione di Marzia Carocci, nota critico-recensionista. Il testo in questione è un’altra perla della saggistica dello scrittore e critico letterario Lorenzo Spurio, il quale ogni volta riesce a sorprendere il suo pubblico lettore con la sua particolare “lente d’ingrandimento” che valorizza la sua chiave di lettura e lo trasfigura nello “Sherlock Holmes” deduttivo dei testi letterari, laddove ama indagare l’anima del singolo e individuare in ogni personaggio la dimensione interiore e la proiezione dei sentimenti che agitano il suo animo.
In questo saggio Lorenzo Spurio studia, analizza e mette in risalto le corrispondenze o discordanze dei temi trattati nei due romanzi della letteratura inglese: Ritorno a Brideshead di Evelyn Waugh ed Espiazione di Ian McEwan e sviluppa un progetto di comparazione che vede come protagoniste le famiglie tradizionali di una società aristocratica e le loro floride tenute, dove spesso non mancano le stonature dettate da un “giusto e corretto” tenore di vita. L’autore punta lo sguardo su temi rilevanti nello spazio psicoaffettivo di crescita quali educazione e differenti condizioni sociali: religione, amore contrastato, omosessualità, immaginazione, realtà falsificate, sensi di colpa e infine la guerra, che arriva a spazzare via il vecchio mondo con le sue rassicuranti ipocrisie, lasciando ricordi e rimpianti. Gli stati d’animo trattati nei due romanzi sono differenti eppure molti simili, perché i tempi cambiano ma le caratteristiche e i sentimenti umani si ripetono nei secoli. L'individuo si presenta alla realtà come tabula rasa, quello che diventa è tutto determinato dall'interazione nella sfera sociale. Lorenzo Spurio tratteggia e vaglia diligentemente i vari passi dei libri con uno stile di scrittura chiaro, preciso ed efficace, indice di un pensiero perfettamente organizzato nei collegamenti tra i due testi. Spurio ci fa notare e sottolinea anche la chiara influenza del pensiero di altri scrittori quali Virginia Woolf, le sorelle Brontë e Jane Austen, in particolare riguardo le ambientazioni e i luoghi dei due romanzi a confronto.
Evelyn Waugh appartiene al periodo tra le due guerre, caratterizzato da un tono minore, scanzonato, di elegante fatuità non senza un fondo amaro e dalla satira mordente mentre Ian McEwan molto più approfondisce la psicologia di ogni personaggio, rilevando meccanismi inconsci che superano il mero concetto razionale, trovando terreno fertile nella nostra intelligenza emotiva.
Infine, tutto lo studio è stato affrontato tenendo conto sia della necessaria divisione tra indagine “quantitativa” e “qualitativa” in un’esplorazione psicologica dei singoli individui, sia della necessità di formulare quesiti attendibili, di escludere elementi di pregiudizio o altre influenze al fine di una corretta valutazione. Lorenzo Spurio con Flyte & Tallis esplora ed esamina i due romanzi della letteratura inglese con rispetto per il valore culturale e i meriti dei suoi autori; si limita solo a entrare nel meglio dei loro personaggi e restituirceli più liberi, a dispetto della storia che li opprime.
In Flyte & Tallis, con capacità critico-riflessiva, l’autore raccoglie ed interpreta tematiche letterarie che dimostrano infine le dinamiche di cambiamento sociale, emozionale ed educativo che plasmano la personalità di ogni individuo e dalle quali possiamo dedurre che la natura umana è caratterizzata da un bisogno insopprimibile di verità, libertà di espressione e un oggetto da amare proporzionato.


Susanna Polimanti
Cupra Marittima 13/01/2014













Jane Eyre- Una rilettura contemporanea - di Lorenzo Spurio, pubblicato nel 2011 con Edizioni Lulu è un’opera molto interessante, il suo contenuto rivela l’accuratezza di un’analisi saggistica di Lorenzo Spurio, sempre molto approfondita e degna di essere annoverata nella critica letteraria contemporanea. In questa suo testo l’autore, con sottigliezza e vivacità, coglie aspetti e tratti salienti che caratterizzano il periodo vittoriano, partendo proprio dal personaggio silenzioso ma assolutamente fondamentale della vicenda narrata da Charlotte Brontë: Bertha Mason, la moglie "pazza" di Rochester; il lato passionale e animale di Bertha mostra una quasi doppia identità della stessa Jane, da tenere nascosta e repressa secondo la concezione di quel tempo. Nel romanzo della Brontë, Jane non risulta mai schiava della passione anzi è pronta a sacrificare all’onore e al dovere lo stesso amore, eppure il coraggio e la determinazione di questa eroina rendono l’opera un vero capolavoro, sebbene a suo tempo destò un certo scalpore, urtando le idee vittoriane di delicatezza.  Interessante l’indagine, la lettura incrociata e minuziosa di Lorenzo Spurio dei quattro romanzi : Il gran mare dei Sargassi di Jean Rhys, Charlotte, l’ultimo viaggio di Jane Eyre di D.M. Thomas, Jane Slayre di Sherri Browning Erwin  e La bambinaia francese di Bianca Pitzorno, grazie ai quali l’autore ripercorre ogni spin off riguardo personaggi e contesti, esaminando e ponendo a confronto le diverse problematiche connesse a temi di razzismo coloniale, emarginazione, ribellione degli schiavi e prime reazioni verso un’emancipazione femminile, affidandosi a brani e precisi riferimenti di ogni romanzo saggiato. La sua interpretazione del romanzo Jane Eyre è sicuramente un felice risultato della sua spiccata qualità d’osservazione realistica e ironica, alle quali è solito unire intensità di temi sociali ed emozionali espressi in modo diretto e particolarmente chiaro. Il suo stile si condensa in scene, in pagine che approfondiscono o meglio, svelano altri aspetti della storia e soprattutto dei singoli caratteri, viste anche le differenti chiavi di lettura tra più romanzi. Il libro contiene anche una personale intervista dell’autore alla scrittrice Sherri Browning Erwin, la quale, con un imprevedibile sviluppo paranormale, dipinge il personaggio di Jane come una donna vampiro. Il viaggio tra le righe della comparazione tra i quattro romanzi viene infine arricchito dalla menzione delle varie realizzazioni cinematografiche e televisive dell’intramontabile protagonista del romanzo della Brontë.
Lucidità metodologica e onestà intellettuale hanno permesso allo scrittore e critico Lorenzo Spurio di realizzare al meglio un saggio breve, privo di caratteri di semplificazione bensì strutturalmente più impegnativo.
Jane Eyre è un romanzo che non conosce i segni del tempo, lei è una donna anticonvenzionale, anticonformista e progressista nell'intelletto, specie per le sue convinzioni nei confronti delle donne e nel loro ruolo nella società. Lorenzo Spurio, critico letterario che io definisco propriamente sociologico, con questo primo saggio nonché prima pubblicazione in assoluto, ci ha regalato un testo per rivivere la magia dello stile e delle ambientazioni di uno dei classici più popolari di tutti i tempi. Jane Eyre di Lorenzo Spurio con la propria “rilettura contemporanea” è un piccolo gioiello capace di fare appello al cuore con una forza senza tempo, in grado di farci dimenticare che il romanzo sia stato scritto quasi due secoli fa.



Susanna Polimanti
Cupra Marittima   02.01.2014











“La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell'universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell'anima”.
(Carl Gustav Jung)


L’avventura di Santiago di Giovanna Albi, Robin Edizioni(2011) è il primo libro nella cronologia delle pubblicazioni della scrittrice, la sua brevità lo porta a essere un piccolo capolavoro d’esordio. Non a caso ho scelto le parole di un grande maestro della psicologia quale Carl Gustav Jung per la premessa a questa mia recensione; infatti questa piccola opera di Giovanna Albi non si limita alla narrazione di un’esperienza, a uno spontaneo vademecum così come accade lungo la strada andando a piedi tra pellegrini, bensì è un acceso dibattito tra la fervida mente della scrittrice e la sua psiche. La scrittrice affronta un cammino di pellegrinaggio verso Santiago con “gambe in spalla”, spinta dal desiderio di trovare nella fede un rifugio per una rinnovata serenità e una risoluzione alle tante insistenti nostalgie, pacificando così le stesse memorie del passato. In realtà presta corpo e forza vitale per reintegrare un’entità incompleta, un’unità dove sono presenti buchi di energia dovuti a distacchi da un tempo infantile, una fase di vissuto che non si ripristina per via dello scorrere veloce degli anni: “Mi allontanai dal gruppo e scrissi sulla nera terra del sentiero la mia data di nascita e quella del día correntechi può tornare al principio?” Andando avanti nella lettura del racconto, la pellegrina Giovanna non si dà mai per vinta, la stanchezza per i chilometri percorsi non sfiora le sue membra anzi, sembra accentuare la sua infaticabile ricerca della sua “umana natura”. La scrittrice si sofferma spesso a descrivere i compagni di viaggio ma nessuno di loro riesce ad avere un ruolo di spicco, neppure suo marito, definito il “suo faro” con il suo “cappello arancio”, poiché unici protagonisti di quest’avventura sono lei e le sue indagini nella grammatica dei pensieri, quasi inseguendo delle precise tecniche d’intervento per placare dubbi esistenziali. Sebbene non sia sola nel percorrere tantissimi chilometri, Giovanna cerca sempre il suo spazio intimo, in solitudine. La natura ascetica e le tante descrizioni dei territori incontrati durante il cammino di pellegrinaggio divengono ostacolo o salvezza nei momenti di transizione, tutti quei riti di passaggio nella mente della protagonista sono un mondo speculare che le permette di giocare con le immagini e rovesciarle pur di arrivare all’acquisizione della reale consapevolezza di un’anima mediatrice tra corpo e spirito, che racchiude le sue tre forze del pensare, sentire e volere. Bellissimo il capitolo V, in cui ritengo sia riassunto il significato e il vero messaggio della narrazione, il punto clou dove Giovanna Albi si scopre, getta via tutto ciò che è egoismo, apparenza, disinteresse politico e sociale, disprezzi e invidie del nostro vivere quotidiano, in cui lei si sente una “voce fuori dal coro”. Eccola dunque esprimere con intenso coinvolgimento emotivo la sincerità della ricerca di se stessa, della vera libertà che trova la soluzione dentro la sua stessa anima, muove verso l'Essere, unica soluzione che può darle consistenza e stabilità.
Lo stile della narrazione è più che fluido, vanta riferimenti alla filosofia greca e citazioni evangeliche perfettamente in armonia con il viaggio nella propria interiorità; lessico straordinariamente ricco, una dote naturale di questa scrittrice, erudita voce narrante. Giovanna Albi da semplice viandante entra nella più profonda riflessione con incredibile scioltezza di linguaggio.
L’avventura di Santiago offre alla sua autrice e a quanti desiderano leggerlo, l’opportunità di comprendere che non è sufficiente cercare l’ispirazione della fede per risolvere i nostri problemi d’identità, occorre bensì addentrarsi nella propria autocoscienza e lasciarsi permeare, semmai, dall’amore divino.
Non so se Giovanna Albi, dopo il Cammino verso Santiago, sia riuscita o no a trovare la sua fede in Dio giacché, al momento della partenza era più che consapevole di essere più vicina alla filosofia buddhista piuttosto che alla sua religione di nascita; credo al contrario che questa sua esperienza di pellegrinaggio abbia sicuramente sigillato e rafforzato quelle parti della sua anima inizialmente asimmetriche e scomposte, varcando un confine verso un’accettazione più equilibrata e amorevole di se stessa. Il distacco di un pezzo della sua anima, che la scrittrice ha sperimentato in passato e derivato da un’errata scelta di un percorso psicoanalitico, l’ha ricondotta alla sua profonda integrità di donna, madre, moglie e amica.
L’avventura di Santiago è un libro molto bello, una sorta d’insegnamento nascosto all’interno dei nostri flussi mentali, pronto a rivelare e migliorare la nostra comprensione della spinta evolutiva che un percorso di silenzio e solitudine può accrescere.



Susanna Polimanti
Cupra Marittima 02.12.2013










La silloge poetica Navigando Silenzi di Mario De Rosa, edita da Montedit per la Collana Le schegge d’oro si articola in tre capitoli, in cui spiccano i differenti colori dell’anima del poeta: “Cadendo/foglie d’autunno/affusolate dita/sui tasti solo sfiorati/del mio sentire/dischiudono le porte/d’una magia di colori”. I versi iniziano con un percorso di sentimenti invisibili chiusi nel cuore di un padre che nell’amore verso un figlio trova lo stimolo per una rinata forza e via via divengono dei chiaroscuri come “rotte invisibili/di gabbiani saputi” per poi fermarsi come vere e proprie orme sulla sabbia, dove si ha l’impressione che lentamente o improvvisamente la psicologia del poeta si stia trasformando in una poetica unica, dedicata alla sua famiglia, a un mondo prezioso che vive e palpita nella stupenda cornice della natura. Tra gli elementi naturali forti sono le immagini del vento che “scompiglia i pensieri” e li “porta con sé/fuggiaschi e di un “increspato mare” alle cui onde il poeta affida la sua ispirazione. È dunque la poesia la sua fonte d’ispirazione, a essa si affida, rendendosi libero di uscire come “ladro dall’ombra” e di esprimere sensazioni quanto mai inesorabili nel suo cammino di vita. Seguendo gli sviluppi ravvicinati dei suoi versi si scoprono anche le connotazioni più personali, legate alla memoria, all'autobiografia, alla riflessione intima.
Il poeta Mario De Rosa è una voce imponente nella nostra poetica contemporanea, non a caso ha conseguito vari riconoscimenti in campo letterario oltre che essere presidente di giuria in vari concorsi; egli si presenta al suo pubblico con uno stile sofisticato e un linguaggio finemente elaborato, la poetica di De Rosa è un’esperienza fluida dove le parole sono scelte accuratamente, messe l’una accanto all’altra a formare vedute di luoghi in cui il lettore-ascoltatore si ritrova a muoversi in scenari non più frutto letterario ma reali; i suoi versi riescono a sferzare la coscienza di tutti, toccando pensieri e sentimenti molto profondi, non tralasciando i ricordi rivolti all’infanzia e all’adolescenza, fili conduttori del nostro sentire quotidiano e attuale. Mario De Rosa dona a noi lettori l’immagine reale del valore di essere poeta che egli stesso definisce con queste parole: “Il vero poeta, sai, /è così facile da ferire/ma quasi impossibile/da abbattere”.
La grazia, la gentilezza del suo animo spicca in ogni suo verso quale coscienza e accettazione della sua storia di uomo, di marito ma soprattutto di un padre che conosce il sacrificio e il dolore. Una consapevolezza che lo affranca dall’esistenza e gli offre un’occasione, attraverso la sua naturale capacità di formulare versi, per ricondurre le sue esperienze dolenti in una visione più larga. Il suo verso percorre il cuore di chi s’immerge nella lettura delle sue poesie, senza lasciarlo soffocare tra le pagine di un libro. Una poesia che è fonte di liberazione e stimolo per un difficile cammino di vita dove Mario de Rosa crea un nuovo stato, una diversa dimensione per comunicare al mondo l’essenza della relazione con il proprio figlio, al quale dedica versi struggenti, carichi di un “Diversamente amore” che commuove rendendoci partecipi di quel labirinto e itinerario di vita solcato da profonda malinconia. Nel leggere le poesie di De Rosa ho provato un’intensa emozione, certa di avere accanto l’amico poeta che, prendendomi per mano, mi ha condotta nel suo viaggio nostalgico/esistenziale, alla ricerca di quel misticismo che rimane nascosto e "chiuso" alla comprensione, che Mario De Rosa sottilmente accarezza con la bellissima metafora dell’anima: “M’aiuta a vivere/la dolce prigioniera/compagna, amica, /in un mondo irto di spine”.
                                                           



Susanna Polimanti
Cupra Marittima 27.11.2013












Michela Zanarella, la poetessa delle immagini e dei sentimenti per eccellenza, così amo definirla dopo aver letto e apprezzato la sua nuova silloge: L’Estetica dell’Oltre, edita da David and Matthaus S.r.l. divisione ArteMuse per la collana Castalide, un progetto editoriale caratterizzato da una particolare cura per la qualità grafica e l’accuratezza delle prefazioni. La nuova silloge incrementa il suo già significativo curriculum poetico, ricco di pubblicazioni e numerosi riconoscimenti letterari che presentano la poetessa quale artista affermata e pluripremiata.
Estetica, dal greco αισδεσισ (aisthesis) nel linguaggio semantico è la  “percezione sensoriale”, una mediazione del senso che, abbinata alla preposizione-avverbio “oltre”, lascia già intuire il profondo messaggio contenuto in questa raccolta di poesie. Nella silloge L’Estetica dell’Oltre, Michela Zanarella conferma un’evidente evoluzione: Attorno al sisma del destino/cerco le mie ali… inizia la raccolta con versi sulle origini della vita: nell’utero elastiche origini…/ ho appreso come suonano/sembianze di luce… evidenzia lo sguardo sul fluire del tempo, fissa il divenire: essere nel tempo/che ti sfoglia/corpo e distanza, si concentra su una via esplorativa del sofferto passaggio terreno e, nella contemplazione del silenzio: camminano i silenzi/nel guscio della vita… osserva la grazia e il fascino della natura, ritrova l’equilibrio dell’anima, in cui si riflette la bellezza divina che svetta oltre la misera condizione umana. Parole intense e allo stesso tempo delicate, si susseguono irradiando vibranti emozioni, formano un tessuto compatto dove persino tecnica e forza poetica rimangono costanti. La maturità stilistica della poetessa si realizza nella successione ritmica di suoni e armonia che donano melodia e squisita eleganza ai suoi versi, le tante sfumature metaforiche contribuiscono alla musicalità della lettura.
Michela Zanarella, ispirata dall’eterna musa della poesia, evoca ed esalta con i suoi versi i sublimi valori dello spirito, gli stessi elementi naturali quali il cielo, il mare, la luna e le stelle si manifestano quali entità spirituali e proiettano le nostre emozioni nelle regioni inesplorate della nostra anima, la sola capace di stimolare noi tutti a incarnare sulla terra una forza, una qualità, una virtù o un'idea che abita il mondo divino. Michela è consapevole che la nostra presenza sulla terra rappresenta un “guscio” di vita, si rivolge al padre perché si renda tramite presso Dio per una richiesta di comprensione, d’illuminazione e di protezione: chiedi alla sorte/che forma ha la vita/se esiste un cielo che ci spetta/una pioggia che lava le insidie. Una tale ricchezza d'immagini è giustificata dall’immediatezza piena in ogni esperienza estetica, visioni che le permettono di respirarne l’atmosfera, con il tatto del cuore accoglie il significato velato della realtà inattingibile. Sono certa che la sua poesia sia un viaggio attraverso le esperienze vissute, dove i sensi nella loro materialità e corporeità hanno un’attitudine intrinsecamente spirituale. Credo fermamente che una simile creatività poetica non abbia guide o maestri specifici, bensì nasca da una propria identità, maturata ed evoluta in un tragitto di vissuto che la poetessa ha approfondito con coraggio, metodo, serenità e volontà. In questa silloge, Michela Zanarella tocca temi molto importanti quali il destino, la solitudine, l’amore; si rivolge all’universo, si affida all’innata sensibilità, non dimentica mai i luoghi natii e tutto il genere femminile, sempre pronto a non temere/ il peso del mondo. I versi lasciano intravedere la luce e il superamento del nostro nulla di fronte alla vastità dell’Oltre. Non ci è concesso di procedere al di là di certi confini, laddove “vive l’infinito” eppure la poetessa ci stimola a farlo, perché l’anima informa il corpo e trova la sua perfezione al di là della realtà materiale, soggetta a corruzione: dentro l’insistente avidità di un mondo/che impedisce gli sguardi/di Dio. Non posso certamente tralasciare la religiosa umanità di Michela che la rende sempre partecipe nella condivisione della perdita di una persona cara, a tal punto da plasmare versi che rappresentano autentiche dediche nel ricordo di grandi personalità della letteratura poetica quali Alda Merini: la cui poesia ripete il mondo/ e le sue origini, Pier Paolo Pasolini: quel tuo non temere/ la notte/nel lampo che ti donò/all’inganno… o cari amici: e tu che hai lasciato/il bordo della vita/nel timore del cielo/dal cerchio dell’eterno/fissi il colore degli Arara… ti sappiamo sereno/nel silenzio che sporge dalle nuvole…
Ogni cosa scorre, è: un gocciolare di memorie/agli angoli del tempo. È nella forza del suo messaggio che la poesia di Michela Zanarella si presenta quale espressione viva di estro creativo, la vita può ancora sgorgare anche quando il destino, inteso come valore principale di fissità, sembra sommergere tutto e diviene un far risuonare in sé, nella vibrazione della compassione, la voce della sofferenza altrui. La certezza della verità è legata alla purezza di chi la indaga poiché se ne è dotato, sarà la stessa capacità intuitiva a rendere visibile quanto ancora rimane irraggiungibile. Nelle poesie di Michela Zanarella la sensazione visiva è diversa da quella normale degli occhi, i colori sono come ravvivati da una luce che non abbaglia ma ancora una volta esprime vita.
La lettura attenta di ogni suo verso non può che emozionare, e trasmettere solarità, ogni parola sprigiona carisma, una virtù speciale e personalissima di questa “nostra” poetessa alla quale rivolgo un sentito plauso e un augurio sincero per un ampio successo presente e futuro.





Susanna Polimanti
Cupra Marittima 21.10.2013
















Recensione di Maschera, la nuova silloge poetica di Vincenzo Monfregola


Maschera l’ultima silloge del poeta Vincenzo Monfregola edita egoEdizioni è una raccolta di poesie strutturata in diverse sezioni, ognuna rivelatrice della disarmante semplicità dell’uomo-poeta Vincenzo Monfregola, il quale cresce e si affina con versi che cantano la bellezza essenziale della vita,  in tutte le sue più piccole sfumature, con lo sguardo puro e limpido del suo cuore, parte integrante e preziosa in tutte le sue liriche. Nella sua personale prefazione il poeta si descrive così: “ Non sono speciale, non lo sono per niente, sono solo una persona che scrive su carta quello che sente”, in realtà, la sua specialità è proprio quella di “essere”, essere se stesso senza mai indossare la maschera della finzione e della convenzione, del nulla: Non ho mai nascosto/ il mio amore per la semplicità/ a nessuno. Lontano dal rumore del quotidiano, egli  ricerca la libertà nei sogni, nello sguardo innocente di un bimbo, nel volo dei gabbiani sopra l’azzurro del mare, quasi a toccare il cielo e i suoi angeli e, mentre canta l’amore come fusione di anime, si ritira nel suo tempo silenzioso che gli permette di assaporare ogni emozione del suo sentire, donandola al lettore perché la custodisca gelosamente nell’anima:
È quando i riflettori sono spenti/ che l’anima ritrova se stessa/ ritrova se stessa in silenzio.

La sua poesia si avvicina con passo felpato, ha la grazia di stampe orientali, sintetiche nello stile, vaste nelle prospettive; si affaccia alla natura e a tutti gli esseri viventi con empatia nei suoi ritmi metrici e tecniche di assonanza; predilige la forma libera, elastica, più atta a raccogliere i complessi sentimenti della gioventù attuale, tuttavia la musicalità del verso richiama il ritmo tradizionale, ricco di una bellezza quasi religiosa. L’intuizione poetica che scava sotto la realtà apparente di ogni elemento viene espressa con linguaggio analogico, in perfetta sintesi di pensiero e immagini, scopre e svela l’autentica essenza dell’essere, nella operosità e nella vivacità, nella capacità di interessarsi e di godere di una vita altrimenti insulsa nell’attesa della “nera” quale metafora del dolore e della fine di tutto.
La bellezza di una poesia è determinata dal modo in cui il poeta sceglie le parole, dalla sua abilità di combinarle e di giocare con i loro suoni e i loro significati, Monfregola utilizza un proprio significato connotativo, un insieme di emozioni, immagini ed effetti che la sua parola è capace di evocare; le immagini sono inattese e permettono di rappresentare il mondo interiore del poeta in modo originale e inedito.
Il cuore è il luogo nel quale si cela la vera identità dell'uomo, la poesia di Vincenzo Monfregola riesce a scuotere la sostanza e non l’apparenza.




Susanna Polimanti
Cupra Marittima 15/10/2013









Nella sua silloge poetica “Per una strada”, pubblicata nel 2009, Emanuele Marcuccio descrive con “Il vascello nel mare in tempesta”( Pag 25) la nostra realtà condivisa dove “la nostra vita s’inabissa” vana, senza la guida della fede; un passaggio terreno che scorre esattamente come un “orologio che ha lancette sconnesse, ritorte” (Pag.70). In ogni sua opera, il poeta evoca la figura divina che è in ogni memoria ed anima. Sono certa che dalla stessa scintilla divina abbiano origine i suoi Pensieri Minimi e Massime, Edizioni PhotoCity del 2012, una raccolta di 88 pensieri che vanno ben oltre il cosiddetto aforisma, in cui con stile sobrio e conciso Emanuele Marcuccio indica l’importanza non del traguardo finale bensì della preziosità di ogni nostro percorso. Considerando l’etimologia della parola greca aphorismós: definizione, è riduttivo chiamare aforismi i pensieri contenuti in questa raccolta, in realtà essi nascono dalla meditazione e dalla spontaneità del poeta e si traducono in saggezza e lungimiranza, ricchi d’intensità concettuale, di natura etica e sociale. Marcuccio si affida alla sua personale sensibilità ed esperienza di vissuto per suggerire al lettore una profonda riflessione su sentimenti e quella particolare realtà che è oltre il visibile: “Chi si ferma alle apparenze, ha gli occhi foderati dalle nebbie del pregiudizio” (N.87). Intensa e precisa l’interpretazione del dolore e del silenzio che s’identifica nell’arte stessa della poesia. Ancora una volta ritroviamo lo scorrere del tempo, che è istante e il valore fugace degli attimi di felicità che “ si perdono nella nebbia dei giorni, si perdono nel vento degli anni” (N. 77).
Un’emozione, un ricordo, un semplice particolare osservato con lo sguardo del cuore, fanno scattare nel poeta la molla dell’ispirazione che si concretizza nel desiderio di creare, comunicare le proprie idee ma soprattutto esprimono il suo grande amore per la poesia; un’arte che diviene forza liberatrice di emozioni che altrimenti rimarrebbero intrappolate nella nostra anima. Con delicato e velato vigore la poesia rischiara l’oscurità degli animi, dà voce ai silenzi interiori, si trasforma in sondaggio all’interno della propria esperienza di vita, ogni intensa emozione trasfigura, si connette con la matrice profonda di ogni verso del poeta. Emanuele Marcuccio nei suoi Pensieri Minimi e Massime non sermoneggia semmai permette al suo cuore di esprimersi in assoluta libertà, con un distillato del meglio di sé, con garbo e rispetto ci sprona a godere delle bellezze nascoste della vita, richiamando la nostra attenzione a non perdere nulla di ogni nostra esperienza. I suoi pensieri s’imprimono nella nostra anima e suscitano emozioni e riflessioni profonde sull’autentica accezione del nostro essere e la rilevante efficacia dell’amore che rimane sempre “l’unica arma contro il dolore” (N. 8). La breve ed illuminata opera di Marcuccio si mostra incisiva ed efficace, evidente ricerca di evasione da una realtà insoddisfacente verso il sogno, quale superamento figurativo dei limiti della realtà e delle sue contraddizioni. L’ascolto interiore con la complicità della fantasia esorta ad elevarsi.



Susanna Polimanti






Tutto è passato per una strada, luogo fisico, luogo dell’anima, che è stato trasfigurato dalla mia sensibilità, dalla mia immaginazione, che ho cercato di esprimere con la mia poesia”: parole stupende ed essenziali, scritte da Emanuele Marcuccio, poeta palermitano, nella prefazione alla sua silloge “ Per una strada” - SBC Edizioni. La nostra vita è cammino lungo sentieri tortuosi e lineari, un passaggio attraverso il tempo terreno. La poesia di Marcuccio percorre età e stati d’animo differenti, una mescolanza di presente e passato, ogni aspetto della sua realtà poetica è profondamente legato a forti tradizioni artistiche e culturali della sua terra di origine, nonché alla sua storia personale.
Definirei Emanuele Marcuccio un poeta dallo stile arcaico, un’anima antica che predilige l’essere all’avere, un attento ermeneuta alla continua ricerca filologica; in ogni suo verso è estremamente tangibile l’amore per la parola, la sua lirica palesa un’intensa spiritualità, ricorda le antiche odi greche e latine. Memore delle prestigiose liriche classiche, ai cui autori Marcuccio dedica svariati canti, si fa mentore egli stesso, con parole ardenti e passionali penetra tutto ciò che nel mondo è essenziale, suggerisce coraggio ed infonde speranza. Una vena poetica di altri tempi dunque, espressione di affetti e sentimenti su temi come la patria, l’amore, la natura e la libertà dell’individuo; egli manifesta nei suoi versi emozioni che riflettono la contraddizione del proprio tempo in una società moderna di massa, parole che respirano atmosfere di degrado ed ingiustizie di un progresso pervaso dall’indifferenza verso ogni creatura dell’universo, che siano animali, eventi o luoghi. La dolce e malinconica consapevolezza della capacità distruttiva dell’uomo si alterna e s’intreccia con voci comuni e tradizionali in versi vivaci e coloriti. La sua lirica è echeggiante e pregiata, pregnante di significati connotativi in un insieme di emozioni, immagini ed effetti che la parola è capace di evocare. Imperante il desiderio di un rifugio interiore che sfocia nella dolce catarsi della poesia. Non a caso nella silloge “Per una strada” ritroviamo spesso il verbo “inabissarsi”, il poeta vive ogni suo verso esattamente come specchio interiore, visione del mondo e mondo essa stessa, secondo quel ritmo purificatorio che le ha impresso. La sua opera è immagine pura della sua stessa integrità e fedeltà al momento creativo originale.
Profonda e costante la presenza divina la cui ispirazione è tracciato potente e luminoso dell’evoluzione artistica di Emanuele Marcuccio; un poeta-musico, la cui poesia ritengo possa egregiamente essere accompagnata dal suono di uno strumento musicale e magari cantata in un suggestivo teatro, come affascinante può considerarsi la lettura dei suoi versi.



Susanna Polimanti










La cucina arancione: la novità libraria di Lorenzo Spurio, edito da TraccePerLaMeta Edizioni, è una raccolta di venticinque racconti che reputo in tutta onestà,  altamente creativa e singolare, nonché priva di tratti comuni e contenuti banali. Lorenzo Spurio delinea i protagonisti di ogni suo racconto quali consapevoli di una realtà parallela, costruita con appassionante dialettica in una dimensione paradossale dove ognuno narra la sua storia con struttura  paralogica, un vissuto tra esasperazione del pensiero e delle proprie fobie, tra psiconevrosi, idee deliranti, ossessioni, paranoie ed anancasmi.  La silloge di  Spurio enfatizza contenuti emozionali ed istintivi che si annidano nei rapporti sentimentali, nelle relazioni familiari, sociali  e persino erotiche, risaltandone il senso di profonda inquietudine e tensione che conduce ad una vera e propria distorsione della realtà con atteggiamenti impudenti che passano dalla spensieratezza allo sprezzo, pur tuttavia fortemente agganciati all’attualità di una società “disagiata” dove cercano di sopravvivere  figure dai caratteri emblematici con fantasiose manipolazioni dell’identità.

Lo stile è fluido, linguisticamente perfetto, si attiene ad un’accentuata ricchezza di termini ed il susseguirsi di metafore pittoriche … “ Luisella intanto era estasiata dalla veduta al di là del finestrino, dove si stagliavano nuvole spumose e soffici che invitavano a spaccare il vetro per stendercisi  sopra”, denota un notevole possesso della lingua che, a differenza della maggior parte degli autori contemporanei, segue l’onda del riflusso con restaurazione e ritorno alle vecchie grammatiche normative.  Con la sua narrazione Lorenzo Spurio tiene il lettore incollato allo scorrere delle pagine fino alla fine, creando suspense con sensazioni forti ed estreme, a volte dai tratti grotteschi ed ironici. Ogni racconto è pervaso dalla decisa ed inconfondibile impronta del genio di questo giovane scrittore, dalle spiccate doti inventive, lui stesso il narratore-personaggio che si diverte con il suo stile particolarmente creativo e fantasioso ad interagire tra il suo immaginario e la realtà nascosta ed oscura di ogni individuo. È sempre lui infatti che seleziona dettagli che meritano l’attenzione del lettore nei ritratti e nel seguito di ogni sua storia. Con immagini eccentriche e molto colorite Lorenzo Spurio riesce ad irrompere in quell’involucro invisibile che è la mente, indagando tra le ossessioni del cervello per comprendere caratteri ed azioni di ogni singolo personaggio.  Se è vero che la mente non si avvale sempre e solo di processi logici, occorre infatti studiarne la sua soggettività ed intenzionalità. Certamente, al di là di ogni vissuto presente nei racconti, chiara ed evidente appare l’insoddisfazione di un tempo attuale, dove difficoltà e disagi si mascherano dietro a sentimenti di solitudine, chiusura mentale ed ignoranza.

La cucina arancione , il cui titolo nasce giusto da un racconto alla pagina 113,  ci ricorda  Jorge Luis Borges per i suoi temi sul filo delle realtà parallele del sogno ed il grande Edgar Allan Poe con le sue narrazioni gotiche  impregnate di ossessioni ed incubi personali.  L’equilibrio del paradosso viene trattato e raccontato da Spurio in un sovvertimento di regole, con intensa fantasia ed estrosità.
La cucina arancione è sicuramente un testo da leggere con estrema attenzione, perché sfogliando le sue pagine ci troveremo sempre di fronte l’effetto totale dell’inatteso. All’autore ed amico Lorenzo Spurio porgo i miei più vivi complimenti per questo suo nuovo libro, incitandolo a proseguire il cammino nella sua produzione letteraria mantenendo sempre forte la sua vena artistica così spontanea ed efficace.


Susanna Polimanti








Donna Ferula di Maria Cinus - CF Edizioni, non è semplicemente un libro autobiografico bensì un’autentica narrazione di sé, è un ritorno dell’autrice a se stessa, alla conoscenza e nostalgia di sé, dei luoghi dell’infanzia a lei cari, della sua terra di origine: la Sardegna, dove ritorna, proprietaria della vecchia casa ristrutturata, ereditata da sua nonna. Il racconto inizia e coincide con un momento ben preciso, legato al ritrovamento di un “piccolo quaderno con la copertina consunta”, tra le sue pagine “un fiore secco” di ferula e di “una foto in bianco e nero un po’ ingiallita e coi bordi sfrangiati”; ritratte nella foto, due giovani donne: la zia Caterina e sua cugina Francesca Ferula. Scorrendo la lettura si scopre una storia straordinaria nella memoria storica della zia Caterina, che concede a sua nipote di ascoltare e ripercorrere il passato; le sue parole fanno rivivere consuetudini ed emozioni infantili della scrittrice che, costeggiando ed esplorando sentieri ricchi di sapori, odori ed intime sensazioni, rivive la sua terra con il suo particolarissimo dialetto ed i suoi antichi costumi. Maria Cinus parla dell’isola come un’eroina romantica, con estremo coraggio affronta il tema della nostalgia per quella ricchezza affettiva, nonostante le difficoltà quotidiane dettate dalla povertà della sua gente. Lo stile è fresco, pulito, molto scorrevole, con estrema semplicità l’autrice attrae il lettore nella descrizione narrativa, nell'attenzione alla resa delle espressioni e dei dettagli in un insieme di elementi minuziosi e raffinati che realizzano un preziosismo quasi pittorico.
Il tema dominante della narrazione è l’amore nostalgico, che ritorna con incalzanti sequenze di flashbacks e non riesce a spezzare il legame che si è creato con quel mondo così lontano e diverso ma allo stesso tempo così vero e profondo. La scrittrice non fa economia di sentimenti; nel suo libro si percepisce forte la presenza delle sue emozioni legate alla sua terra, la tormentata volontà di avere di nuovo quello che si è perso e che non è possibile rivivere nell'ambiente attuale. La nostalgia percepita tra le righe del suo racconto è condivisibile per chiunque viva lontano dal suo paese di origine e diviene a tratti malinconia, tristezza, assenza di qualcuno ma, nello stesso tempo coraggio, a non lasciarsi sopraffare da tale struggimento e piacere nel mantenere in vita ciò o chi non esiste più, è lontano o non può tornare se non con la potente arma dell’amore.
Conosco personalmente la scrittrice Maria Cinus da poco tempo, pur avendo già percepito la purezza e la profondità del suo cuore, leggere il suo Donna Ferula è stato per me come sfogliare le pagine più profonde di un’anima, capace di tradurre ogni parola in immagini vivide e affascinanti. Il racconto che la Cinus ci presenta travalica il suo tempo presente e stabilisce una continuità tra passato, presente e futuro, affidandone la custodia alle donne, principali protagoniste di questo libro. Altro elemento incredibile è la coincidenza della parola ferula, oltre ad essere il titolo stesso del libro quale cognome della maggiore protagonista, di fatto è anche il nome che distingue la pianta erbacea tipica della Sardegna con il suo “fiore giallo a forma di ombrello”; non a caso una pianta che “cresce nei prati e nei terreni aridi, dove ci sono le pietre”. La nostalgia della scrittrice nel dolore del ritorno diviene amore intenso e assolutamente spontaneo nella sua memoria; lo stesso amore che la ricondurrà ancora sulla sua adorata isola e basterà allora “girarsi verso il cancello” e ritrovare “le due grandi querce che sono lì da anni, immote sentinelle, mentre la sua vita si svolge altrove”.



Susanna Polimanti









Quello che resta di Francesco Casali- Koi Press (2013) è il secondo libro dell’autore. Dopo Niente da nascondere, ancora una volta Casali riesce a stimolare sensibilità ed attenzione nel saper cogliere il particolare soggettivo, che svolge con la sua unitarietà di genere letterario sulla trattazione del dolore psichico, nel senso più vasto della parola, raggiungendo gradualmente gli aspetti più salienti del disagio nella vita interiore dell’individuo e di quel particolarissimo dolore emozionale derivante da stati affettivi complessi, sottolineati dalla sua brillante e profonda formazione esperienziale. In questa sua opera Francesco Casali tocca i precordi, esaminando nel vivo temi quali la disperazione, la rabbia e la depressione che derivano dalla separazione e dall’abbandono per la perdita di un figlio, la sofferenza fisica che si nasconde dietro un disagio mentale ed una vulnerabilità cognitiva; la scelta di una decorazione corporale quale il tatuaggio come formazione, rinforzo o cambiamento di un’identità che spesso diviene espressione di un conflitto di processi intrapsichici; il suicidio quale ultima spiaggia, nell’incapacità di accettare e donare amore; la possessione e vessazione diabolica quali eventi osservati e vissuti dal punto di vista teologico, con autentici riferimenti a sacerdoti esorcisti, o inspiegabili e dunque, studiati scientificamente a livello medico-psichiatrico. Quello che resta è un’opera di mediazione e psicologia transpersonale dove risalta l’ingegno analitico dell’autore che esamina, sviscera, commuove e coinvolge, tra equilibri fortemente controversi, dove le parole convivono con riferimenti in lingua, citazioni ed esperienze dirette di noti psicologi, psichiatri, assolutamente indispensabili per la narrazione di temi assai delicati.
Lo stile è nitido, estremamente scorrevole, peculiare. Francesco Casali adotta un metodo efficace che supera la semplice scrittura di contenuti, rendendo l’esposizione fine e garbata, propria dello psichismo dell’autore, un’innata sensibilità a livello mentale ed individuale che con molta diplomazia e profondità di contenuti si riversa nella conclusione del suo libro, rivelando la vera ineluttabile consapevolezza del dolore che la vita stessa comporta e nel valore di contrapposizione che il sentimento dell’amore universale può risolvere se non totalmente almeno in buona parte. Tra le righe si respirano le motivazioni più subdole che anche il noto dolore del ritorno, la nostalgia, fa degenerare con sintomi nascosti in un incipiente disagio che ci allontana dalle emozioni più vere ed autentiche del nostro io, tanto da trasferire qualunque nostro vissuto nel mondo virtuale dei Social Network, evitando così di affrontare direttamente l’effettivo contatto di relazione interpersonale.
Trovo molto interessante anche il fatto che Casali abbia una capacità innata nel narrare episodi di dolore reale e non fittizio, anche laddove l’individuo rischia di divenire per se stesso il primo inimicus homo, lasciandosi sopraffare dal suo stesso dolore, rifiutando l’accettazione che questa impietosa sofferenza fa comunque parte del nostro essere uomini, nessuno potrebbe mai cancellarne i conseguenti effetti di afflizione e disperazione, semmai dovrebbe cercare di raggiungere tramite il dolore una qualche soglia di verità, che avvicina ogni individuo ad uno stato mentale di equilibrio e saggezza.
Concludo la mia recensione al bellissimo libro Quello che resta con queste poche parole di Siddharta,, dove Hermann Hesse così ha scritto:« E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita.»





Susanna Polimanti


















Niente da nascondere di Francesco Casali è realmente un libro fuori dal coro. Grazie alla sua attività di educatore professionale che, quotidianamente svolge con pazienti affetti da disturbi psichiatrici e della personalità, con disagi psicosociali più o meno gravi, l’autore in questo suo romanzo saggistico dialoga con il lettore, scrive e descrive, argomentando una realtà che “esiste” concretamente. Senza alcun artificio, trucco o finzione, egli sconfina oltre le sue esperienze positive o negative che lo hanno in qualche modo segnato, sottolineando e diseppellendo con elementi di minuziosa psicologia dinamica, il potenziamento delle capacità espressive e creative dei soggetti descritti, al di là del loro disagio psichico, alla ricerca di una maturazione interiore verso la continuità di forza e coraggio in ogni situazione drammatica. Niente da nascondere inizia con un primo abstract che riassume l’importanza dell’argomento trattato: il dolore, in ogni sua sfaccettatura, attraverso caratteri e personalità distinte, oltre ai protagonisti con storie complesse di un vissuto intenso, l’autore si occupa anche di pulsioni, desideri e debolezze tipiche di ogni individuo della nostra società. Egli ci parla del dolore silenzioso, che rimane impigliato negli oscuri tunnel dell’anima, un’interpretazione del dolore legato alla dinamica del ricordo per la perdita fisica di un affetto, di uno stress, dei tanti problemi di adattamento in una società che muta troppo velocemente, attribuendo al dolore conseguenze che, se ignorate possono realmente trasformarsi in una profonda voragine, in un prolungato abisso in cui sprofondano sentimenti ed emozioni. Le parole che Casali utilizza sono importanti perché analizzano il senso del dolore che non deve essere dimenticato né accantonato ma vissuto fino in fondo, a volte necessario perché addirittura liberatorio. Il dolore inteso quale solitudine, perdita di un ruolo sociale, senso di colpa e consapevolezza di essere incappati in un qualche errore, che conduce alla fuga, generando persino una percezione di ostilità occulta negli altri. L’autore affronta l’argomento avvicinandosi ad una particolare ”sociometria”, quale interpretazione della capacità empatica, rivelando così coraggiosamente le verità più intime dei personaggi, le loro insicurezze, le loro paure più vere. Francesco Casali si serve della sua ironia analitica come una lente per meglio scrutinare il male dell’esistenza ed indagare nella psiche umana. Evita di dispensare consigli, bensì privilegia evidenziare il suo personale approccio di educatore professionale e la sua esperienza diretta sul tema.
Lo stile del libro è brillante, graffiante, pungente, molto immediato e diretto ma, ad un tempo, tenero e sottilmente impregnato di sentimenti forti e contrastanti; elaborato con profondo pathos ma soprattutto con precisa cognizione di causa. Attraverso la sua esposizione si percepisce il carattere versatile, eclettico ed estremamente sensibile dell’autore stesso, che si palesa parlando di quanto, talvolta, sia difforme l’immagine che ognuno ci propina di sé e della propria realtà riflessa e diffusa soprattutto nella società attuale; “l’immagine, l’apparenza, la menzogna” che ci rendono “splendidi personaggi di se stessi” quando viviamo “splendidi siparietti” nella “casa delle menzogne”, e così facendo, viene occultato un proprio disagio che non è fisico, bensì mentale e spirituale. Francesco Casali racconta e si racconta per combattere tutti i pregiudizi che ruotano intorno al nostro mondo e con il suo libro analizza con precisione quali, in fondo, possano essere le alternative e possibilità che ognuno ha per ritrovare la pace interiore che non sia solo fittizia e non ci renda normalmente così “biecamente felici”. Leggendo questo romanzo, sorge spontanea la domanda: perché dunque considerare pazienti e malati di mente unicamente coloro ai quali viene diagnosticata una malattia mentale, perché fermarsi nel ritenere che solo in un ospedale il dolore è di casa e dunque non fuori luogo? Troppo spesso siamo portati a pensare che il ricordo di una sofferenza fisica svanisca più facilmente di quella psicologica. Questo libro mette in risalto un tema complesso e scomodo, al di fuori dalla normale fisicità, in realtà il dolore è maggiormente assordante, perché silenzioso. Niente da nascondere è un bellissimo libro, di notevole interesse etico; il suo messaggio è importante, diretto ad una differente solidarietà e comprensione, per una ricerca personale verso una permeabilità al vissuto degli altri ottenendo di essere più ricettivi nei loro confronti e verso noi stessi.
Sono solita credere che una semplice recensione non basti ad illustrare l’argomento trattato in un’opera letteraria ed in questo caso, più che mai, sento il dovere di informare il lettore che Niente da nascondere va semplicemente letto con estrema attenzione. Ogni passaggio da un capitolo all’altro affascina e trasporta verso la netta consapevolezza che, anche nei peggiori casi di dolore, dovuti a sofferenza mentale, ad un lutto o un abbandono, esista sempre una sola via d’uscita, dettata dall’amore e da un’autentica ed individuale presenza emotiva. La lettura di questo romanzo stimola la riflessione circa il valore della condivisione empatica in ogni nostra relazione umana.



Susanna Polimanti








Ritorno ad Ancona e altre storie di Lorenzo Spurio e Sandra Carresi, edito da Lettere Animate raccoglie tre racconti molto belli e di ottima qualità. I racconti sono distinti tra loro da un proprio titolo, eppure leggendoli uno dopo l’altro, sembra quasi che tra essi ci sia una continuità, senza dubbio merito degli autori, che li hanno scritti  con trascinante intensità di sentimenti. I temi trattati sono comportamenti e stati d’animo di ordinaria esistenza, quali l’amore, il dolore, le speranze, le debolezze ed ogni loro conseguenza nei confronti degli altri. Ogni racconto stimola la riflessione e il coinvolgimento del lettore, la loro narrazione si fonde perfettamente con esperienze di un vissuto comune a molti. Lo stile del libro è molto scorrevole, colmo di grazia, dolcezza e in particolare, rispetto. Si passa da momenti morbidi con precise emozioni  dei personaggi, i cui caratteri sono descritti con dovizia di particolari, a docce fredde di cruda realtà che stimolano a proseguire la lettura con vivo interesse. Sono rimasta molto colpita dallo stile dei due autori che sono stati in grado di scrivere un libro a quattro mani senza la benché minima imperfezione. Ritengo che solo due persone molto affini e profondamente amici possano riuscire in questo intento.
Il mondo delle emozioni descritto in questo libro in maniera così spontanea ed appropriata può risultare per il  lettore, lo sprone giusto per stimolarlo ad andare avanti nelle più complicate fasi di vita, rendendolo più forte e vitale. Porgo agli autori Lorenzo Spurio e Sandra Carresi i miei più vivi complimenti per il loro Ritorno ad Ancona e altre storie, auspicando altrettante opere di certo success




Susanna Polimanti









Vincenzo Monfregola: Un amico, un poeta-pittore, un'anima sensibile!


Vincenzo Monfregola, un giovane poeta d’indubbia qualità. Si avvicina all’espressione poetica in seguito ad una profonda riflessione che ha origine da tappe personali di un percorso adolescenziale non del tutto facile, dovuto ad una crescita in un “aspro” quartiere di Napoli. Vincenzo non si perde d’animo e con determinazione si fa strada tra le tante difficoltà, riesce quindi ad avviare le prime esperienze lavorative, maturando a poco a poco la sua naturale predisposizione verso le materie umanistiche, sollecitato dal desiderio di aprire il cuore e dialogare con il mondo a suon di versi. Pertanto, già giovanissimo inizia il suo cammino di poeta, guidato in particolare da una sana educazione familiare, ricca di aspetti affettivi genuini e disciplinati, in breve tempo sviluppa sentimenti empatici verso i valori più importanti della vita, quali la solidarietà e l’umanità verso i più deboli, l’amicizia, l’amore ed infine Dio, che sente presente in ogni suo sguardo verso le bellezze naturali che lo circondano e dentro di sé.
Pubblica nel 2001 la sua prima silloge:Nel tempo dei girasoli (Edizioni LER), nel 2012 Follia (Edizioni R.E.I.) ed ancora, una raccolta di poesie con vari autori: Ruvido d’inchiostro( Rupe Mutevole). Riceve premi e riconoscimenti letterari in vari concorsi.
Tanti i temi trattati da Monfregola e su tutti domina il desiderio di liberarli e di lanciarli letteralmente nell’universo attirando l’attenzione verso sentimenti forti e contrastanti propri di un’anima sensibile. Nei suoi versi ritroviamo delicati e profondi aspetti sociali che disturbano e condizionano la libera espressione di ogni età; affetti familiari legati al passato e a presenze indelebili nella sua memoria; amori vissuti e sentimenti non corrisposti; pura essenza di un’anima che plasma le immagini. Nel susseguirsi dei versi, la sua penna, dapprima sfiora la terra con i suoi fiori: ortensie dalle “sfumature e fragranze delicate” e girasoli dai colori forti ed imponenti, alberi con foglie su cui lo sguardo del poeta si posa come su “tele pregiate”. Le emozioni via via maturano e la sua poesia s’innalza e spicca il volo per arrivare ad afferrare il cielo ed ogni suo tratto di vita che, come “inquilini” visibili ed invisibili trascendono le possibilità umane perché elevati e al di sopra della realtà oggettiva. Ed ecco, è qui che incontriamo la vera essenza di Monfregola, un’anima in grado di assaporare immagini di gabbiani che volano “oltre la vita”, stelle e luna che brillano come “stoffe di seta” perché impreziosite dagli angeli. Leggendo le poesie di Vincenzo ho notato in particolare un tema ricorrente: il tempo. Un tempo che scorre inesorabile e non si ferma, fugge via lasciando “pagine ingiallite” che come “sinfonie” rievocano le memorie del passato, che non ritorna ma che tuttora è presente nel suo cuore, un passato che non si riesce a controllare e che solo la fede in Dio riaccende, colorando di dolce melanconia e velata nostalgia anche i più terribili dolori.
La poesia di Vincenzo Monfregola è dolce, carezzevole, delicata come i petali di un fiore, volano via al primo soffio di vento ma lasciano ovunque nell’aria il loro profumo. Versi che entrano nel cuore in punta di piedi, senza far rumore, emozionano e stimolano i sogni. Ogni sua poesia si fonde nel suo abbraccio, che è universale e spalanca le porte del cuore per suggerirci il significato di un volere divino, che traccia il cammino di un vissuto e “… inizio e fine, indipendentemente dai percorsi scelti… scorrono nella clessidra del tempo”. Un Dio che dispone dunque, con il suo amore come unico strumento valido, chiedendoci di affidarci e confidare in Lui.
Amo definire Vincenzo quale un pittore-poeta, che riesce a cogliere l’attenzione del suo lettore comunicando un’arte di vivere basata sull’amore universale, che governa e regola ogni nostra emozione ed ogni nostro diverso sentire. Trovo che ogni suo verso è preghiera, breve, leggero, evanescente e romantico, nella sua lirica noi tutti ci siamo. Ogni scatto ci appartiene, le parole catturano il cuore ed il nostro essere, perché ispirato dalla tenerezza e dalla semplicità di un giovane poeta che già ritengo essere un vero talento della poesia moderna.



Susanna Polimanti










Odore di bimbo- La storia di Chiara di Giovanna Albi (Robin Edizioni) è un libro eccellente, come pochi altri nella nostra letteratura contemporanea. Ci accompagna nella lettura Chiara, protagonista e custode di sensazioni, pensieri ed anime; con immagini chimeriche, argutamente ironiche, ci guida lungo i sentieri della memoria fin “nei sotterranei dell’io”, in quello che lei chiama un “castello”, in realtà la vita, osservata con sguardo maturo e volutamente distaccato dove si affacciano anche tutti gli altri personaggi del suo vissuto. Ad esprimere determinati meccanismi psichici e fantastici, Chiara rievoca figure della letteratura, della filosofia e della mitologia classica, che si prestano nella sua brillante fantasia per un’analisi accurata di uomini e donne, in particolare dell’uomo che non ha mai smesso di amare, al quale attribuisce un “ odore di bimbo”, che sa di borotalco ed ha il piacevole gusto di un biscotto Plasmon. L’odore risveglia in lei associazioni, emozioni e ricordi di un tempo ormai perduto che influisce sul suo modo di agire indipendentemente dalla sua stessa ragione. Ripercorrendo a ritroso le fasi della sua infanzia ed arrivando alla maturità, c’imbattiamo nei personaggi a lei vicini, familiari, amici e colleghi e di ognuno ci fa assaporare una descrizione minuziosa e raffinata, a volte persino simpatica e divertente.
Un tema ricorrente nel libro è l’inadeguatezza e l’inibizione di un’errata psicoanalisi, Chiara l’ha testata su se stessa e la sconsiglia come terapia totalizzante, spiegando i rischi di un’analisi condotta a senso unico che può far perdere la persona reale, esistente e vivente, annientando la stessa anima che necessita, al contrario, di esprimersi in ogni suo più recondito aspetto.
Lo stile della scrittrice è erudito, elegante, dolce e crudele in alcuni passi, dal sapore gradevole e piccante in altri. Il ritmo analitico della sua scrittura è veloce e lento ad un tempo. La Albi rettamente utilizza le sue facoltà intellettuali e morali, servendosi con accurato discernimento ed onestà delle proprie conoscenze. È sicuramente uno stile non semplice per chi a digiuno di un vasto patrimonio culturale ma la lettura ne rappresenta comunque uno stimolo per una precisa e fruttuosa riflessione. Odore di bimbo – La storia di Chiara è un piccolo capolavoro d’ introspezione psicologica ed intimistica.
Senza alcun equivoco lo definirei un saggio di psicologia umanistica in formato ridotto, chiunque nelle pagine della Albi può letteralmente leggere se stesso, condividendo con la scrittrice la sottile critica nei confronti del troppo razionalismo e della perdita di quei sentimenti di amore, lealtà e correttezza che tendono ad impoverire l’essenza dell’uomo. A tale riguardo la Albi scrive: “Una persona d’eccezione in questo tempo di deserto emotivo e di anaffettività generalizzata dove ciascuno guarda il suo hortus conclusus e quello dell’altro solo per invidia malefica”. Un libro che ci tocca tutti nel profondo, perché ogni individuo può preferire di rimanere nel proprio “castello” e spingere la propria emotività in uno “sgabuzzino” se recepita dal mondo esterno unicamente come elemento di disturbo e di fragilità caratteriale. In realtà Chiara dimostra coraggio e spiccata intelligenza emotiva.
La storia della Albi fa dialogare mondi diversi ma contigui, tra le righe scopriamo pensieri, emozioni e giudizi che appartengono a tutti ed un valido messaggio: trionfa sempre l’amore, in ogni sua sfumatura, l’amore indissolubile verso un figlio, l’amore per il proprio uomo.
A Giovanna Albi rivolgo tutta la mia più profonda ammirazione, anche per l’effetto di curiosità che lascia nel lettore, voluto espressamente dalla sua abile penna. Ritengo quanto mai appropriate le parole di Joseph Conrad, il quale scrisse: «… si scrive soltanto una metà del libro, dell'altra metà si deve occupare il lettore.»



Susanna Polimanti








Solarium perlato di Stefano Festi, pubblicato nel 2007 con edizioni Il Filo, è un’opera che raccoglie molto più che semplici poesie, si tratta di un vero e proprio componimento lirico, non a caso definito “canto”, con espressioni impegnative e limpide ad un tempo. Attraverso i suoi versi l’autore esprime i moti dell’anima dispersi in una natura armoniosa, melodica, natura che circonda una realtà che commuove il cuore e l’immaginazione. Un poesia della natura, della vita e dell’amore dunque, in cui l’autore si lascia andare alle emozioni ricercandone una particolare intimità in una natura che diviene un tempio , quale origine: “… di un Dio che creò il Tutto e il niente” e quale destino di un’anima: “… In un Luogo diverso, che non è la Terra”. Ecco allora che ci si affida ai sensi e alla contemplazione di una spiritualità in quanto segno della vita che continua e che, per essere amata e vissuta, trova in se stessa ragioni sufficienti. In ogni verso corrono e s’intrecciano suggestioni foniche, l’oltre-cielo e l’oltre-tempo ci propongono molto più di una straordinaria capacità espressiva del poeta, bensì una sua manifesta predisposizione nel captare sensazioni sottili e misteriose. Un altro elemento essenziale della poesia di Festi sono i colori, dove dominano il Blu ed il Celeste, i colori dell’anima, della pace e dell’armonia. Mi ha colpito l’immagine dell’Albatross che ha enormi ali rispetto al suo corpo e vola sopra l’oceano ma, quando è tra gli uomini la sua sensibilità è un impaccio e lo rende incompreso. Leggendo la poesia di Stefano Festi ho ripercorso nella memoria i versi di Charles Baudelaire nelle sue Corrispondenze, dove la poesia può rivelare l’essenza dell’universo ed il suo linguaggio segreto, così come ho ricordato il grande Montale, per il suo messaggio del soffrire e reagire quale misura della sincerità di un poeta.
In Solarium perlato è come affondare lo sguardo in un quadro, non c’è momento, non c’è sfumatura che il critico non sappia cogliere con l’intensità e la lucidità che una poesia impegnativa richiede.






Il sogno dei sogni  di Raffaella Brignetti



Il libro Il sogno dei sogni  è una rivisitazione della parte più intima dell’ essere umano: il sogno  che l’autrice interpreta sia visibilmente che interiormente, affidando la sua immagine ai protagonisti della narrazione: una bambina, Benedetta, che più degli altri vive il sogno con gli occhi dell’innocenza, non conoscendo ancora la complicata realtà del mondo in cui vive; una donna ed il suo amante che s’incontrano su una scogliera con lo sguardo rivolto all’immensità del mare, che non ha limiti; un vecchio marinaio che per vivere è costretto a trasportare i turisti, per lui insopportabili perché non hanno alcun rispetto per la natura e il mare stesso, pur di divertirsi.
Il vero protagonista in assoluto è senza dubbio il mare e il suo vissuto, lo sfondo essenziale ed elemento chiave nella storia, intorno cui i personaggi vivono i loro sogni che s’intrecciano persino con la fauna marina: Tuffolo Bianco, un uccello acquatico e la Lepre di Mare, un mollusco.

In ogni pagina risalta sempre “il sogno” inteso come esperienza soggettiva ed irripetibile che scruta i segreti dell’inconscio, quasi un volere e non riuscire a “pescare” in noi l’isolamento dall’ambiente in cui si vive, la cruda realtà, nascosta sotto la coltre del quotidiano. Nel suo libro, l’autrice Raffaella Brignetti sottolinea l’importanza dei sogni che equivalgono ad un viaggio nella parte più oscura del nostro essere che difficilmente riesce a manifestarsi nella realtà del quotidiano di ogni individuo.

Lo stile del libro è una prosa essenziale, molto poetica. In alcuni punti la scrittura diviene dura, corrosiva e molto complessa ma ricca di pathos. Tra le righe signoreggia l’amore dell’autrice non soltanto per il mare, bensì per tutta la natura che lei riesce a rendere viva e parte integrante del racconto. Una lettura consigliata a quanti hanno la capacità di vivere il respiro di ogni cosa intorno a noi attraverso lo sguardo attento di Raffaella Brignetti che trasferisce ogni sua piccola emozione verso il senso stesso della vita, passando per la “pura” sopravvivenza di ogni specie nell’intero Universo, ricordando a tutti noi che il vero sogno è quello che abbiamo dinanzi agli occhi tutti giorni ma solitamente sfugge alla nostra osservazione.
Il sogno dei sogni, una lettura che esplora l’inconscio e lo rende libero con la spontanea ed autentica espressione del  sogno.


Susanna Polimanti





    INTERA 
" INTERA" 
Maria Teresa Laudenzi
INTERA: un libro ricco di emozioni e intensità poetica che risaltano doti di innata capacità creativa e di analisi dell'autrice. Una descrizione rispettosa ed accurata di donne differenti l'una dall'altra, che si raccontano con profondità di sentimenti e con dettagli intimi e passionali. Ogni singola personalità e vicenda sono espressione pura di realtà vissuta. Tra le righe traspare la parte più tenera e dolce che appartiene ad ogni donna, al di là della propria vita, dei molteplici aspetti e delle proprie intime fragilità; donne che vivono esperienze e fasi di vita diverse, in momenti storici e sociali ben distinti ma con un percorso condiviso, carico di aspettative e sogni.
Le protagoniste di questo libro non rimangono intrappolate nella fredda esteriorità delle cose ma giungono tutte alla loro più intima espressione femminile per riunirsi in un'unica donna che nella sua più totale “interiorità-interezza” diviene donna autentica.

Susanna Polimanti





PERCHÉ SCOMODARE L'UNIVERSO?

Perché scomodare l'universo? 
Barbara Giorgini


Perché scomodare l'universo?: un romanzo da leggere con intensità emotiva, apertura mentale e particolare attenzione, esattamente come la sua stessa autrice Barbara Giorgini ha espresso in ogni sua riga.
Nel leggerlo ho trovato un'esposizione ben articolata e delineata in ogni immagine dei suoi protagonisti, che divengono “custodi” delle proprie percezioni e degli attimi vissuti nel profondo dell'anima. Una penna elegante e scorrevole quella della scrittrice,che instilla nell'animo del lettore il desiderio di migrare verso gli spazi cosmici. Ogni personaggio descritto affronta un suo viaggio interiore, per mezzo di energie mentali o ricorrendo alle forze del desiderio, che poi ognuno è in grado di realizzare attraverso la manifestazione di pensieri positivi che si disperdono nell'universo, regolando l'equilibrio personale tra l'essere e il divenire.
Sara, una delle protagoniste del romanzo, sarebbe sicuramente d'accordo con me che, giunta al termine della lettura ho assaporato il piacere e la certezza di aver scoperto nelle sue particolari “note” un'identità fortemente spirituale e sottilmente percettiva.

Susanna Polimanti


LE PAROLE ASSASSINE

Le parole assassine
Maria Antonietta Pirrigheddu



Ho letto il libro “ Le parole assassine” di Maria Antonietta Pirrigheddu nel 2009. Recentemente l'ho letto di nuovo e ogni volta ho scoperto qualcosa in più. Attraverso i racconti contenuti in questa sua opera, la scrittrice ci apre, con estrema delicatezza, alcune porte solitamente chiuse per la maggior parte di noi. Avvalendosi di metafore e similitudini di chiaro effetto stilistico, la narrazione di ogni racconto rende reale persino l'irreale, nella rievocazione di personaggi realmente esistiti, mitologici o semplicemente frutto della fantasia della scrittrice, si ha l'impressione di essere fisicamente trascinati in un “altrove” sconosciuto, intorno cui girano le parole pensate, dette o taciute.
Una raccolta di incredibili storie che rapiscono l'attenzione del lettore e lo costringono a riflettere sul vero significato di ogni nostra parola.
Mistero e fantasia dunque, ma anche l'effettiva visibilità di una personalità poliedrica della stessa scrittrice, che ho avuto la fortuna di conoscere in profondità grazie e soprattutto tramite le sua opera.
Maria Antonietta Pirrigheddu non è soltanto una valida scrittrice, è soprattutto un 'Artista! La sua espressione artistica infatti, non riguarda unicamente la scrittura ma spazia nella pittura e realizzazione di oggetti in vetro e ancor più si eleva nelle sue straordinarie interpretazioni come attrice teatrale.
Ritengo che questa scrittrice sia una donna dal molteplice ingegno e dalla personalità fortemente sensibile e carismatica. Il suo libro “Le parole assassine” ne è la piena conferma.
Susanna Polimanti


IL VALORE NELLE ORME DEL CUORE

Il valore nelle orme del cuore 
Maria Lampa


Da leggere tutto d'un fiato!
Dalla cavità del suo cuore la scrittrice Maria Lampa ci racconta delle sue esperienze di vita; le emozioni s'intrecciano come tessuti muscolari e le sue parole rotolano come perle in ogni sua pagina, al ritmo di vere e proprie pulsazioni, pompando sangue nell'albero della vita di ognuno di noi. Con il suo libro l'autrice ci svela il vero ed autentico segreto dell'anima. Tutti noi abbiamo delle chiavi personali per aprire e varcare le porte del nostro mondo interiore, Maria ha trovato la sua chiave d'oro facendone dono a tutti i suoi lettori, nutrendo il tessuto cardiaco dell'amore universale: filo conduttore di questo libro . Il cuore: organo essenziale per la vita di tutti.
Il valore nelle orme del cuore, un libro profondamente ispirato da un'anima spiritualmente elevata. Leggerlo sarà come respirare una boccata di aria fresca e profumata.


Susanna Polimanti


La colpa di scrivere di Anna Laura Cittadino



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Arthur Schopenhauer ha scritto: “Lo stile è la fisionomia dello spirito”.
Il romanzo La colpa di scrivere è un’autentica testimonianza della passione per la scrittura, propria della scrittrice Anna Laura Cittadino. Il suo stile è impeccabile, preciso, senza retorica. Il romanzo ha una notevole capacità di coinvolgimento, esercitando sul lettore un potere quasi ipnotico. La protagonista Nina ci prende per mano e ci guida attraverso il suo difficile cammino, spingendoci ad immergerci nel suo grande amore: un sentimento vero e totalizzante, ma difficile in quanto clandestino.
Un amore inteso come specchio spirituale e come via verso la conoscenza e l’arte della scrittura. Le descrizioni incantano, come dipinti divengono veri e propri personaggi e si fondono con la trama del romanzo. La natura effettiva ed espressiva è lo sfondo tratteggiato sul quale si disegna l’anima della protagonista che diviene in alcuni punti, genuina poesia.
«Lui aveva abitato il mio cuore ed era il luogo più bello che la mia memoria conservasse»… « Ma l’amore non si sceglie , non è un abito con cui vestire il cuore»… In queste frasi ho ritrovato la mano della vera essenza spirituale dell’amore, vissuto e consumato fino in fondo, ma che sottolinea i suoi valori più profondi anche quando il tradimento finale ci palesa il risentimento dell’anima di Nina e di quella sua parte creativa e disincantata sul mondo.
Il romanzo di Anna Laura Cittadino è un valore aggiunto per il nostro patrimonio culturale, un dono per la collettività, un esempio di scrittura sentita, preziosa che avvicina ogni lettore al mondo interiore dei sentimenti, dei desideri e dei sogni.
Con questo romanzo la scrittrice è riuscita a trasmettere con coraggio anche la realtà più nascosta di una società, a mio avviso, di ogni tempo: l’ignoranza, da intendersi anche come superficialità e malignità, oltre dunque il suo significato etimologico di “non conoscenza”.
La storia descritta nel romanzo rappresenta dunque una completezza di sentimenti che appartiene ad ogni individuo e che può essere superata ritrovando in noi la capacità di superare i limiti imposti dal mondo esteriore per raggiungere la vera libertà di espressione spirituale.
Considero questo romanzo come un vero e proprio dono, una trascrizione valida per ogni personale lettura di vita.


Susanna Polimanti



PANE PER L'ANIMA

Pane per l'anima 
Anna Laura Cittadino



Pane per l'anima di Anna Laura Cittadino: Un libro molto commovente, delicato, dallo stile caldo e avvolgente, particolarmente toccante in ogni suo tratto. Un racconto intenso ed evocativo, nasce dalla profondità dell'anima e fa scivolare gli occhi di riga in riga nel percorso psicologico di uno straordinario e prezioso rapporto tra padre e figlia che risalta in particolare il rispetto di un'educazione di altri tempi, mai scontato né banale. Immergendosi nella lettura di queste pagine, inevitabilmente siamo portati a fare i conti con i più reconditi sentimenti nascosti nel nostro cuore; il tono estremamente dolce di Anna Laura che ripercorre attraverso i ricordi l'immagine dell'amato padre, rende chiara e percepibile ogni nostra emozione che diviene appunto pane per l'anima in un profondo dialogo tra passato e presente, scritto in terra ma destinato a volare in cielo. Rimane l' attesa di una risposta di luce che si scontra con la disperazione dell'incontro, dietro l'angolo, di una realtà fisica che non placa il dolore, perché causata dalla fredda e gelida imperizia degli umani.
Frutto di questo periodo travagliato, in cui una figlia apprende ad accettare la realtà della perdita, è lo sviluppo di una nuova relazione con il papà scomparso. Anna Laura trova conforto nel conservare dentro di sé l'immagine dell'amato padre, i suoi valori, le esperienze condivise, sperimentando la capacità di mantenerne vivo il ricordo e la memoria e di continuare ad amarla, anche se non è più presente fisicamente.
Il dolore per la perdita subita continua sempre ad accompagnare le persone ma con il tempo cambia il rapporto con il proprio dolore, aumenta la consapevolezza e la capacità di affrontare le esperienze dolorose.


Susanna Polimanti



 DELITTI ESOTERICI di Stefano Vignaroli


DELITTI ESOTERICI di Stefano Vignaroli

La lettura di questo romanzo è, oserei dire, un'esperienza unica. Quale accanita lettrice, considero il libro di Stefano Vignaroli quanto di meglio esista oggi sul mercato editoriale del noir. Lo scrittore con il suo Delitti Esoterici ha dimostrato ampiamente abilità nella scrittura ed uno spiccato talento nella narrazione di un'importante ed intrigante inchiesta di Caterina Ruggeri, giovane Commissario di Polizia la quale, grazie soprattutto alla sua intelligenza e al suo innato intuito femminile, è in grado di destreggiarsi  tra delitto ed esoterismo, non abbandonando mai doti di umana comprensione riguardo a fatti e personalità coinvolte.
Lo stile suggestivo e affascinante della narrazione si snoda in una perfetta successione di eventi e colpi di scena per un così difficile e delicato argomento, quale può essere l'esoterismo, inteso sia nel suo significato primario di “interno” e quindi segreto, sia  nella moderna interpretazione di “magia”. Il tutto si fonde perfettamente con le pericolose indagini di Caterina Ruggeri e per oltre trecento pagine trascina il lettore fin dentro il più nascosto tra tutti i recinti del sapere esoterico, seguendo un perfetto sincronismo. Ogni personaggio descritto nel romanzo viene descritto ed interpretato dalla straordinaria fantasia dell'autore come un essere comune e allo stesso tempo fuori dal tempo, con riferimenti precisi dettati dal personale studio dell'autore stesso.
Non mancano elementi meno nobili quale la brama di potere e di superiorità ma che infine esplodono in forza, bellezza, illuminazione spirituale e aspirazione verso il bene dell'umanità. Un romanzo completo dunque, che racchiude nelle sue pagine molte verità riferite alla più comune delle realtà, la ricerca di noi stessi e di quella parte dell'inconscio che normalmente non si ascolta ma vive nascosta in ogni individuo.
Porgo i miei complimenti più sinceri a Stefano Vignaroli per questo suo romanzo che ritengo essere un piccolo capolavoro di psicologia esoterica oltre che la prima e significativa inchiesta della sua “amata” protagonista Caterina Ruggeri.

  Susanna Polimanti



I Misteri di Villa Brandi di Stefano Vignaroli

Il romanzo di Stefano Vignaroli non è semplicemente un noir che tratta dei soliti crimini e della loro risoluzione e quanto più può definirsi fantasia o immaginazione, è molto altro!
Nelle sue pagine ho incontrato la personalità del Questore Aggiunto Caterina Ruggeri, destinata a divenire protagonista “memorabile” tra i migliori romanzi noir della nostra letteratura emergente e con lei mi sono appassionata in un'intrigante passeggiata tra i tanti personaggi che le fanno da cornice in una realtà che supera la stessa fantasia e tocca sottilmente un mondo tutto interiore.
Riconosco all'autore Stefano Vignaroli un proprio stile convincente ed incisivo, un particolare acume, una sorprendente maestria e approfondite conoscenze in una scrittura limpida, molto scorrevole e ben strutturata.
La trama si svolge con assoluta accuratezza di suggestive descrizioni che rendono questo romanzo avvincente e brillante, tra mistero, storia e scienza, con ambientazioni di tutto rispetto sullo sfondo della storica città di Iesi e delle sue autentiche bellezze artistiche.
In ogni pagina le frasi sono state costruite con la stessa precisione di un orologio svizzero e denotano una predisposizione dell'autore stesso all'ordine, alla giustizia, allo studio.
Non mancano immagini di vita quotidiana con relazioni d'amore,amicizia e lavoro, cariche di sentimenti ed emozioni che lasciano percepire, in alcuni punti, anche passione, erotismo ed un'innata introspezione.
Un romanzo completo ed eclettico dunque, di cui consiglio vivamente un'attenta lettura rinnovando all'autore i miei vivissimi complimenti e auspicando di poter leggere altre avvincenti vicende del Questore Aggiunto Caterina Ruggeri!


Susanna Polimanti




Il dono più bello di Ivan Caldarese

Miei cari amici tutti! Oggi inserisco su questa prima pagina un suggerimento di lettura. Negli ultimi giorni ho letto due o tre libri, ma uno in particolare mi ha colpito. Si tratta di: Il dono più bello di Ivan Caldarese.
Ho conosciuto Ivan su Facebook, grazie ad un gruppo di scrittori. Ho subito simpatizzato con il suo modo di pensare, vivere e sopravvivere in questo nostro mondo stranamente complicato e sempre più alla deriva per ideologie, comportamenti e valori essenziali di vita.
Ivan Caldarese è un autore cosiddetto emergente ma il suo sguardo sta già viaggiando oltre le apparenze e le "false verità" di una società penalizzante sotto tutti i punti di vista, soprattutto per i nostri giovani.
Eccolo!






Il dono più bello  di Ivan Caldarese:  un libro delizioso, dai toni delicati e forti allo stesso tempo, scritto con autentica spontaneità e particolare coraggio.
Personalmente ritengo che la sua lettura sia un po’ come proiettarsi dentro noi stessi. Ivan Caldarese affronta con precisa analisi e immediatezza fasi di un vissuto attraverso reali esperienze personali.  Leggendolo passo dopo passo, ho percorso i sentieri dell’anima, scoprendo l’importante messaggio lanciato da Ivan, diretto verso un amore universale, il vero rapporto con se stessi e con la vita.
L’autore si apre ai lettori con sincerità e con riflessioni profonde che regalano perle di saggezza, con l’intento di smuovere gli animi verso un “diverso sentire” ed una differente visione di realtà comuni, per meglio decifrare tutti i perché della nostra vita.
Una narrazione pulita di un valido autore emergente che si affida con purezza e semplicità anche a versi di famosi poeti  e riconosce ad ogni evento, persona o cosa, un’identità vera e propria, vista con gli occhi del cuore.
Ringrazio l’autore Ivan Caldarese per aver pubblicato questa sua opera, il cui titolo corrisponde esattamente all’argomento trattato: rivelazioni espresse da un uomo sensibile ed intuitivo, che rappresentano un vero e proprio dono tra tutti i grandi ed infiniti doni che il nostro immenso Universo ci concede ogni giorno!

Susanna Polimanti




Una valigia tutta sbagliata di Matteo Grimaldi

Matteo Grimaldi è un giovane scrittore, nativo della città L'Aquila, dove pochissimi anni fa si è abbattuto un sisma tremendo che ha messo letteralmente in ginocchio questa bella città degli Abruzzi, nonché i suoi abitanti. Abbiamo sentito parlare tanto di loro e della loro fierezza. Ho avuto il piacere di partecipare alla presentazione del libro di Matteo, organizzata dal gruppo culturale Abruzzo in lettere, domenica 2 dicembre a Giulianova. Ho conosciuto di persona Matteo e sono rimasta affascinata dalla sua luminosa sensibilità. " Bravo Matteo, questa è la tua terza pubblicazione, sono certa che nel prossimo futuro ci regalerai ancora qualcosa di tuo. Complimenti!"  

Susanna




Una valigia tutta sbagliata di Matteo Grimaldi


Una raccolta di racconti esposti con immediatezza e semplicità, intrisi di emozioni che scaturiscono dal cuore pulsante e dall'intelletto creativo del giovane scrittore aquilano Matteo Grimaldi. I suoi racconti rappresentano lo sguardo dello stesso autore, volto a descrivere stati d’animo non soltanto personali ma destinati a fondersi con la realtà dei tanti giovani di oggi, condizionati dai cambiamenti della società e in particolare dalle difficoltà di esprimere i propri sentimenti nel continuo confronto tra cammino personale di vita e autentica realizzazione di sogni.
Nel leggere i racconti di questo libro ho percepito una profonda volontà di ricerca interiore, di superamento di conflitti emotivi, incomprensioni e pregiudizi, dettati da un profondo riferimento positivo, al di là delle reali costrizioni del mondo, di eventi tragici e naturali, ansie, paure, passioni e ricordi. Lo scrittore è riuscito a comunicare il reale desiderio di attirare l'ascolto del lettore su particolari fasi di vita che spesso vengono dimenticate, scavando nell'anima degli stessi pensieri che possano balenare nella mente di ognuno, in particolari stati psicologici derivanti da stress fisici, distacchi, abbandoni in ogni sfera emotiva, toccando i temi della solitudine, dell'amore, della morte e persino dello stress post-sismico vissuto, tra l'altro, in prima persona.
Matteo Grimaldi, un giovane scrittore, già ben avviato sul cammino della nostra letteratura contemporanea , ci invita con il suo libro a “ vedere i suoi stessi colori”.

Susanna Polimanti





SOGNO AMARANTO di Cinzia Luigia Cavallaro




Cari amici, inserisco un romanzo letto qualche giorno fa, è un libro bellissimo!!  Non è molto che conosco la scrittrice Cinzia Cavallaro, ho scoperto e apprezzato le sue opere grazie a un  particolare incontro on line e spero di approfondire la nostra amicizia. Segnalo questo romanzo con immenso piacere. Lo amo molto e sono certa che chiunque vorrà leggerlo, sarà  d'accordo con me.





Un romanzo di un'intensità disarmante! Nel leggerlo si è rapiti totalmente da sensazioni ed emozioni straordinarie. Un romanzo scritto con il cuore che rivela una profonda analisi psicologica del sentimento dell'amore. Delicate contrapposizioni dei differenti approcci a questo sentimento, descritto nella sua più totale dedizione. Non dunque una semplice passione, bensì l'incontro di due anime che si cercano e si trovano. Spaccati descrittivi di chiaro impatto emotivo offrono immagini dettagliate e affascinanti di un rapporto d'amore che supera il quotidiano e la normalità. Le sue pagine stimolano profonde riflessioni e spontaneamente conducono alla piena consapevolezza che l'amore vero ed autentico è sicuramente oltre lo spazio e il tempo.
La scrittrice Cinzia Luigia Cavallaro, con questo romanzo ha dimostrato coraggio e capacità fortemente introspettiva pur trattando un argomento molto delicato: l'amore tra un uomo e una donna. Fisicità e spiritualità si sovrappongono, si fondono in perfetta armonia e spingono il lettore a chiudere gli occhi e aprire il cuore per ritrovare percorsi obbligati della propria anima.



Susanna Polimanti


La coltre e la città( Fermo e la nevicata del 2005 di Marco Rotunno e Manilio Grandoni


Il 14 marzo scorso, con immenso piacere ho partecipato alla presentazione del libro bilingue:
LA COLTRE E LA CITTÀ (Fermo e la nevicata del 2005 ) dello scrittore Marco Rotunno con foto di Manilio Grandoni: un libro, a mio avviso, già entrato a far parte del patrimonio culturale della città di Fermo.
Interessante e toccante la presentazione di Marina Venieri, sebbene la penna di Marco Rotunno e le straordinarie foto di Manilio Grandoni non hanno certo bisogno di grandi presentazioni, perché già sufficientemente eloquenti di per sé.
Ciò che più mi ha colpito di questo libro è come lo scrittore Marco Rotunno e il fotogiornalista Manilio Grandoni siano riusciti ad esprimere un'unica voce spinti semplicemente dalla silenziosa magia delle neve,vera ed indiscutibile protagonista del libro.
I contenuti visivi ed emotivi delle foto di un artista quale Manilio Grandoni hanno incorniciato lo stile intenso del racconto di Marco Rotunno, nel ricordo nostalgico del tempo andato, che riaffiora nelle emozioni suscitate dalla forza occulta di una abbondante nevicata, nella quale Marco e Manilio ritrovano tutta la bellezza della loro Fermo, la fantasia della loro infanzia, i giochi e il tempo del Natale.
In un mondo attuale, dove tutto è “touch”, “digital”, perdendo il vero significato delle piccole cose, l'arte di Manilio nell'immortalare la sua città nel luminoso e candido istante “particolare ed unico” e le palpabili descrizioni di Marco di una sorprendente e affascinante fase atmosferica, hanno riportato anche me al mio tempo d'infanzia e, per un lungo interminabile attimo,fissando le foto nel libro e scorrendo il testo... mi sono immersa nello straordinario e soffice candore di quella neve, che tutti amiamo.
La coltre e la città è un libro prezioso: sapientemente raccontato e raffigurato.


Susanna Polimanti





La strada di casa di Lara Zavatteri

La strada di casa

La strada di casa: un libro, a mio parere, molto bello! Mi ha appassionato il racconto di un diario ritrovato che ripercorre i tempi della seconda guerra mondiale, i sentimenti, le emozioni dei protagonisti che superano le bruttezze di una verità storica e nonostante le difficoltà del loro tempo, trovano nel cuore, valori importanti quali l'amore, l'amicizia, gli affetti familiari, non sempre perfetti. Realtà romanzesca  che svela capacità introspettiva e forza interiore dei protagonisti che riconduce ad ogni età e momento storico.
Lara Zavatteri: una giovane scrittrice che ritengo sia già una promessa della letteratura contemporanea con le sue spiccate attitudini di narratrice profonda e soprattutto spontanea.


Susanna Polimanti



Le piccole cose di Lara Zavatteri




Tratti di storia vissuta che ti entrano dentro e solleticano emozioni e reazioni coinvolgenti. Dalle pagine di questo libro traspare un infinito amore per gli animali, per la natura e  gli oggetti, che Lara riesce a umanizzare con descrizioni dai toni delicati e piene di vibrazioni. Affetti, rimpianti, memorie, distacchi dolorosi e realtà storiche si susseguono vive e presenti attraverso paesaggi e scorci panoramici vissuti in prima persona in una lettura piacevole ed appassionante.


Con stile semplice, limpido e scorrevole, la scrittrice con il suo libro ci comunica un valore prezioso: il valore delle “ piccole cose” che diventano grandi e importanti nello scorrere della vita di ogni individuo perché le uniche vere ed autentiche.



Susanna Polimanti

Grazie mille Susanna! 
Lara





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