“ma c’è un
intermezzo una pagina bianca una frazione di
secondo in cui anche il
cuore si prende una pausa; c’è
il momento della stupefazione – magia dentro le cose”
Di
nuovo attratta e affascinata dalle liriche di Nanda Anibaldi, mi
ritrovo a scrivere di una poetica che non si può piegare a interpretazioni
semplicistiche bensì va contemplata e goduta nella totalità di una cifra
stilistica identificativa. Eleganza e distinzione oltre che tante implicazioni
culturali e biografiche, trasmutano nella raffinata elegia di una poetessa abilissima
a coniare parole mentre si confronta con una memoria ecoica ed iconica; l’asperità e la rugosità della vita
diventano veri e propri solchi nell’anima (De rugis- Il Lavoro Editoriale, 2012), operano estreme e sottili
epifanie di un umanesimo di voluta impronta.
Costante
interlocutore è l’autentico legame con i luoghi e ogni loro silenziosa energia,
fusione letteraria ed esistenziale di quell’intimo paesaggio avvolto nel
mistero, quasi uno stato di veglia di una sovramemoria o iperemnesia poetica
che dà origine a momenti salienti di un io lirico dalle scoscese altezze, tra
intimità sentimentali e un gran bisogno di togliersi da un mondo rumoroso e meschino
“come se dovessi riprendere i giochi
interrotti/i progetti irrisolti/la spensieratezza attaccata alle siepi/affilate
da forbici pietose”.
Rapita
dalla memoria trasvola sopra terreni noti e ignoti, con prodigiosa cronologica concentrazione, la poetessa acuisce e amplia
quel dono della visività in lei costituito e preminente, mescola immagini
poetiche evocative a espressioni più concrete e quotidiane.
La
dorata tenerezza del ricordo avvolge
e unifica quel mondo che è ingresso nel
sentimento di un sublime ove si delinea la bellezza infinita di un’eredità
tradizionale di cui la Anibaldi è pregevole custode. Esistono dolori che non
passano mai e ingenerano conclusioni di un universo interiore di legami unici e
irripetibili “Più nessuna cosa è al suo
posto/tanto da far meraviglia questo inverno di luglio”. In particolare, la
silloge “Fammi sapere” (AndreaLivi
Editore- ottobre 2016) ripercorre la sofferenza per la perdita del fratello
Arnoldo, poliedrico artista; il dolore travolge il verso in una serie di
schizzi, ritratti e scene di genere “la
tua assenza è presente/quando vorrei interrogarti/e avere risposte” rendendo
emblematico quel senso di esclusione e di sradicamento che l’assenza genera ma
che, allo stesso tempo, non smette mai di congiungere per vocazione figurativa “[…] libero da ogni laccio/per cercare le
forme e levigare la materia/dentro quell’amore senza il quale/non saresti nato”.
Un
incedere brillante e originale orienta il verso in un viaggio attraverso
l’anima per ricercare la verità e i perché di un distacco mai superato ed esagitato tanto da traboccare continuamente
in pathos quanto più autentico e
profondo di un rapporto che va oltre il legame di sangue, perché appartiene a
un vissuto condiviso in ogni sua forma e sfumatura “Oggi avremmo potuto parlare d’arte/la pioggia e quest’autunno di
luglio/ci avrebbero indicato che e come”. Il lessico riflette la nobiltà
degli affetti, anch’essi simboli della vanità e caducità della vita “ti vedrò di nuovo camminare e venirmi
incontro/per dirmi del tuo viaggio”, proposizioni interrogative che sono ancora
aperte ma non esigono risposta, a esprimere il dubbio, la sospensione del
pensiero. Nelle sue opere si mescolano e si alternano i due motivi essenziali
della labilità e della permanenza, della vita apparente e della vita vera. Dalla
stessa identità di parola e spirito la Anibaldi deduce la possibilità di una redenzione
del mondo attraverso la parola; le sue liriche, ricche d’intensità emotiva
e commozione estetica, accentuano la maieutica personale dell’autrice che ritroviamo
in tutta la sua produzione letteraria, così come nell’opera dedicata al Natale (“Scrivere il Natale” - AndreaLivi Editore
febbraio 2019) ove si conferma che il linguaggio poetico non nasce dal nulla ma
si può acquisire solo dopo una ricerca costante e accurata. Tra atmosfere
magiche, nostalgia e assenze, la festività del Natale è pur sempre “brivido dell’emozione”, ritorna ogni
volta ad ancorare tradizioni, tracce e testimonianze di un passato riflesso nel
presente seppur fugace “Non rubatemi il
mio natale/pieno di assenze/sui cieli decembrini/ dove si specchia la fatica/di
procedere”. Inevitabilmente il peso degli anni e le ferite dell’anima
modificano la sensazione del tempo sebbene la poetessa riesca perfettamente a
gestirla grazie alla caratteristica distintiva dell’ironia. Le sue fughe
liriche interrogano l’immagine mentre la parola sonda l’indicibile in una versificazione
che ripensa e riscrive la modernità al di là di ogni convenzione letteraria e
la rappresenta nel cuore della stessa senza alcuna “ovvietà”, quale innovativo
salto semantico a garanzia di autenticità e versatilità.
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