“All’alba di ciascuna solitudine c’è sempre
un vuoto che non si è più colmato”
Aldo
Montesi è il protagonista del romanzo “Il sole tra le mani” di Roberto Ritondale (Leone Editore-
2017). Chi è Aldo: un uomo indifferente, cinico, insensibile, che si nutre
delle lacrime e delle emozioni altrui o, in realtà, è semplicemente un uomo che
ripercorre a ritroso la storia della sua famiglia per riscoprire un’identità in
parte smarrita, in parte volutamente rimossa? Aldo ha bisogno di tempo per
ritrovare se stesso, per riconoscersi e finalmente fare pace con quegli angoli
nascosti del suo cuore, della sua emotività, chiusi negli anfratti della sua
stessa memoria. Essenzialmente la narrazione ci mostra un personaggio a
tutto-tondo, un “malincomico” che si
affaccia sulla natura umana, intrappolato
nel costante processo tra oscurità e luminosità, in un viaggio di coscienza
attraverso i dolorosi capitoli di un'infanzia interrotta da un tragico evento
quale l’improvvisa morte della madre “È
da quel giorno che rubo lacrime straniere”. In età adulta, affetti
familiari, amori e amicizie si confondono con segreti, silenzi e amare scoperte, sorretti da moventi di amore/odio.
Aldo non trova più l’unità del suo essere, è consapevole della propria
disgregazione interiore, fin troppo evidente per quel senso di triste,
melanconica ironia della sua vita che accentua il carattere
cosciente-incosciente di ogni suo comportamento.
Personalità
sdoppiata in multiformi aspetti dei quali l’uno non si ritrova nell’altro; un
insieme di personalità incompiute di povera vitalità, apparsa nelle varie fasi
di vita e subito cancellata, scacciata dalla successiva. Memoria, perdita, ritrovamento si inseguono continuamente e, solo
quando si incontrano, riescono a identificarsi e darsi un senso, in una sorta
di memoria involontaria proustiana. Il ricongiungimento con se stesso e la
disillusione imperante di losche questioni a lui sconosciute, spingono Aldo ad
una svolta cruciale che lo porta in India dove vive in prima persona il terremoto-
maremoto del 26 dicembre 2004. L’evento drammatico lo segna profondamente ma
allo stesso tempo pone rimedio alla sua condizione psicologica, apre un nuovo
cammino da seguire per annientare quel dolore che lo attanaglia da sempre. Egli
scopre un particolare dono e come questo può essere utilizzato al meglio per
aiutare gli altri e valorizzare la propria autostima.
Un
innovativo e peculiare rapporto tra contenuto e forma di una parola viva e concreta
di un’opera strutturata in sequenze narrative
dialogiche e omodiegetiche nonché una precisa filosofia di vita e profonda
riflessione caratterizzano il linguaggio e lo stile sempre molto profetico, allusivo e aforistico, rendendo
il nostro Ritondale un abile
scrittore in ogni sua esperienza letteraria. Una trama che affascina per i tanti simboli ed enigmi di un vissuto
che possono ampiamente riferirsi a chiunque ove la parola affidata al
protagonista è bivoca, in quanto riflette l’ideologia dell’autore nonché altri
aspetti della sua personalità.
Lo
scrittore trova così una nuova opportunità per indagare l’animo umano e cogliere
quelle capacità, non sempre visibili allo sguardo altrui, di stare a contatto
con le proprie emozioni per poterle gestire al meglio. Il romanzo è una storia
che parla di amore inteso quale amore universale; dolore e amore si congiungono
e infine si completano dando vita a un nuovo inizio, l’avvio verso una nuova
fonte di energia “Il segreto, mi dico,
sta tutto nell’aprirsi, donarsi agli altri. Nel farsi tempio riciclando il
dolore.”
Ritengo
che l’opera sia un atto di lealtà che sgombra
il campo letterario e quello etico di alcuni pregiudizi convenzionali, ridimensionando
per così dire, anche il dramma della morte e della solitudine, nell’attimo
stesso in cui si ha “la forza per uscire
dall’isolamento […] per dare un calcio
al vuoto, diradare la nebbia, scacciare la solitudine.” Alla base, la
prospettiva della ricerca di uno scopo superiore che è soprattutto crescita
spirituale. Allineandoci ad aiutare e
non solo a livello fisico, possiamo stemperare le paure e smettere di soffrire
per ciò che non siamo più e mai più saremo, sviluppando una piena guarigione
spirituale.
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