“Nel
giardino di Hermes” è la recente pubblicazione poetica della scrittrice
e giornalista Alessandra Prospero,
edita per la collana Criselefantina dalla Daimon Edizioni, casa editrice da lei
fondata e diretta. Simbolico ed evocativo il titolo della silloge che coinvolge
Hermes, la divinità mitologica
messaggera per eccellenza nonché dio dei poeti e, come mediatore fra il cielo e
la terra, garanzia di forza elevatrice. Il
giardino, specchio di una realtà interiore, è energia e percorso di consapevolezza
oltre i cinque sensi ove la poesia, come un mantra, libera l’anima e
illumina il significato di ogni percezione e sentimento. È qui che la poetessa
si pone in ascolto, si prende cura di se stessa e delle emozioni e il suo canto-visione si trasforma in un luogo
di guarigione attraverso la parola poetica “Qui trovo la Poesia della Sera [,] / quegli aromi che solo Tu/ sai
ripescare dall’oblio/ […] perché Tu
sei strumento umano/trascendente e divino”, in sottile intimità e contemplazione
dell’amore in ogni suo risvolto, universale e personale. L’ispirazione si
traduce in una creatività permeata dallo spirito e dalla materia, contrapposti
in una ricerca di luce e di calore umano, a distinguere un sentimento tortuoso seppure
così naturale e spontaneo “Amore
risiede/ove umana debolezza/assurge/a divina vicinanza [,] / nell’Empireo delle
fragilità [,] / illuminate da un unisono”.
Nel
susseguirsi di momenti tra certezze e ambivalenze, ogni sensazione fortemente
affrontata e sofferta è finalizzata a raggiungere e mantenere una condizione di
equilibrio, tra errori del passato e prospettive future. Uno smaltato incanto
dell’amore percorso da un sottile velo di tristezza, ci viene apertamente
incontro, ogni verso sottolinea l’attrazione di un sentimento unico che appaga
e ferisce a un tempo, è “eraclea
ostinazione”, desiderio e coinvolgimento ma anche fragilità nella ricerca
di dolcezza e purezza “Ho passi fermi/
sul tuo marciapiede di meringa […]”, rimane sospeso in aria tra passato e
presente, tra cielo e terra “[…]sul ponte
tibetano/ del tuo avvicinamento” in attesa di una netta conclusione che sia
finalmente conquista verso una stabilità quale “amata meta”.
Una poesia polisemica,
ricca di allusioni, analogie simboliche e tautogrammi,
una misura d’arte fatta di intimo equilibrio e di saggezza in una limpidezza di
espressione alternata con forme dubitative che accrescono il senso dell’incerto
e dell’irreale. La grazia lieve ed elegante di una raffinata sensualità
s’intreccia con un sorridente e garbato scetticismo che tempera il dubbio, la sospensione dell’animo e della mente
“Lasciar andare/ Cospargere l’anima di
oli essenziali/ e attendere che ciò che essenziale non è/scivoli via”. Lo stile, caratterizzato da una morfologia
flessiva molto aggettivata e un’originale semantica lessicale, denota una
profonda conoscenza linguistica nonché una notevole esperienza dei classici. Il
verso è plasmato dal suono di una voce intensa e calda e ci arriva sotto forma
di dignitosa emozione, tra carne e spirito, eternità e intimità, alleanza tra
volontà e armonia.
La
lirica “So(u)lstizio” è, a mio avviso,
quella che più manifesta un luogo privilegiato, una sorta di tempio
baudelairiano, in cui la poesia scopre, raccoglie sinestesie dell’anima “Nell’odoroso gelsomino/raccolgo gli effluvi
della tua attenzione [;] / nelle tue braccia/accoglienti di ortensia/ritrovo il
suono/ del mio sorriso”, serba segreti e, tra giochi di luce e ombra,
affida i suoi sogni, lascia viaggiare il suo messaggio poetico perché ognuno di
noi lo colga quale concretizzazione di un’esigenza
espressiva.