Recensire opere composite, multiformi, dall'architettura complessa e articolata quali sono le liriche di Nanda Anibaldi, non è certamente un compito facile. Sin dal primo approccio si evince una poetica particolarmente vissuta, di un’artista ispirata e talentuosa. Il suo verso supera ogni concezione tradizionale, non mente bensì si allena a una verità interiore, non si delinea nell’astratto ma riavvolge e si dispiega lungo il procedere della vita. Lo stile della Nostra non è stereotipato bensì espressivo, personale, con immagini pittoriche che creano un’atmosfera intimistica, come se l’autrice volesse tenere stretto a sé ogni attimo, imprimendo la sua caratterizzante e soggettiva vocazione creativa.
Con estrema destrezza e dimestichezza, intensità e
potenza d’emissione, le sue liriche approdano a un’arte di sostanza e non di sola apparenza: una sorta di specchio
cognitivo che tende a sviluppare la propria coscienza.
Nella silloge “La tana del nibbio” (Firenze Libri,
1994), l’Io poetico è ispirato da moti interni dell’animo, spesso inspiegabili,
legati a una pluralità di sentimenti spinti da una nuova esigenza di far luce e
di raccontare le contraddizioni che, come una lama affilata penetrano nell’esistenza
con lucidità e intransigenza, senza infingimenti. Significante e strategica la
simbologia del rapace nibbio che sfrutta il vento più leggero - in questo caso
la poesia - per uscire dalla sua tana ed elevarsi con poche battute di ali; il
verso dona la capacità di liberarsi, di estraniarsi dai problemi per
analizzarli con occhio critico, si distacca dal coro e si esprime in assoluta
libertà: “Tracce invisibili di magma/riciclate sul petto della terra/vengono cancellate/
ad ogni batter d’ali”.
La Anibaldi si pone in continua sfida, non solo con se stessa, in
particolare con il discorso poetico con cui crea un confronto, giocando e
utilizzando la fantasia come vitale interlocutore. Figure e immagini denotano
maturità di visione e
di espressione nonché una suprema saggezza di folgorazioni e di messaggi. Lei -
donna smette di fuggire la sua ombra, dà un senso all’angoscia esistenziale e
la domina con fortezza e coraggio: “L’intervallo
di tempo/segna sconcerti/tra rivoli di pensiero/ che sciolgono l’ultima neve…
“Pescare il tuo/ nella tavola dei
sogni/non è stato facile […] L’ho disegnato per te ma l’hai collocato nella
memoria/labile/non ti servirà a proteggerti dal gioco/ ché i giocatori sono più
scaltri [,] né ti aiuterà a bleffare/devi pescarne uno più grande/e metterlo
come uno scafandro […]” Una poesia disvelativa che stimola domande e incontra
l’alterità, abbraccia la dimensione estetica, lascia da parte il puro
narcisismo per attuare il senso reale di quel poiein che è veicolo di trasformazione e cambiamento nell’attimo
stesso in cui ci appare un’indomabile donna e una poetessa palazzeschiana di
mirabile e ironica libertà.
Il desiderio di uno spirito che interroga il mistero: “Parli
e racconti/i fatti di sempre/Conosciuti/scontati/ma/li fabuli come tuoi/Il
dramma si consuma/nel non avere risposta” che è ‘paradigma’ di una continua ricerca poetica, crea l’attimo
per un linguaggio semantico arricchito e integrato da metafore e simbologie di
alto spessore, a velare i grandi
interrogativi dell’esistenza, al centro di una precisa analisi ontologica.
“Sarai
spaventato per le cose/che non potevi prevedere/e nel gioco ti sorprenderà/il
bluff come regola” (Paradigma- Progetti editoriali srl- il lavoro
editoriale, 2006)
Nella silloge “Paradigma”,
una genesi biblica traccia l’ispirazione del verso per giungere a un amalgama biblico-pindarico ove notiamo
un incredibile idealismo rinnovatore e rivoluzionario, pervaso da ritorni e
rimeditazioni filosofiche; un’evocazione di ciò che è presenza felice e, allo
stesso tempo, inevitabile consapevolezza del dileguarsi della vita e degli
affetti più cari. I ricordi arrivano nei versi come bagliori di luce a
sostenere i momenti più difficili, smorzando i toni di una tematica di fondo
che è la stessa identità, sia retrospettiva che di continuità futura, ove il
dubbio e la certezza, l’oscurità e la visione chiara, lottano a fronte delle
esperienze vissute e dei ragionamenti che si evolvono nel pensiero: “Forse
ti sentirò nella pioggia/quando l’acqua ha il colore del sonno/e mi scontrerò
con te nella nebbia/gelatinosa/per chiederti scusa”. Un genere di poesia esegetica quale anello di collegamento tra
studio e tradizioni culturali, sollecita la Anibaldi a indagare i vari contrasti tra razionalità e cuore, con
una medesima funzione: trovare una densità di senso fra dimensioni diverse
della realtà, tra prove e ostacoli, contrapposti alle tante nostalgie rivolte a
tempi maggiormente genuini e spensierati: “Oggi ho rivisto il mare/con i
colori del mio tempo/mentre la mia straneità/cammina sulle strade/ che ho già
percorso”. La Nostra penetra in profondità, lo fa con critica tagliente,
con le armi del paradosso e dell’ironia, trovando una sua modalità per
interrogarsi e interrogare nonché per stimolare, tra l’osservazione e i meandri
della mente, una logica riflessione anche su quanto rientra in un dogmatismo
religioso. Non possiamo cambiare parti di noi cercando di nasconderle, tutto
deve venire alla luce ed essere compreso; in altre parole, occorre diventarne
amici. La poesia di Nanda Anibaldi è
anche arte concettuale e, inevitabilmente, si trasfigura in catarsi di vita.
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