La raccolta in versi “La
panchina innamorata” (Writerseditor) di Maria Giovanna Bonaiuti, poetessa e scrittrice di origini toscane
ma residente nella città marchigiana di Fermo, offre uno spaccato significativo
di come la presenza misteriosa e complessa della natura con i suoi tanti
abitanti senza voce, possa attivare l’immaginazione e acuire i nostri sensi. La
sua figura ondeggia dinanzi alla nostra fantasia, apparendoci ora una donna
malinconica e nostalgica, ora una vera e propria “guerriera della luce” coelhiana,
per la quale la semplicità e l’ umiltà sono
l’espressione di una poetica di grande etica e rispetto verso l’uomo e l’intero
universo. Una panchina di pietra è simbolicamente il punto di osservazione
o, probabilmente, di attesa di un tempo dedicato all’amore e alla bellezza di
quelle piccole cose che divengono grandi
e frutto di speranza quando il sentiero della vita vacilla “Sulla panchina[,]logora di infinite
storie/narrate da rari passanti sgomenti[,] c’è scritto[:] /”SEI MIA”.
La nota distintiva dei versi è data
dalla fusione di motivi intimistici più volte reiterati, quali la solitudine e la
fragilità, con l’idea dello spirito di spaziale evasione e insieme di umano
approfondimento, suggerita dal leggero respiro paesaggistico e dalla confortante
presenza degli animali “ […]L’ho visto[:]
/ era lì[,] un piccolo pipistrello aggrappato alla tenda del balcone[…] /Stelle
vagabonde del cielo lo avevano accompagnato perché/accarezzasse lievemente la
mia solitudine”.
Il
linguaggio, tra fughe e ritorni, risalta una fitta galleria di alberi, fiori e
animali. In ogni poesia trionfa la tendenza pascoliana a sentire gli animali non in quanto simboli o
soggetti estetici ma come veri e propri beniamini e confidenti, perfetti mediatori tra la realtà umana e la
realtà divina nonché amici con cui condividere un cammino “ Mi attende l’amico gufo[,] / con i suoi
grandi occhi sorridenti”.
Uno stile denso e sinuoso, segnato da
naturali e musicali cesure ove si concentrano anche esperienze arieggianti i
moduli tipici della sofferenza leopardiana, da cui si generano sentimenti di solidarietà e fratellanza
verso gli altri “ Vorrei spegnere il
sole con un secchio di/acqua zuccherata[,] per vedere gli uomini/che corrono in questa
dolce pioggia”.
L’inclinazione
della poetessa all’osservazione si esercita a intuire i particolari più minuti,
le sensazioni più sottili, le atmosfere più rarefatte, in un quadro quanto mai poetico, pregio della perspicuità
di un sublime raggiunto con la massima tenuità di voce e suoni “
Sono viandante della mia solitudine[,] /cammino con le mani in tasca/ per
contrade lontane dalla mia anima[.] /Mendicante di bellezza[,] / raccolgo
lacrime cadute alle stelle[…] “
Versi
intrisi di struggente malinconia lambiscono i ricordi; come “scritte
indelebili” nel vagheggiamento passionale e romantico di una vita intera,
mescolano amore e nostalgia, con atteggiamento, in fondo, abbastanza semplice
in sé ma preziosamente elaborato con riferimenti metaforici. La Nostra li sviscera e li matura
con fiamma sottile che sembra affocare le immagini di quel “balcone dei
ricordi” che abita il cuore e la mente. La “terrazza sui tetti” è luogo privilegiato
dell’anima, un “ripostiglio segreto”dove trovano riparo sicuro i sogni, “quelli irrefrenabili, inconfessabili,
inarrestabili” e che non muoiono mai.
Maria Giovanna Bonaiuti coglie il mistero che si nasconde dietro le apparenze
di un passato-presente e attende un “pugno d’azzurro” che stemperi i giorni e
le notti più tristi, intingendo la penna nella solitudine
degli avvenimenti, delle passioni, degli affetti che hanno animato la propria
vita.
I
poeti, in fondo, sono messaggeri di armonie, virtù e speranze vissute in
silenzio, quali risposte di una creativa
solitudine, come suggeriscono gli stessi versi della grande poetessa americana Emily Dickinson: "Forse sarei più sola/ senza la mia
solitudine".
Link di acquisto: