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24 apr 2024

Michela Zanarella e il suo romanzo esordio: "Quell'odore di resina"

Quell’odore di resina, edito da Castelvecchi nella collana Tasti (2024), è un romanzo psicologico di formazione e l’esordio in chiave narrativa di Michela Zanarella, una delle maggiori poetesse italiane della letteratura contemporanea, pluripremiata, autrice di molteplici sillogi poetiche nonché ampiamente conosciuta per il suo costante impegno sia nel giornalismo che nelle relazioni internazionali.

Protagonista dell’opera è Fabiola, veneta diciannovenne, romantica e sognatrice ma con un vissuto cosparso di esperienze scioccanti ancor più appesantite da una delicata salute “Tanti furono gli episodi drammatici che mi videro sofferente…” che inevitabilmente, influenzano la sua personalità, la sua idea di sé e ogni sua relazione interpersonale, tanto da percepirsi a volte inadeguata o insoddisfatta con familiari, amori e amicizie.

La narrazione inizia da un punto di fuga che è un addio alla sua terra di origine, nel tentativo di rimuovere le cicatrici profonde scavate da memorie traumatiche.

In particolare, sono due i fatti angosciosi di cui la protagonista ci rende partecipi e che ne determinano una testimonianza diretta di ogni implicazione psicologica: il suo primo lavoro presso un mattatoio, luogo di dolore, sangue e morte “fantasmi come cadaveri, come carcasse penzolanti ai ganci di una catena di macellazione!” e un terribile incidente con la bici, a cui fortunatamente sopravvive “Una macchina bianca agganciò il manubrio e mi fece sobbalzare in aria, facendomi cadere al centro della strada”.

Grazie al potere disarmante dell’amore, Fabiola dimostra di avere schiena di roccia; le ferite del passato e quei pensieri intrusivi, invadenti e persistenti convivono con i profumi e i colori, gli oggetti e le presenze dei luoghi natii “Giugno, un pino che i miei avevano piantato nel retro della casa […] aveva un odore buono di resina, mi rassicuravano il suo silenzio, le sue ampie braccia legnose, le pigne e quell’odore di pulito e di fresco che avvertivo stando seduta accanto a lui”.

L’amore per Angelo prima e per Lorenzo poi, l’aiutano a non scoraggiarsi, a stringere i denti e andare avanti, non cedendo alle proprie fragilità bensì accettandole. I traumi segnano per sempre ma il desiderio di amore, affetto, rispetto e protezione è più forte, nonostante il continuo bisogno di rassicurazione e conforto o, semplicemente di ascolto, la sua anima ferita impara a convivere con i dolorosi fantasmi del passato, certa che “Nel bene o nel male […] il nostro destino sia già tracciato!”

Come una farfalla innamorata del vento, si affida alla costante passione per la poesia che la salva e nel tempo, le concede anche la conquista di un ben definito ruolo sociale.

Quell’odore di resina è un racconto di vita, toccante, coraggioso e necessario che adotta tutte le sfumature psicologiche e comportamentali della protagonista e di ogni altro personaggio coinvolto nella storia. L’amalgama tra rielaborazione narrativa e avvenimenti reali è inframezzato da appassionati versi di poesia, scintillanti motti di spirito e originali osservazioni introspettive. In quest’opera, la Zanarella dona il meglio di sé, mostra ogni sua dote di scrittrice oltre che di poetessa nonché una sfrenata passione per la vera letteratura; precisa in ogni particolare, sottile, penetrante e realistica anche nelle situazioni più banali, ne ricava ogni risonanza utile a sviscerare un mondo interiore, senza alterare minimamente la veridicità dei fatti principali. I temi dell’amore, dell’amicizia e persino della sessualità vengono trattati con assoluta sensibilità, delicatezza e disarmante semplicità.

Le pagine intendono essere un aiuto per superare situazioni complesse con umiltà, misura e saggezza ma soprattutto con fede e ascoltando sempre il cuore. Dare voce al silenzio spesso vuol dire riparare traumi che difficilmente scivolano via, poiché la sostanza rimane e fa male.

Non si trascura nella stesura del libro una attenta narrazione ed una acuta critica nel rispetto della dignità e libertà di operare serenamente le proprie scelte, pur di arrivare a costruirsi una propria identità.

“La vita, in fondo, è fatta di piccole cose, di rinunce, sacrifici, soddisfazioni e traguardi. Vale la pena viverla al meglio, come un’occasione irripetibile”.

 

 

18 set 2020

"L'uovo di cavalla" di Antonio De Signoribus: lepidezza di una lettura

 

   “[…] infanzia significa meraviglia, fantasia, creatività e spontaneità, mentre la condizione adulta significa la perdita di queste facoltà
(James Hillman)
  

Torna a sorprenderci lo scrittore Antonio De Signoribus con la sua ultima opera “L’uovo di cavalla” (Edizioni Zefiro- Fermo), una miscellanea narrativa suddivisa in sette capitoli, lepidezza di una lettura che vuole essere anche un perfetto augurio per un futuro migliore. Ogni sua opera è un lavoro impegnativo, un percorso scolpito e consolidato nel tempo, una ricerca accorta e accurata di quella narrazione orale che è trasmissione e recupero del multiforme patrimonio culturale di una letteratura popolare. Pacato ma arguto allo stesso tempo, attraverso un linguaggio semplice e metafore facilmente comprensibili, l’autore ancora una volta avvalora una notevole familiarità e una distintiva versatilità nel delineare un universo abitato da quel principio di verità e insegnamento morale rappresentati dalle fiabe, dalle leggende e dalle più disparate forze misteriose, a volta così indecifrabili dai sensi e dalla razionalità umana. Stimolanti e coinvolgenti nonché esilaranti, le trame di leggende, aneddoti e racconti incarnano e profilano le molteplici sfaccettature di peculiarità fisiche e caratteristiche comportamentali sia di gente comune, come contadini e garzoni sia di nobili signori, re, principesse ed ecclesiastici; luoghi stregati da inspiegabili malie dove germogliano e nascono esseri invisibili ma di cui si percepisce l’animata presenza, interrompono certezze e scatenano ansie e timori. Una realtà in continuo movimento tra storie di raggiri, magie, furbizie ma anche racconti di uomini astuti e scaltri donano un sorriso a piene labbra e sono un chiaro invito a celebrare una felicità spontanea fuori della coscienza della ragioneFiducioso nel costante valore anche antropologico dell’oralità tradotta in scrittura, De Signoribus si serve del suo usus scribendi per una continuità di un genere letterario che è apporto educativo verso una crescita più genuina e ci mostra quegli elementi simbolici di un susseguirsi di stati d’animo e passioni sinonimi di un’esplorazione dell’animo umano quale fondamento di storie tradizionali che generano le più svariate emozioni e soluzioni.La narrazione contempla un gusto letterario che trascina e contagia, in un repertorio di personaggi gentili e volgari, patetici o ridicoli, timidi o aggressivi, ogni loro vicenda basta a popolare una sorta di teatro dell’esistenza. Lo scrittore che indubbiamente ha competenze specifiche, non si limita a trarre e riformulare storie da fonti del passato bensì le arricchisce con il suo pensiero creativo e la sua capacità inventiva, dando vita a un progetto umanistico di oralità-scrittura che svolge un importante ruolo sociale, culturale e direi, anche con intento pedagogico, giacché le sue fiabe sono destinate a un pubblico di diverse fasce d’età. Elemento trainante non di poco conto è lo sguardo che fruga nella realtà e ne rivela il sostrato misterioso ove la forza della fantasia smembra e frantuma la pesantezza del reale con la semplicità di una struttura linguistica spiritosa e ironica. Dietro ogni fiaba esiste sempre un significato occulto e un potere suggestivo, per cui anche eventi in apparenza insignificanti creano uno strano gioco di reazioni e sensazioni; anche frasi canoniche come “C’era una volta” - “Larga la foglia, stretta la via, dite la vostra ch’io detto la mia”, infine ci pongono sempre una domanda: “Sarà tutto vero ciò che si vede e si sente?” Sta a noi scoprirlo, semplicemente leggendo e prestando ascolto a storie che riemergono dal passato per liberarci dai nostri dubbi e dalle nostre paure. Accogliamo e raccogliamo nella nostra vita quel tanto che fin da tempi remoti ci hanno tramandato per godere di un’inesauribile fonte di evoluzione e saggia leggerezza.

 

 


25 apr 2014

Lirismo descrittivo e finezza letteraria per il nuovo romanzo di Ciro Pinto: L'uomo che correva vicino al mare



L’uomo che correva vicino al mare è il secondo libro eccellente del romanziere Ciro Pinto, di recente pubblicazione con Edizioni Psiconline (Collana A tu per Tu).
Dopo il successo del suo primo libro Il problema di Ivana, questo nuovo romanzo è una conferma della finezza letteraria di Ciro Pinto che prende per mano il lettore e lo trasporta dentro le tante pennellate di realtà, tra mille emozioni e stati d’animo di una sofferta storia di vita.
Il protagonista Giorgio Perna scopre un segmento di esistenza finora sconosciuto; uomo sportivo da sempre, ormai prossimo alla sessantina e con “qualche incertezza nella memoria”, si trova a dover affrontare un percorso di vita differente che si snoda grazie al filo della memoria più lontana in una sequela di “non più” e “mai più”, in cui ricordi familiari, luoghi e oggetti divengono “Testimoni muti di sogni dispersi dalla furia della vita” e spezzano la continuità del suo vissuto senza dar luogo a legami possibili tra ieri e domani. Giorgio ha rimosso ogni evento traumatico quasi a scongiurare la vecchiaia e la solitudine. Il dolore provato da bambino per la morte prematura della madre, il ricordo nostalgico del padre ma in assoluto la dolorosa perdita di sua moglie Eva, sconvolgono tutti i suoi equilibri sebbene l'esistenza di ogni giorno prosegua. Sfondo tematico è il mare e lungo la sua riva, Giorgio Perna ama correre quotidianamente “correre […] era la sua risposta a tutte le angosce della vita […]La sua corsa è una sfida nei confronti di se stesso e dello scorrere degli anni, teme di doversi riconoscere in un corpo biologico depauperato del senso dell’esistere, desidera rifugiarsi nel comodo ruolo di osservatore ma la realtà gli impone di esprimere ogni emozione con modalità nuove. Nel momento stesso in cui si sente destabilizzato dai suoi stessi ricordi che lo assalgono accanto al respiro del mare, inizia in realtà a elaborare i suoi lutti. Giorgio continua a correre nonostante non sia più un ragazzo, si costringe all’esercizio fisico per fuggire dai propri pensieri tuttavia, dovrà fare i conti con quei meccanismi di difesa che hanno impedito l’accettazione del dolore, favorendo la censura dell’io e procrastinando solo la sua sofferenza.
La metafora tematica ci appare quale piena consapevolezza del valore energetico, spirituale e benefico che la vista del mare può svolgere sul dolore interiore, l’acqua ci riconduce al nostro elemento originario e genera forza. Per Giorgio la riva del mare è un luogo riservato dove respirare aria di libertà ma presto si renderà conto che proprio questa sua passione agirà da mediatore mnemonico a livello più profondo per divenire elemento cognitivo di una sofferenza inconscia.
Il mare calma le paure dell’ignoto e le ansie della solitudine, Giorgio si affida ad esso per ricaricare il suo corpo e raggiungere uno stato radioso di benessere psico-fisico ma ogni dettaglio intorno a lui lo spinge ogni volta ad ascoltarsi. Ammira il volo di un gabbiano, lo immagina volare felice ma “Sofferenza, dolore e gioia sembravano alternarsi in ogni suo movimento”, solo una pausa di riflessione dunque, mentre i ricordi sono semisommersi, mai soppressi, accantonati nei meandri della sua mente e tornano a imporsi impietosi.  Ogni accettazione raggiunta permette sempre che il destino si compia, la salvezza arriva comunque e viene delegata ai viventi, per i quali le immagini del passato, foto o ritratti, sono ormai i fragili testimoni di una vita che non sembra più appartenerci.

Lo stile del romanzo è molto fluido con tessuto narrativo realistico e introspettivo, con sequenze dialogiche centellinate all’indispensabile. Ciro Pinto predilige una forma di comunicazione iconica, uno stile del tutto personale che si centra sulle immagini; un genere di lirismo descrittivo, fortemente emotivo e coinvolgente, dove l’elemento verbale feconda l’elemento visivo. La narrazione è molto curata e attenta. Dalla vicenda emergono anche spaccati di città conosciute, ricchi di riferimenti architettonici introdotti con la leggerezza disinvolta che è caratteristica fondamentale dell’autore. Questo romanzo ha una sua forza e specificità che ne costituiscono l’attrattiva per un lettore attento e desideroso di riscoprire valori importanti della vita, quali l’amore e il calore di una famiglia, la nostalgia per il passato, la sofferenza per la perdita di un congiunto e tanto altro ancora.  
La tecnica narrativa con flashbacks in vari capitoli in perfetta coordinazione tra presente e passato, rende ogni elemento maggiormente veritiero.

Il dolore fa parte della nostra vita e non va mai allontanato, neppure quando genera senso d’impotenza e sofferenza insopportabile. Rimuovere un evento traumatico vuol dire provocare una reazione a catena, in cui si vengono a creare ulteriori instabilità emotive e psicologiche, spesso da traumi irrisolti nascono vere e proprie patologie.
La vita di ogni individuo è il frutto di tanti percorsi sia personali che familiari, sicuramente qualcosa si apprende grazie alla trasmissione intergenerazionale della memoria di chi perdiamo. Ogni perdita di un nostro caro è sempre un forte dolore ma anche un insieme di frammenti memoriali privilegiati.

L’immagine dell’uomo Giorgio Perna avvalora la propensione dello stesso scrittore verso una chiave di lettura positiva della vita, nonostante i suoi scenari ed eventi contrari.
L’uomo che correva vicino al mare è un romanzo denso di sensibilità e di sensazioni inconsce, a tratti dolente ma pur sempre ricco di quell’autenticità e di quel senso di forte umanità che impregnano ogni romanzo di Ciro Pinto, uno dei pochi romanzieri contemporanei in grado di narrare la vita vera, toccando le note più intime di ogni lettore.