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6 apr 2015

" A denti stretti" : il dialetto non si dissolve nel vento dell'oblio...


“La Poesia è come la musica, deve avere una sua logica, deve essere interpretabile, deve stimolare sensazioni, emozioni, ricordi, attraverso le parole. La Poesia è libera, esprime il nostro pensiero, non ha confini delineabili. La Poesia è nell’aria, la Poesia è dentro di noi, la Poesia è intorno a noi.
(Dalla Postfazione di «A denti stretti» di Stefania Pasquali)


Con le sue parole, Stefania Pasquali ha legittimamente denotato la validità universale della poesia, non poteva usare lingua migliore del vernacolo marchigiano, a definirne appieno concetto ed essenza.
A denti stretti” (2012) è una silloge che si colloca all’interno di una sua vasta produzione poetica e si distingue in un mondo dominato dal potere della tecno-scienza e della finanza, per l’importante finalità di consolidamento di una valorizzazione delle nostre tradizioni, creando un maggiore legame tra gli eventi attuali e un’identità storica. Certamente una poetica dialettale è un augurio che incita e invita alla continuazione di una tradizione linguistica che ha vissuto, peraltro, momenti di vivo splendore in ogni regione italiana.
Ben venga, dunque, quest’opera; ben venga a ridarci la certezza che il nostro dialetto è ancora vivo e palpitante nel cuore e nel pensiero dei marchigiani e che vi rimarrà. Ai nostri giorni son pochi davvero i conservatori del dialetto, si contano sulle dita. Versi vivi e coloriti studiano la vita di una terra, sono respiro prolifico verso la diffusione di quell’espressione dalle connotazioni spiccatamente popolari che s’identificano, in particolare, con l’amore e la passione per la poesia “Nonna e nonnu/ormà più n’ce stà[,] /a scrivo ‘che poesia/ma no’ pe’ lo campà[.]” 
Senza retorico artificio, le poesie qui raccolte riprendono la tematica della rimembranza così cara alla nostra poetessa; motti e modi di dire nostrani rispecchiano ancora una volta disciplina interiore, potenza di sintesi e senso di responsabilità di un’autrice partecipe di ogni sentimento. La silloge A denti stretti è poesia dialogica, non inficiata dalla responsabilità di canoni appartenenti a un vernacolo letterario poco spontaneo e di maniera, è piuttosto specchio genuino del microcosmo interiore, supporta positivamente la coscienza emotiva e aiuta l’eco poetico a esprimersi tramite la naturalezza e la schiettezza di soggetti popolari, liberi ma assolutamente lungimiranti.
Ogni poesia termina con un’immagine e un pensiero-morale; note della poetessa che, pur nascendo da una prospettiva personale, ci mostrano la donna prim’ancora che la profonda dialettologa. Non mancano ironia e spirito giocoso mentre il suo vernacolo dipinge individui dalle più svariate caratteristiche. Stefania Pasquali affida ai suoi personaggi pensieri e comportamenti del passato ma profondamente attuali. Conosciamo il castellano, il maestro, l’avvocato, il parroco, il conte e persino la donna “strolleca”, alla quale le giovani di un tempo si rivolgevano per conoscere il futuro. Caratteri che distinguono individui l’uno dall’altro ma, allo stesso tempo, li accomunano nello svolgimento della vita di paese; si fondono con il loro quotidiano, tra attitudini e stranezze varie e concedono alla poetessa una riflessione e l’opportunità di esprimersi su condizioni sociali e civili di ogni tempo.
Spontaneità e saggezza popolari di terre marchigiane si alternano a momenti di tristezza, gioia, guerra e pace di fasi storiche dell’intera nazione.
Si ritrovano il sapore di cose nuove, l’evanescenza dei sogni, la spensieratezza della gioventù, la serenità di chi non ha grandi aspirazioni, la dolcezza dell’umile gente, l’assennata semplicità del suo parlare. Quella lingua vernacolare che ora ha quasi un suono di leggenda e che riporta alla nostra memoria immagini fresche e scintillanti di tempi remoti, non deve dissolversi nel vento dell’oblio.



25 mar 2015

Stefania Pasquali, cesellatrice di parole scolpite nella memoria del cuore





“Altidona/tenero fiore/di sangue piceno […]
Fra mattoni e pietre/di muri a secco […]
Pendii composti/ dal vomere degli aratri/e scomposti dal passo/ dei venti di mare[.]”





La Collina dei Girasoli della poetessa-scrittrice marchigiana Stefania Pasquali è una raccolta di poesie dedicate all’antico borgo di Altidona, che si affaccia sulla Valle dell’Aso e sul mare Adriatico. Qui l’autrice vive, trae ispirazione, crea, eterna e tramanda valori di grande umanità, in perfetta simbiosi con la natura e i suoi aromi.
Sin dalla prima pagina, con l’introduzione dell’autrice stessa, entriamo in confidenza con il “sentire” della Pasquali mentre tratteggia i motivi che l’hanno spinta a comporre queste liriche. Scopriamo una poetica suggestiva che affonda le sue radici nelle tradizioni popolari di atmosfere colme di armonia, pace e serenità, ove luoghi, oggetti, animali e soggetti caratteristici si traducono in parole ed espressioni scolpite nella memoria del cuore quasi a cesellare con cura ogni minimo dettaglio in versi che profumano di passato, di nostalgia per quelle “tracce del nostro percorso di vita” che, sottolinea l’autrice, appartengono al ricordo e a emozioni che sono “fonte di luce” di una maggiore consapevolezza e saggezza nella preziosità del presente.
La silloge si apre con versi dedicati al mese di dicembre: “I pettirossi/presentano il freddo/alle porte delle case. Cieli azzurri/ e folate/ di vento/ spazzano foglie inaridite/ nei vicoli silenziosi.” e proprio partendo dalla stagione invernale, risalta il valore di riscoprire e innamorarsi di ciò che si conosce, affidandolo allo sguardo del cuore e dello spirito. Non si fugge dal passato…  “Un gatto nero/furtivo scompare/ tra vasi sfioriti/e malinconicamente/ belli” ma si viaggia con esso, è importante immergersi in quel segmento tra due confini che l’esistenza disegna, lasciando dentro tracce indelebili nel ricordo e nel quotidiano. Le liriche si distinguono per la brevità dei periodi ben allineati e senza difficoltà sintattiche; gli esordi sono sempre paesaggistici, da cui si palesa il sentimento della perennità della vita cosmica.
Su ogni poesia aleggiano sapori antichi di appartenenza, di confidenza e di conforto, traspaiono la mano del Creatore e il suo potente amore che “benedice natura e uomini”, si perpetuano nel presente quando “[…] ci si sveglia/ al suono della campane/ in un’allegria nuova/ che si spande nell’aria/ e abbevera il cuore […]”
Ogni verso predilige un linguaggio pittoresco che giova alla chiarezza. La misura di accostamento dei termini predispone il ritmo a un leggero passo di danza, tra descrizioni semplici e immediate che ricalcano l’essenzialità della pura poesia; le emozioni lasciano spazio a una vitalità carezzevole e fluttuante. Una combinazione di metri tradizionali e variabili ci rammenta la strofa leopardiana, in cui predomina l’eidýllion greco, ideale di serena convivenza, improntata allo scenario e allo spirito di valori semplici ma nobili. Dolcezza, grazia e vita vissuta nell’amore sono gli elementi che guidano l’io poetico, in congiunto dialogo tra passato e presente in un profilo figurativo e identitario che opera una continuità nel variegato insieme della nostra storia emotiva e culturale.
La natura si amalgama con la celebrazione del ricordo in una struttura lineare e pulita sul piano creativo, dalla quale si evidenziano non solo toni di semplice rimando nostalgico ma soprattutto di spiccato scopo educativo: recuperare il passato per un’occasione di speranza per il futuro, in particolare per quei bambini che oggi non hanno più il “sapore bambino”. Il passato con incantevoli scorci vissuti di vicoli, piazze, campagne e personaggi del ricordo rivive e si rinnova nel presente della poetessa quale sinonimo di autenticità, di garanzia e di genuinità perché… “Ad una ad una/s’accendono/le piccole luci/e il silenzio della sera/riprende il passo/tra le vecchie pietre ancora calde.”



SUSANNA POLIMANTI