“La
Poesia è come la musica, deve avere una sua logica, deve essere interpretabile,
deve stimolare sensazioni, emozioni, ricordi, attraverso le parole. La Poesia è
libera, esprime il nostro pensiero, non ha confini delineabili. La Poesia è
nell’aria, la Poesia è dentro di noi, la Poesia è intorno a noi.”
(Dalla Postfazione di «A
denti stretti» di Stefania Pasquali)
Con
le sue parole, Stefania Pasquali ha
legittimamente denotato la validità universale della poesia, non poteva usare
lingua migliore del vernacolo marchigiano, a definirne appieno concetto ed
essenza.
“A
denti stretti” (2012) è una silloge che si colloca all’interno di una sua
vasta produzione poetica e si distingue in un mondo dominato dal potere della
tecno-scienza e della finanza, per l’importante finalità di consolidamento di una valorizzazione delle
nostre tradizioni, creando un maggiore legame
tra gli eventi attuali e un’identità storica. Certamente una poetica
dialettale è un augurio che incita e invita alla continuazione di una tradizione
linguistica che ha vissuto, peraltro, momenti di vivo splendore in ogni regione
italiana.
Ben
venga, dunque, quest’opera; ben venga a ridarci la certezza che il nostro dialetto è ancora vivo e palpitante nel cuore
e nel pensiero dei marchigiani e che vi rimarrà. Ai nostri giorni son pochi
davvero i conservatori del dialetto, si contano sulle dita. Versi vivi e
coloriti studiano la vita di una terra, sono respiro prolifico verso la
diffusione di quell’espressione dalle connotazioni spiccatamente popolari che
s’identificano, in particolare, con l’amore e la passione per la poesia “Nonna e nonnu/ormà più n’ce stà[,] /a
scrivo ‘che poesia/ma no’ pe’ lo campà[.]”
Senza
retorico artificio, le poesie qui raccolte riprendono la tematica della
rimembranza così cara alla nostra poetessa; motti e modi di dire nostrani
rispecchiano ancora una volta disciplina interiore, potenza di sintesi e senso
di responsabilità di un’autrice partecipe di ogni sentimento. La silloge A
denti
stretti è poesia dialogica, non inficiata dalla responsabilità di canoni
appartenenti a un vernacolo letterario poco spontaneo e di maniera, è piuttosto
specchio genuino del microcosmo interiore,
supporta positivamente la coscienza emotiva e aiuta l’eco poetico a esprimersi
tramite la naturalezza e la schiettezza di soggetti popolari,
liberi ma assolutamente lungimiranti.
Ogni
poesia termina con un’immagine e un pensiero-morale; note della poetessa che, pur
nascendo da una prospettiva personale, ci mostrano la donna prim’ancora che la
profonda dialettologa. Non mancano ironia e spirito giocoso mentre il suo
vernacolo dipinge individui dalle più svariate caratteristiche. Stefania Pasquali affida ai suoi
personaggi pensieri e comportamenti del passato ma profondamente attuali.
Conosciamo il castellano, il maestro, l’avvocato, il parroco, il conte e
persino la donna “strolleca”, alla
quale le giovani di un tempo si rivolgevano per conoscere il futuro. Caratteri
che distinguono individui l’uno dall’altro ma, allo stesso tempo, li accomunano
nello svolgimento della vita di paese;
si fondono con il loro quotidiano, tra attitudini e stranezze varie e
concedono alla poetessa una riflessione
e l’opportunità di esprimersi su condizioni sociali e civili di ogni tempo.
Spontaneità
e saggezza popolari di terre marchigiane si alternano a momenti di tristezza,
gioia, guerra e pace di fasi storiche dell’intera nazione.
Si
ritrovano il sapore di cose nuove, l’evanescenza dei sogni, la spensieratezza
della gioventù, la serenità di chi non ha grandi aspirazioni, la dolcezza
dell’umile gente, l’assennata semplicità del suo parlare. Quella lingua
vernacolare che ora ha quasi un suono di leggenda e che riporta alla nostra
memoria immagini fresche e scintillanti di tempi remoti, non deve dissolversi
nel vento dell’oblio.