La croce di carta, edita da Daimon Edizioni per la
collana Arcadia (2024) è la terza silloge del pluripremiato poeta romano Luciano
Giovannini. L’opera corredata di un’accurata prefazione dell’editore Alessandra Prospero, ci presenta un io
lirico vibrante di umana partecipazione,
dove ogni verso equivale a un abbraccio condiviso.
Importante ed emozionante al tempo stesso, il titolo svela
la diffusa metafora della croce, ne accoglie ogni significato oltre l’aspetto
storico. Consapevole della caducità e fragilità della condizione umana e della
vita, il poeta è spettatore “superstite” di un’esistenza dai valori autentici: in questo mondo vuoto e virtuale/popolato da ombre e da
controfigure, crea in sé e nel suo canto la pena e il tormento di un’umanità
incredula, che s’interroga sulla sofferenza e sul divino, di fronte alle grandi
e piccole angosce quotidiane. L’arte poetica, percepita come vera e propria
missione, è dimora necessaria per raccogliersi e divulgare “incanto di parole” che
s’insinua rispettoso nei cuori, suscitando una maggiore sensibilità verso la
condivisione: Poesia [,] tu sei la certa
salvezza [,] /la goccia di pioggia [,] /L’essenza vitale
[,] /Il mio solo strumento.
L’esperienza artistica di Giovannini è intuizione ed espressione di una chiamata interiore; si traduce in ascolto
delle voci della propria anima al fine di armonizzarle con altrettante voci che
salgono dall’universo, si fa tramite fra ciò che è umano e ciò che non lo è, benché
si ritenga, umilmente, solo un venditore ambulante di parole.
Il poeta è soprattutto un uomo
che non si limita ad osservare la parte più superficiale della “croce” ma penetra nel mistero delle miserie umane,
assegna volti reali agli affanni e ai dolori che affliggono ogni individuo;
riconosce l’impegno di una partecipata sofferenza ma si dimostra determinato ad
accettare questo grande fardello Non lascerò che questo mio
dolore/appassisca ai raggi di un timido sole/ma lo tramuterò in mille rivoli
d’inchiostro.
Il tema
centrale è il ritratto di una quotidianità, con i suoi ripetuti conflitti; inarrestabile
è il fluire del tempo […] il tempo passa e fugge/come
sottile sabbia/che scivola via dalle tue dita, riuscire a
liberarsi è esprimere il dono che si
possiede, il dono della poesia Io
cammino con le spalle piegate/dal peso di una croce di carta […] / io sono soltanto
quello che vivo [,] / io sono soltanto
quello che scrivo.
Oltre alle esperienze
personali, le liriche sono dedicate a sportivi, a vittime di femminicidio e del
sabato sera, a scrittrici e poetesse, umili ed emarginati, tutti personaggi dietro
cui si cela il vero significato della vita.
Tutti noi, di fronte al mistero della
vita e della morte, non siamo nulla: Siamo
vacillanti foglie/sul precario ramo della vita / […]
siamo solo un debole tratto di matita.
È indubbio che, secondo la tradizione
cristiana, la croce sia simbolo universale e cosmico, chiunque è destinato a
“portare la croce”, tuttavia, serve coraggio, quale unica speranza di sopravvivenza:
al di là delle sbarre/ della tua subdola
gabbia.
Al
di sopra di uno stile personalissimo di un verso intimo e raccolto, si leva una
soave e velata attesa di redenzione e rinascita, capace di manifestare flussi
di immagini metaforiche e di sentimento. Il ritmo non è mai pesante ma possiede
grazia, snellezza, leggerezza pur pieno di echi vivi aderenti alle cose e alle
persone del mondo, mondo che respira e vive in una continua ricerca spirituale
e di senso. La
scansione delle strofe, infine, è segnata talvolta da figure di ripetizione:
intere strofe o parte di esse, all’inizio, al centro o alla fine della lirica.
Chiaramente, la ricorsività
conferisce alle parole un maggiore valore significativo, mantenendo coeso il
testo.
«Per
crucem ad lucem», recita
la Sequenza di Pasqua, poiché attraverso la Croce si giunge alla luce della
Resurrezione e il buio non può vincere.
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