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27 apr 2013

Un racconto della scrittrice Anna Laura Cittadino


Con immenso piacere inserisco in questo mio spazio culturale un racconto della scrittrice Anna Laura Cittadino che ho apprezzato moltissimo, perché scritto con parole semplici ma toccanti, un breve racconto che mi ha davvero emozionato per la storia che narra. Il racconto Tra neve e sole è già finalista nel Concorso di Sensazioni Emergenti e spero vivamente che possa arrivare ad ottenere un premio degno di questa scrittrice così sensibile e particolarmente vicina al mondo della cultura in tutte le sue più alte espressioni.



Tra neve e sole.


Quanto tempo era che non vedeva Max? Quindici, venti? Non lo ricordava più. Aveva chiuso il ricordo di lui in una stanza in fondo alla sua anima e ne aveva gettato la chiave. Eppure quella mattina nell'aver incontrato anche solo per pochi istanti quegli occhi azzurro cielo provò una fitta al cuore e gli occhi le si inumidirono di lacrime.
“ Opere d’arte i tuoi occhi che nessuna galleria può contenere vendere o comprare”, gli aveva detto lei un giorno. Lui era scoppiato a ridere.
-Santa Lucia, non era il nome di una chiesa o il nome di una Santa, Santa Lucia era un quartiere malfamato nel centro storico di una città del centro sud dove Ivonne e Max erano nati e cresciuti insieme. Si erano separati solo negli anni in cui Max era stato mandato a studiare in un Istituto e vi era rimasto fino a quattordici anni. La madre aveva altri sei figli e il padre di Max, Ivonne, non aveva mai capito chi fosse. Troppi uomini entravano e uscivano da quella casa e non ve ne era uno che si fermasse lì per più di due giorni. Lei abitava dirimpetto a Max, affacciandosi dalla sua finestra vedeva la madre sempre in vestaglia a qualsiasi ora del giorno. 
A lei le fu sempre vietato dai suoi genitori di andare in quella casa e a dire il vero le avevano anche vietato fin da bambina di giocarci e di starci insieme,ma lei all’amicizia di Max non aveva mai rinunciato, neanche quella volta che lo aveva visto dalla finestra di casa avventarsi con furia su un uomo, (uno dei tanti che frequentavano la madre ) lo aveva preso a pugni in faccia e a calci. Si era coperta gli occhi con le mani per non vedere, ma poi spinta dalla curiosità spiò tra le fessure delle sue dita e quello che vide la fece scoppiare in un urlo disperato; Max si era accanito anche su sua madre e anche a lei riservò lo stesso trattamento dell’uomo con calci e pugni.
Accorse la madre di Ivonne, a quelle grida. Lei udendo sua madre si ritirò dalla finestra ma sua madre aveva già visto tutto. “ Ti ho detto mille volte che devi stare alla larga da questa gente! Non c’è nulla da guardare. Vai a studiare.
Si allontanò dalla finestra e andò in camera sua, si buttò sul letto e pianse. Pianse così tanto che si addormentò e al risveglio il sole stava già tramontando. Guardò fuori e lo vide seduto a terra con la testa tra le ginocchia. Non ci pensò due volte, corse fuori e lo raggiunse, gli si avvicinò piano e in silenzio gli si sedette a fianco senza parlare. Il corpo di lui era scosso da tremiti, ma non riusciva a capire se stesse piangendo. Passarono alcuni minuti poi Max alzò il capo “ Cosa vuoi, vattene via” le disse guardandola con gli occhi pieni di lacrime. Lei non rispose, continuò a restare lì accanto a lui in silenzio, senza parlare, e vi restò fino a quando le luci fioche dei lampioni avvolsero il borgo e udì la voce della madre che la chiamava dalla finestra. Allora si alzò e corse via, non prima però, di aver stampato un bacio sulla guancia del suo amico. La sera nel suo letto prima di prender sonno pensò a Max, alla sua furia, al suo modo di esser violento, ma pensò soprattutto a quei occhi simili a due gocce di mare quando avevano incontrati i suoi e non ebbe dubbi! Lo amava.
Il tempo passava in fretta e così anche i loro anni. Gli occhi di Ivonne furono spettatori più volte di scene di violenza da parte di Max. Risse con i compagni, botte in casa con i fratelli, con la madre, ma con lei era il ragazzo più dolce e romantico del mondo. Si erano scambiati il primo bacio una mattina che avevano marinato la scuola per andare al mare. Il loro fu un amore pulito, baci mai dati sotto le lenzuola, e non si erano mai spinti oltre anche se il desiderio chiedeva altro.
Max aveva terminato le scuole medie e non aveva più continuato gli studi. Lei, invece, si era iscritta al liceo e frequentava la scuola con profitto. Il suo sogno era quello di poter diventare un giorno un magistrato. Quando lo diceva a Max lui la prendeva in giro. “ Chi come noi è nato pezzente, pezzente resta, hai capito Signorina Giudice? 
No, non è vero..ognuno di noi è ciò chi vuol essere, rispondeva lei.
C’era la neve il giorno in cui lo vide da dietro i vetri della sua finestra salire insieme a due carabinieri su una pattuglia. Aprì la finestra e lo chiamò con tutto il fiato che aveva in gola, ma lui non alzò neanche la testa.
Apprese dai vicini che Max era stato arrestato per una rapina. Non riusciva a crederci e lo difese con tutte le sue forze. Gli scrisse in carcere e continuò a credere in lui e in tutto quello che le diceva.
Passarono quattro anni prima che potesse riabbracciarlo. Lei frequentava l’università e le mancavano pochi esami alla tesi “ Sposiamoci Ivonne, potrai continuare a studiare anche dopo sposati” le disse Max.
Si sposarono in una fredda mattina di febbraio in una piccola chiesa di campagna contro il volere di tutti. Ivonne avvolta in un abito bianco preso in prestito in un negozio di abiti usati, tra le mani stringeva un mazzetto di primule raccolte da Max per strada. Solo pochi amici a fargli gli auguri mentre il sole splendeva alto nel cielo. Andarono ad abitare in un monolocale preso in affitto, solo una cucina con pochi mobili e una camera da letto. Fecero l’amore per la prima volta quella notte.
Aveva ancora il vestito da sposa poggiato sulla spalliera del letto e il sapore dei baci di Max sulla pelle quando arrivarono i carabinieri per portarselo via.
Un’altra rapina, un’altra accusa, sette anni di carcere, apologie e perdono. Si, perché bastava guardare nei suoi occhi per dipanare come nebbia ogni dubbio e perdonarlo. Sette anni duri. Duri come la sua tenacia nel portare avanti i suoi studi. Duri come bocconi amari di lacrime mandate giù in silenzio, da sola, il giorno in cui diede l’esame di laurea. Lo aspettò davanti ai cancelli del carcere il giorno in cui Max riconquistò la sua libertà e insieme abbracciati e ridenti corsero al mare e lì sulla spiaggia fecero l’amore dopo sette anni.
C’era la neve il giorno in cui andò a ritirare il suo test di gravidanza. Positivo! Doveva correre a casa e dirlo a lui. Un bimbo, un figlio; una tela bianca e insieme avrebbero fatto da colori a quella nuova vita che portava in grembo.
Corse a casa e lo chiamò per ogni stanza. Max, Maxin, come amava chiamarlo lei. Non ebbe risposta. Lo aspettò davanti al fuoco per tutto il giorno, per tutta la sera, per tutta la notte. Si svegliò davanti ad un fuoco spento nel silenzio della sua casa con uno strano presentimento e uscì a comprare il giornale. Max era stato arrestato.
Tornò a casa, raccolse tutte le sue cose, prese un foglio bianco “ Ognuno è ciò che vuole essere” ci scrisse sopra, lo chiuse in una busta e lo infilò in tasca.
Lontana in una stazione senza nome, tra i volti di gente sconosciuta imbucò la lettera. 
Un bambino è una tela bianca da dipingere con i colori dell’amore. Avrebbe dipinto lei insieme a suo figlio, poi sarebbero saliti insieme sulla giostra della vita e gli avrebbe regalato un giro gratis pieno d’amore e di sorrisi…in fondo si disse di biglietti ai giostrai, lei, ne aveva già pagato troppi.


Anna Laura Cittadino