Con immenso piacere inserisco in questo mio spazio culturale un racconto della scrittrice Anna Laura Cittadino che ho apprezzato moltissimo, perché scritto con parole semplici ma toccanti, un breve racconto che mi ha davvero emozionato per la storia che narra. Il racconto Tra neve e sole è già finalista nel Concorso di Sensazioni Emergenti e spero vivamente che possa arrivare ad ottenere un premio degno di questa scrittrice così sensibile e particolarmente vicina al mondo della cultura in tutte le sue più alte espressioni.
Tra
neve e sole.
Quanto
tempo era che non vedeva Max? Quindici, venti? Non lo ricordava più.
Aveva chiuso il ricordo di lui in una stanza in fondo alla sua anima
e ne aveva gettato la chiave. Eppure quella mattina nell'aver
incontrato anche solo per pochi istanti quegli occhi azzurro cielo
provò una fitta al cuore e gli occhi le si inumidirono di lacrime.
“
Opere d’arte i tuoi occhi che nessuna galleria può contenere
vendere o comprare”, gli aveva detto lei un giorno. Lui era
scoppiato a ridere.
-Santa Lucia, non era il nome di una
chiesa o il nome di una Santa, Santa Lucia era un quartiere malfamato
nel centro storico di una città del centro sud dove Ivonne e Max
erano nati e cresciuti insieme. Si erano separati solo negli anni
in cui Max era stato mandato a studiare in un Istituto e vi era
rimasto fino a quattordici anni. La madre aveva altri sei figli e il
padre di Max, Ivonne, non aveva mai capito chi fosse. Troppi uomini
entravano e uscivano da quella casa e non ve ne era uno che si
fermasse lì per più di due giorni. Lei abitava dirimpetto a Max,
affacciandosi dalla sua finestra vedeva la madre sempre in vestaglia
a qualsiasi ora del giorno.
A lei le fu sempre vietato dai suoi
genitori di andare in quella casa e a dire il vero le avevano anche
vietato fin da bambina di giocarci e di starci insieme,ma lei
all’amicizia di Max non aveva mai rinunciato, neanche quella volta
che lo aveva visto dalla finestra di casa avventarsi con furia su un
uomo, (uno dei tanti che frequentavano la madre ) lo aveva preso a
pugni in faccia e a calci. Si era coperta gli occhi con le mani per
non vedere, ma poi spinta dalla curiosità spiò tra le fessure delle
sue dita e quello che vide la fece scoppiare in un urlo disperato;
Max si era accanito anche su sua madre e anche a lei riservò lo
stesso trattamento dell’uomo con calci e pugni.
Accorse la madre
di Ivonne, a quelle grida. Lei udendo sua madre si ritirò dalla
finestra ma sua madre aveva già visto tutto. “ Ti ho detto mille
volte che devi stare alla larga da questa gente! Non c’è nulla da
guardare. Vai a studiare.
Si allontanò dalla finestra e andò in
camera sua, si buttò sul letto e pianse. Pianse così tanto che si
addormentò e al risveglio il sole stava già tramontando. Guardò
fuori e lo vide seduto a terra con la testa tra le ginocchia. Non ci
pensò due volte, corse fuori e lo raggiunse, gli si avvicinò piano
e in silenzio gli si sedette a fianco senza parlare. Il corpo di lui
era scosso da tremiti, ma non riusciva a capire se stesse piangendo.
Passarono alcuni minuti poi Max alzò il capo “ Cosa vuoi, vattene
via” le disse guardandola con gli occhi pieni di lacrime. Lei non
rispose, continuò a restare lì accanto a lui in silenzio, senza
parlare, e vi restò fino a quando le luci fioche dei lampioni
avvolsero il borgo e udì la voce della madre che la chiamava dalla
finestra. Allora si alzò e corse via, non prima però, di aver
stampato un bacio sulla guancia del suo amico. La sera nel suo letto
prima di prender sonno pensò a Max, alla sua furia, al suo modo di
esser violento, ma pensò soprattutto a quei occhi simili a due gocce
di mare quando avevano incontrati i suoi e non ebbe dubbi! Lo
amava.
Il tempo passava in fretta e così anche i loro anni. Gli
occhi di Ivonne furono spettatori più volte di scene di violenza da
parte di Max. Risse con i compagni, botte in casa con i fratelli, con
la madre, ma con lei era il ragazzo più dolce e romantico del mondo.
Si erano scambiati il primo bacio una mattina che avevano marinato la
scuola per andare al mare. Il loro fu un amore pulito, baci mai dati
sotto le lenzuola, e non si erano mai spinti oltre anche se il
desiderio chiedeva altro.
Max aveva terminato le scuole medie
e non aveva più continuato gli studi. Lei, invece, si era iscritta
al liceo e frequentava la scuola con profitto. Il suo sogno era
quello di poter diventare un giorno un magistrato. Quando lo diceva a
Max lui la prendeva in giro. “ Chi come noi è nato pezzente,
pezzente resta, hai capito Signorina Giudice?
No, non è
vero..ognuno di noi è ciò chi vuol essere, rispondeva lei.
C’era
la neve il giorno in cui lo vide da dietro i vetri della sua finestra
salire insieme a due carabinieri su una pattuglia. Aprì la finestra
e lo chiamò con tutto il fiato che aveva in gola, ma lui non alzò
neanche la testa.
Apprese dai vicini che Max era stato arrestato
per una rapina. Non riusciva a crederci e lo difese con tutte le sue
forze. Gli scrisse in carcere e continuò a credere in lui e in tutto
quello che le diceva.
Passarono quattro anni prima che potesse
riabbracciarlo. Lei frequentava l’università e le mancavano pochi
esami alla tesi “ Sposiamoci Ivonne, potrai continuare a studiare
anche dopo sposati” le disse Max.
Si sposarono in una fredda
mattina di febbraio in una piccola chiesa di campagna contro il
volere di tutti. Ivonne avvolta in un abito bianco preso in prestito
in un negozio di abiti usati, tra le mani stringeva un mazzetto di
primule raccolte da Max per strada. Solo pochi amici a fargli gli
auguri mentre il sole splendeva alto nel cielo. Andarono ad abitare
in un monolocale preso in affitto, solo una cucina con pochi mobili
e una camera da letto. Fecero l’amore per la prima volta quella
notte.
Aveva ancora il vestito da sposa poggiato sulla spalliera
del letto e il sapore dei baci di Max sulla pelle quando arrivarono i
carabinieri per portarselo via.
Un’altra rapina, un’altra
accusa, sette anni di carcere, apologie e perdono. Si, perché
bastava guardare nei suoi occhi per dipanare come nebbia ogni dubbio
e perdonarlo. Sette anni duri. Duri come la sua tenacia nel portare
avanti i suoi studi. Duri come bocconi amari di lacrime mandate giù
in silenzio, da sola, il giorno in cui diede l’esame di laurea. Lo
aspettò davanti ai cancelli del carcere il giorno in cui Max
riconquistò la sua libertà e insieme abbracciati e ridenti corsero
al mare e lì sulla spiaggia fecero l’amore dopo sette anni.
C’era
la neve il giorno in cui andò a ritirare il suo test di gravidanza.
Positivo! Doveva correre a casa e dirlo a lui. Un bimbo, un figlio;
una tela bianca e insieme avrebbero fatto da colori a quella nuova
vita che portava in grembo.
Corse a casa e lo chiamò per ogni
stanza. Max, Maxin, come amava chiamarlo lei. Non ebbe risposta. Lo
aspettò davanti al fuoco per tutto il giorno, per tutta la sera, per
tutta la notte. Si svegliò davanti ad un fuoco spento nel silenzio
della sua casa con uno strano presentimento e uscì a comprare il
giornale. Max era stato arrestato.
Tornò a casa, raccolse tutte
le sue cose, prese un foglio bianco “ Ognuno è ciò che vuole
essere” ci scrisse sopra, lo chiuse in una busta e lo infilò in
tasca.
Lontana in una stazione senza nome, tra i volti di gente
sconosciuta imbucò la lettera.
Un bambino è una tela bianca da
dipingere con i colori dell’amore. Avrebbe dipinto lei insieme a
suo figlio, poi sarebbero saliti insieme sulla giostra della vita e
gli avrebbe regalato un giro gratis pieno d’amore e di sorrisi…in
fondo si disse di biglietti ai giostrai, lei, ne aveva già pagato
troppi.
Anna Laura Cittadino