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24 nov 2015

La paura della morte: inquietudine e impotenza.


"Se la natura non ha dotato l'uomo di un istinto in modo di avvertirlo della data e dell'ora esatta   della propria morte è perché ciò avrebbe come risultato la nascita di un sentimento di depressione suscettibile di annichilire ogni volontà d'azione e ogni desiderio elementare di sopravvivenza."
(Henri-Louis Bergson)


Tra le varie pubblicazioni del giornalista Fabiano Del Papa troviamo anche un suo primo romanzo, Il mistero del cocomero (edito dal Gruppo Editoriale Domina nel 2003), un’opera interessante, finemente articolata che nasce dallo spirito vivace e dallo stile accorto, propri dell’autore. Trattasi di una storia vera dove il narratore è lui stesso protagonista, o meglio, la vera protagonista è la paura della morte. Un esordio non da poco, se si considera la tematica particolarmente delicata; ne consegue, a mio parere, un’impresa estremamente ardua da discernere per qualunque scrittore e, certamente una consuetudine di pensiero radicata in ogni essere umano, fin dalla notte dei tempi, fin dai primi istanti della nostra incarnazione. La vicenda, vissuta in prima persona dallo stesso Del Papa, ha inizio in Ungheria, nell’incantevole Budapest “[…] in un albergo elegante e un po’ decadente, edificato, tanto tempo fa, proprio in mezzo al pluricelebrato, romantico Danubio”, con una sorta di piacevolissimo incontro con un’affascinante donna che al lettore, dapprima, può sembrare galante; in realtà tale conoscenza porterà l’autore a vivere una serie di avventure a dir poco sconcertanti e destabilizzanti. Dietro a ogni esperienza si cela una proposta occulta e misteriosa che ha a che fare con nuove scoperte nel campo della biologia, di sostanze in grado di rallentare i processi cellulari dell’invecchiamento. A contatto con i vari personaggi menzionati e tratteggiati nel minimo dettaglio, ci troviamo di fronte a una tempesta di emozioni e di umori; tra le varie influenze più disparate e apparentemente contrastanti si accavallano e si rincorrono un’appagante curiosità e desiderabilità maschile di pura attrazione fisica verso l’altro sesso e un più complicato senso di confusione, inquietudine e impotenza di fronte ad argomenti più specificamente metafisici ed etici[…] le solite, eterne domande che mi prendevano d’assalto: chi siamo, che facciamo, da dove veniamo, ma dove andiamo?” Eccoci dunque immersi in sequenze descrittive, narrative e riflessive che s’intrecciano e velano una risposta emotiva appropriata che l’autore ha saputo maneggiare con estrema cura e, soprattutto, con briosa destrezza nel tessere la trama, per un’architettura strutturale che spiazza il lettore, con un antefatto, un movente e una coda, assolutamente imprevedibili.
Analessi e prolessi si alternano per dare respiro o forse, per instillare dubbio e riflessione nel lettore prim’ancora di procedere con la narrazione, del resto l’argomento è senz’altro spinoso, fare i conti con la comprensione della morte è naturale quanto la vita stessa, pur sempre rimanendo perturbante “La cognizione della scomparsa, credo sia il pensiero più atroce per qualsiasi animo normale” inoltre, vita lunga non comporta di certo vita eterna.
Nella fantasia popolare greca e in alcuni miti molto antichi la morte appare come un’entità maschile, si chiama Thànatos, è figlio della Notte e fratello del Sonno; esattamente come la notte e il sonno, essa diviene inevitabilmente, anche se ultima, una condizione della nostra esistenza terrena.
Secondo la sua definizione generica, la morte altro non è che la cessazione di quelle funzioni biologiche che ne determinano ogni organismo vivente, trattasi dunque, in realtà, di una paura non tanto della condizione della morte in sé, quanto piuttosto del processo che vi conduce, ovvero del morire.  
In questo senso Fabiano Del Papa con il suo romanzo non ha banalizzato la tanatofobia, semmai l’ha esorcizzata, per certi versi, al punto di scriverne ogni incertezza che determina la nostra ansia, alimentando un insanabile conflitto tra le nostre credenze religiose e la forza della convinzione personale. Ritengo che in ognuno di noi risieda una specie di umanesimo ateista che pesa su tutti noi e del quale tutti siamo vittime, mentre una vita autentica richiede l'accettazione dell'angoscia di vivere e nulla ha a che fare con la vera immortalità, poiché essa, materialmente parlando, è esistente solamente a livello spirituale e, di conseguenza, in qualità di anima.
Chi mai potrebbe innalzare il suo stesso intelletto fino a mutare il normale svolgimento di un’esistenza fisica? Il problema della morte attraversa la storia della filosofia occidentale che da sempre ha tentato di darne una spiegazione metafisica e, purtroppo, non siamo piante erbacee perenni come il cocomero bensì noi ci siamo solamente per poi morire, con la viva speranza di avvicinarci con il tempo verso una sorte di cambiamento, di trasmigrazione dell’anima da una sede all’altra. La paura della morte è uno stato mentale, se ricercassimo maggiormente “il vero senso” dell’esserci, molto probabilmente riusciremmo a sedare le nostre angosce e vivere con maggiore coraggio i nostri giorni da incarnati, riflettendo sui veri valori del nostro cammino terreno. Nel suo romanzo, l’autore ha in fondo confidato a se stesso e a noi lettori che la vera immortalità sta nell’abbondanza e nella realizzazione, quale simboli di compiutezza e di una maturità felice di rapporti vissuti con pienezza.
Che sia questo il mistero del cocomero? Non lo sapremo mai se non dopo…  Non sarà la fine di tutto!





19 ago 2015

" Il Marchese... SCOMODO" di Fabiano Del Papa

Da un uomo e un politico dell’800 una preziosa “imbeccata” di alto valore culturale e sociale.






Il Marchese “SCOMODOè l’ultima fatica letteraria dello scrittore e giornalista Fabiano Del Papa (ZEFIRO Edizioni- giugno 2015), una biografia di genere memorialistico e storiografica di tipo moderno che ritrae la figura di un noto personaggio fermano dell’800: il Marchese Giuseppe Ignazio Trevisani.  
Senza alcuna incertezza è il caso di affermare che l’autore sia stato ispirato nello scrivere un’opera utile a chi la intenda, con misterioso entusiasmo interiore e con efficacia espressiva, quale doveroso sentimento di riconoscenza che bene ha meritato chi, per oltre un quarantennio ha utilizzato le sue brillanti quanto complesse qualità, unicamente con benevolenza verso il prossimo. Attraverso la ricostruzione di un contesto storico in cui s’inserisce la vicenda umana di un aristocratico di fervido ingegno “[…] un cuore grande come una casa” e “Dotato di un senso di umanità particolare”, Del Papa accarezza quel sogno di pace e di onestà che si tramuta in toni nostalgici per una suprema potenza morale contrapposta a un sentimento di estraneità e di non appartenenza a quell’immagine disastrata che, al contrario, mostra l’uomo di oggi verso il suo Paese. La vita del marchese Trevisani e il suo intrecciarsi di eventi storici che riguardano non solo una storia privata e della sua città bensì una memoria collettiva, costituiscono per il lettore un indicatore di cammino e di comportamento, un vero e proprio monito, effuso di una particolare attenzione critica alla politica e alla società, mostrandone ogni contraddizione e mancata genuinità di principi […] “Giuseppe Ignazio voleva un’Italia libera e non calpesta. Ed ebbe la fortuna di vederla così. Se improvvisamente resuscitasse e vedesse com’è ridotta oggi, il nostro marchese, per quanto forte di carattere e virile nel contegno, scoppierebbe a piangere disperato”.
La narrazione veritiera con citazioni di date, luoghi e documenti originali, rende ogni questione affrontata e le posizioni assunte una reale esigenza dell’autore di avvicinarsi alla dimensione intima e privata di un uomo di alto prestigio, eticamente affidabile, che ha lottato per l’unità d’Italia e si è reso portavoce della fascia più debole della società, mettendo a disposizione persino il suo stesso patrimonio durante i suoi mandati di Sindaco della città di Fermo. L’autentica rievocazione delle varie esperienze, tra ideali, correttezza morale e umanità, vengono qui descritte e illustrate con lo stile di chi si affida a un linguaggio concreto, a un lessico colloquiale, molto diretto, quasi confidenziale nei riguardi del lettore e infine di puro affetto ed estremo rispetto per “una figura non comune”. Una biografia di un personalità così controversa e per certi aspetti persino sfuggente, è stata sicuramente un’impresa difficile ma che ha condotto a ottimi risultati di un testo piacevolissimo, appassionato e coinvolgente; una trasposizione narrativa che stilla inevitabilmente ammirazione e approvazione.  È vero che il Marchese Giuseppe Ignazio Trevisani era un fermano ma la testimonianza di un cittadino illustre e soprattutto “Italiano”, che ha saputo vivere con profonda convinzione e rigore personale i valori in cui credeva, non può che suscitare orgoglio e fierezza in chiunque abbia a cuore il destino della propria città, della sua regione e dell’intera nazione.
La sottile e sagace capacità dell’autore nel cogliere l’essenza di vita e gli ideali di patriottismo di un uomo d’altri tempi comporta necessariamente la riflessione su differenze di spirito e volontà verso un bene comune; un puro caso che il protagonista sia stato un uomo di alto rango […] “Poteva capitare con un orologiaio, un medico o un contadino. È capitato con un aristocratico”. Ogni vicenda umana e storica viene evocata e sottolineata a chiare lettere, poiché legata a doppio filo alla stretta attualità, s’identifica con una spontanea reazione viscerale di fronte a una situazione socio-politica non più sostenibile. Nasce spontaneo il desiderio, se mai ne avessimo il potere, di far rinascere un simile temperamento “dall’esistenza mirabile, nobile e avventurosa”. È come se il marchese in persona si aggirasse tra le pagine di questo breve e prezioso testo, quasi a dettare un suo preciso identikit psico-comportamentale e tra le righe, lanciasse il suo sguardo scrutatore e disapprovante verso azioni contrastanti del benessere di un popolo. Sicuramente ai nostri giorni qualunque amministratore della “cosa pubblica” si sentirebbe infastidito dalla presenza di un tale personaggio!
Il messaggio è più che evidente: onestà, correttezza, rispetto, umanità, soprattutto etica e morale fanno di un qualunque uomo, che sia benestante o indigente, un valido esempio da seguire. Persino una personalità dell’800 potrebbe veicolare delle piccole verità, seminare dubbi e smascherare ipocrisie, attaccando pregiudizi e mettendo in discussioni le convinzioni.




SUSANNA POLIMANTI


Cupra Marittima, 19.08.2015