"Se
la natura non ha dotato l'uomo di un istinto in modo di avvertirlo della data e
dell'ora esatta della propria morte è
perché ciò avrebbe come risultato la nascita di un sentimento di depressione
suscettibile di annichilire ogni volontà d'azione e ogni desiderio elementare
di sopravvivenza."
(Henri-Louis Bergson)
Tra
le varie pubblicazioni del giornalista Fabiano
Del Papa troviamo anche un suo primo romanzo, Il mistero del cocomero
(edito dal Gruppo Editoriale Domina nel 2003), un’opera interessante, finemente articolata che nasce dallo spirito vivace
e dallo stile accorto, propri dell’autore. Trattasi di una storia vera dove
il narratore è lui stesso protagonista, o meglio, la vera protagonista è la paura della morte. Un esordio non da poco,
se si considera la tematica particolarmente delicata; ne consegue, a mio
parere, un’impresa estremamente ardua da discernere per qualunque scrittore e,
certamente una consuetudine di pensiero radicata in ogni essere umano, fin
dalla notte dei tempi, fin dai primi istanti della nostra incarnazione. La
vicenda, vissuta in prima persona dallo stesso Del Papa, ha inizio in Ungheria,
nell’incantevole Budapest “[…] in un
albergo elegante e un po’ decadente, edificato, tanto tempo fa, proprio in
mezzo al pluricelebrato, romantico Danubio”, con una sorta di piacevolissimo
incontro con un’affascinante donna che al lettore, dapprima, può sembrare galante;
in realtà tale conoscenza porterà l’autore a vivere una serie di avventure a
dir poco sconcertanti e destabilizzanti. Dietro a ogni esperienza si cela una
proposta occulta e misteriosa che ha a che fare con nuove scoperte nel campo
della biologia, di sostanze in grado di rallentare i processi cellulari
dell’invecchiamento. A contatto con i vari personaggi menzionati e tratteggiati
nel minimo dettaglio, ci troviamo di fronte a una tempesta di emozioni e di umori; tra le varie influenze più
disparate e apparentemente contrastanti si accavallano e si rincorrono un’appagante
curiosità e desiderabilità maschile di pura attrazione fisica verso l’altro
sesso e un più complicato senso di
confusione, inquietudine e impotenza di fronte ad argomenti più specificamente metafisici
ed etici “[…] le solite, eterne
domande che mi prendevano d’assalto: chi siamo, che facciamo, da dove veniamo,
ma dove andiamo?” Eccoci dunque immersi in sequenze descrittive, narrative
e riflessive che s’intrecciano e velano una risposta emotiva appropriata che
l’autore ha saputo maneggiare con estrema cura e, soprattutto, con briosa
destrezza nel tessere la trama, per un’architettura strutturale che spiazza il
lettore, con un antefatto, un movente e una coda, assolutamente imprevedibili.
Analessi
e prolessi si alternano per dare respiro o forse, per instillare dubbio e
riflessione nel lettore prim’ancora di procedere con la narrazione, del resto
l’argomento è senz’altro spinoso, fare i conti con la comprensione della morte
è naturale quanto la vita stessa, pur sempre rimanendo perturbante “La cognizione della scomparsa, credo sia il
pensiero più atroce per qualsiasi animo normale” inoltre, vita lunga non
comporta di certo vita eterna.
Nella
fantasia popolare greca e in alcuni miti molto antichi la morte appare come
un’entità maschile, si chiama Thànatos,
è figlio della Notte e fratello del Sonno; esattamente come la notte e il
sonno, essa diviene inevitabilmente, anche se ultima, una condizione della
nostra esistenza terrena.
Secondo
la sua definizione generica, la morte altro non è che la cessazione di quelle
funzioni biologiche che ne determinano ogni organismo vivente, trattasi dunque,
in realtà, di una paura non tanto della condizione della morte in sé, quanto
piuttosto del processo che vi conduce, ovvero del morire.
In
questo senso Fabiano Del Papa con il
suo romanzo non ha banalizzato la tanatofobia, semmai l’ha esorcizzata, per certi
versi, al punto di scriverne ogni incertezza che determina la nostra ansia,
alimentando un insanabile conflitto tra le nostre credenze religiose e la forza
della convinzione personale. Ritengo che in ognuno di noi risieda una specie di
umanesimo ateista che pesa su tutti noi e del quale tutti siamo vittime, mentre
una vita autentica richiede l'accettazione dell'angoscia di vivere e nulla ha a
che fare con la vera immortalità, poiché essa, materialmente parlando, è
esistente solamente a livello spirituale e, di conseguenza, in qualità di
anima.
Chi
mai potrebbe innalzare il suo stesso intelletto fino a mutare il normale
svolgimento di un’esistenza fisica? Il problema della morte attraversa la
storia della filosofia occidentale che da sempre ha tentato di darne una
spiegazione metafisica e, purtroppo, non siamo piante erbacee perenni come il
cocomero bensì noi ci siamo solamente per poi morire, con la viva speranza di
avvicinarci con il tempo verso una sorte di cambiamento, di trasmigrazione
dell’anima da una sede all’altra. La paura della morte è uno stato mentale, se
ricercassimo maggiormente “il vero senso” dell’esserci, molto probabilmente riusciremmo
a sedare le nostre angosce e vivere con maggiore coraggio i nostri giorni da
incarnati, riflettendo sui veri valori del nostro cammino terreno. Nel suo
romanzo, l’autore ha in fondo confidato a se stesso e a noi lettori che la vera immortalità sta nell’abbondanza
e nella realizzazione, quale simboli di compiutezza e di una maturità felice di
rapporti vissuti con pienezza.
Che
sia questo il mistero del cocomero? Non lo sapremo mai se non dopo… Non sarà la fine di tutto!