Con immenso piacere pubblico la mia recensione a Quello che resta di Francesco Casali
Quello che resta di Francesco Casali- Koi Press (2013) è il secondo libro dell’autore. Dopo Niente da nascondere, ancora una volta Casali
riesce a stimolare sensibilità ed attenzione nel saper cogliere il particolare
soggettivo, che svolge con la sua unitarietà di genere letterario sulla trattazione
del dolore psichico, nel senso più vasto della parola, raggiungendo gradualmente
gli aspetti più salienti del disagio nella vita interiore dell’individuo e di
quel particolarissimo dolore emozionale derivante da stati affettivi complessi,
sottolineati dalla sua brillante e profonda formazione esperienziale. In questa
sua opera Francesco Casali tocca i precordi, esaminando nel vivo temi quali la disperazione,
la rabbia e la depressione che derivano dalla separazione e dall’abbandono per
la perdita di un figlio, la sofferenza fisica che si nasconde dietro un disagio
mentale ed una vulnerabilità cognitiva;
la scelta di una decorazione corporale quale il tatuaggio come formazione,
rinforzo o cambiamento di un’identità che spesso diviene espressione di un conflitto di processi intrapsichici; il
suicidio quale ultima spiaggia, nell’incapacità di accettare e donare amore; la
possessione e vessazione diabolica quali eventi osservati e vissuti dal
punto di vista teologico, con autentici riferimenti a sacerdoti esorcisti, o
inspiegabili e dunque, studiati
scientificamente a livello medico-psichiatrico. Quello che resta
è un’opera di mediazione e psicologia
transpersonale dove risalta l’ingegno
analitico dell’autore che esamina, sviscera, commuove e coinvolge, tra
equilibri fortemente controversi, dove le parole convivono con riferimenti in
lingua, citazioni ed esperienze dirette di noti psicologi, psichiatri,
assolutamente indispensabili per la narrazione di temi assai delicati.
Lo stile è nitido, estremamente
scorrevole, peculiare. Francesco Casali
adotta un metodo efficace che supera la semplice scrittura di contenuti,
rendendo l’esposizione fine e garbata, propria dello psichismo dell’autore,
un’innata sensibilità a livello mentale ed individuale che con molta diplomazia
e profondità di contenuti si riversa nella conclusione del suo libro, rivelando
la vera ineluttabile consapevolezza del dolore che la vita stessa comporta e
nel valore di contrapposizione che il sentimento dell’amore universale può
risolvere se non totalmente almeno in buona parte. Tra le righe si respirano le
motivazioni più subdole che anche il noto dolore del ritorno, la nostalgia,
fa degenerare con sintomi nascosti in un
incipiente disagio che ci allontana dalle emozioni più vere ed autentiche del
nostro io, tanto da trasferire qualunque nostro vissuto nel mondo virtuale dei Social Network, evitando così di
affrontare direttamente l’effettivo contatto di relazione interpersonale.
Trovo molto interessante anche il fatto
che Casali abbia una capacità innata
nel narrare episodi di dolore reale e non fittizio, anche laddove l’individuo
rischia di divenire per se stesso il primo inimicus
homo, lasciandosi sopraffare dal suo stesso dolore, rifiutando l’accettazione
che questa impietosa sofferenza fa comunque parte del nostro essere uomini, nessuno
potrebbe mai cancellarne i conseguenti effetti di afflizione e disperazione,
semmai dovrebbe cercare di raggiungere tramite il dolore una qualche soglia di
verità, che avvicina ogni individuo ad uno stato mentale di equilibrio e
saggezza.
Concludo la mia recensione al bellissimo
libro Quello che resta con queste
poche parole di Siddharta,, dove Hermann Hesse così ha scritto:« E tutto
insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta
la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme
era il fiume del divenire, era la musica della vita.»
Susanna Polimanti