“Questa
creatura silenziosa e ricca di mistero, pigra e oziosa, che nasconde
gelosamente quanto è bello nascondere, quando è la sua ora urla il proprio
amore da tenere desta tutta la contrada”
(Il gatto di Giovanni Raiberti, a cura di
Aldo Palazzeschi - 1946).
Non potevo proprio esimermi dal
pronunciarmi su un romanzo avvincente ed esemplare che, non a caso, risulta
essere un caso editoriale in tutto il mondo. A raccontarci questa storia,
tenera e profonda, è la scrittrice giapponese Hiro Arikawa in “Cronache di un gatto viaggiatore” (Garzanti-
2017); un romanzo che si discosta di molto da tanti altri dello stesso
genere, per stile e contenuto, in quanto un
perfetto esempio del toccante rapporto e di quella magica alchimia d’intenti e
sentimenti che possono nascere dal contatto con un animale domestico
ritenuto, in assoluto, il più libero al mondo e di come, al contrario, può
risultare facile entrare nel suo nobile universo, laddove si è in grado di
penetrare ogni suo comportamento. La scrittrice giapponese è riuscita a
risaltare un legame di caloroso affetto, di amicizia e complicità tra i due
protagonisti: il gatto Nana, randagio, fiero e risoluto, e Satoru, un ragazzo molto
educato e sensibile. Attraverso un racconto-dialogo,
fatto di linguaggi corporei, esperienze soggettive, incontri ricchi di stati d’animo
e rapporti diversificati di amicizia, indifferenza e antipatia, proprio come
avviene tra gli esseri umani, Nana non
ha nulla da invidiare ai più autorevoli psicologi umani.
In una rappresentazione reale, tanto del
contesto quanto dei fenomeni emotivi e morali, il romanzo è un incantevole viaggio
attraverso le bellezze del Giappone, da cui nascono la grazia, il delicato
senso della natura e quell’innata estetica che sono parte integrante della
cultura nipponica. Ogni circostanza vissuta rileva l’unicità e l’innocenza dei
reciproci sguardi, persino nel silenzio del discorso interiore, in un’atmosfera
narrata con compiaciuta ma deliziosa malizia.
Nelle pagine s’incontrano paesaggi di pura
contemplazione che trasmettono serenità, pace, senso del sogno e del
meraviglioso. Satoru mostra al suo amico
felino una sorta di zibaldone della sua vita: riflessioni improvvise,
elenco di cose detestabili, luoghi, persone, cerimonie, feste, gite, di cui
ogni esperienza ha un proprio risvolto, poiché connessa con il passato del
ragazzo o legata a qualche tradizione.
Il mio plauso alla
scrittrice che ha saputo indagare, con rispettosa maestria, nella psiche di
Nana,
di Satoru e dei tanti amici incontrati nel loro vissuto, quali coinquilini di un’esistenza basata sulla condivisione in solidale
empatia e da cui si evincono la profonda intelligenza nonché la saggezza e
la furberia dell’animale. Ogni evento, sia gioioso che doloroso mostra come
anche un gatto può avere fatti privati di una certa importanza per lui.
Lo
stesso Giovanni Paolo II, nella sua lettera enciclica “Sollicitudo rei socialis”, affermò che “non solo l’uomo, ma anche gli animali hanno il soffio-spirito
di Dio. Anche le bestie hanno
un’anima”.
Il testo è
sicuramente un’evidente conferma di quanto ormai noto, riguardo al rispetto e
alle attenzioni che la civiltà giapponese riserva nei confronti dei gatti;
l’innovazione, al contrario, è nella capacità di delimitare, misurare e
connettere cose tanto impalpabili e complicate, sapendo che è quasi impossibile
poter decifrare ciò che gira nella testa di un gatto. Ci si può soltanto arrendere
di fronte al fatto che Nana abbia ricavato delle informazioni su ciò che
avveniva intorno a lui, utilizzandole in modo coerente e fino alla fine. L'amicizia
di un gatto è un bene prezioso e irripetibile, averla contribuisce a sentirsi
più fieri di sé e del proprio rapporto con il mondo e soprattutto, non termina
mai, poiché resiste e supera i limiti umani, trasferendo i rapporti anche in
un’altra dimensione, quella ultraterrena.
L’originalità della forma espositiva e delle espressioni
utilizzate fanno di questa storia una piacevolissima lettura che consiglio
vivamente a tutti, perché coinvolge sia interiormente che spiritualmente.